(Da anni, la Perseo si è posto il lodevole e onerosissimo impegno di pubblicare, in nuova traduzione anche per i titoli già editi, l'opera omnia di Simak, in un'apposita collana).

Ben diverse l'atmosfera e l'idea da cui prende spunto il romanzo Schiavi degli Invisibili (Urania n. 7, 1953; Sinister Barrier, 1939) dello scrittore inglese Eric Frank Russell. Russell ha prodotto storie drammatiche e altre fortemente ironiche, se non umoristiche (vedi l'irresistibile romanzo Galassia che vai..., o il racconto Sarchiapone) ed è un altro di quegli scrittori, il cui numero cresce continuamente, che andrebbero riproposti. Schiavi degli Invisibili (uno dei primissimi "Urania" e, se mi è consentito dirlo, mi colpì come una frustata) si ispira direttamente alle teorie di uno strambo ma interessante personaggio statunitense, Charles Fort (1894-1932). Per tutta la vita, Fort collezionò oltre 40 mila documentazioni di fenomeni inspiegabili o eventi strani, e scrisse alcuni volumi nei quali si fece scomodo denigratore delle scienze ufficiali; il più famoso rimane Il Libro dei dannati (1919). Visse ovviamente una vita grama, e fu assertore di una precisa convinzione, cioè che noi (esseri umani) "siamo proprietà altrui". E' proprio questa idea della "possessione" e del "parassitismo" (comune anche a storie che richiamano altre figure del fantastico, in primis i vampiri, sia pure con diverse implicazioni) che dà vita e vigore al suo Schiavi degli Invisibili. In esso Russell immagina che, casualmente, alcuni umani scoprano la verità: noi siamo davvero proprietà altrui quasi fossimo bestie, insomma vera e propria mandria, addomesticata da millenni. Nella narrazione, i "proprietari" del genere umano sono i Vitoni, descritti come "sfere di energia elettromagnetica": creature invisibili ma intelligenti, che spiano le nostre menti e letteralmente succhiano le nostre energie più vitali. L'impatto del romanzo è, oltre che nel montaggio talora frenetico degli eventi, o nella sua atmosfera di cupa rivelazione, soprattutto in quel "fascino discreto dell'orrore", l'evidenza intima che realmente tutti noi spesso sperimentiamo: quante volte non ci è parso di essere nostro malgrado indirizzati, dominati, sfruttati, stremati da forze che non riusciamo a controllare?

L'insolito romanzo L'uomo, questa malattia (Urania, 1956; L'homme, cette maladie, 1955, unica opera fantascientifica del giornalista francese Claude Yelnick) in un certo senso ribalta la tematica del romanzo di Russell: in esso siamo noi i "disturbatori", se non gli involontari uccisori di creature invisibili che vivono nel nostro stesso universo, e anzi sulla Terra; creature costituite da energia radiante.

Apro una parentesi per ricordare nuovamente che, delle decine di migliaia di alieni inventati dalla narrativa e dal cinema di sf, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di figure più o meno antropomorfe, o la cui costituzione si ispira, in percentuale decrescente, a: animali, insetti, mondo dei microbi e virus, "forze ed energie naturali", mondo minerale. In genere queste opere si basano sul "terrore" dell'insetto, o della Medusa (che rimanda al timore sepolto che l'evoluzione dei viventi assuma una direzione apocalittica; laddove la creatura umana viene considerata un emblema di forme armoniche, funzioni coerenti, pienezza delle facoltà: qualità da preservare ad ogni costo). D'altronde, e questo richiama la famosa funzione catartica della sf, possiamo affermare che, in genere, nonostante gli invasori extraterrestri possiedano poteri in qualche modo superiori, difficilmente lo sono al punto di annientare l'umanità.