- Diòcle!
- Che vuoi, Ificle?
- Non ti stavo chiamando: stavo bestemmiando.
Galopparono come se come se il gagliardo ritmo degli zoccoli dei loro eroici destrieri fosse scandito da una musica divina che soltanto loro potevano udire. Galopparono per giorni. Galopparono per notti, mentre grifoni e chimere facevano ala al loro passaggio e i fauni dei boschi affascinati s'acconciavano in pose priapiche.
Giunsero al passo Oiléo, e là tennero consiglio, discutendo se proseguire attraverso la foresta di Temeniòn e indi dirigersi sull'Eubea o se seguire piuttosto il corso del Tidéo fino alla spiaggia di Egialéa, per poi imbarcarsi dal capo Maléa e dirigersi verso l'isola di Psirìa o più a nord doppiando Chìo e Antimatèa.
Alla fine concordarono: si erano perduti fino alle orecchie.
Tutti accolsero la constatazione con grande letizia, perché da Ulisse in poi qualunque eroe degno di questo nome doveva smarrirsi per mezzo mondo e metterci dieci anni anche solo per andare a comprare le sigarette. Tuttavia, la gioia durò poco: la brezza che già da tempo soffiava tra le fronde si stava mutando in un vento forte e caldo da meridione, che in poco tempo raggiunse una tale forza da piegare le chiome delle piante e da costringere i guerrieri a coprirsi il capo coi mantelli. Ridgemante si avvolse la stola di bisso tutto intorno allo splendido corpo d'atleta (e ridagli!) e restò immobile in mezzo al vortice, come la statua di una divinità senza volto.
- Questo è l'alito di Zeus - affermò con voce stentorea.
- E che aveva mangiato, peperonata? - commentò Ificle, a cui il capitello stava facendo venire un'epica ernia.
- Taci, empio! - lo rimbrottò Ridgemante. - Il dio ci sta parlando.
- Davvero?
- Certo! Zeus si manifesta quando il vento urla attraverso i rami delle querce millenarie che sorgono attorno ai santuari, o quando fa sussurrare le loro foglie in primavera, o le agita secche attorno ai ceppi durante l'autunno o l'inverno. O nel vento caldo dell'estate.
- E che dice, adesso?
L'eroe protese la mano dai muscoli di bronzo, chiuse le dita in una concentrazione spasmodica e infine emise un sospiro di grande voluttà.
- Zeus ci ordina di piegare a sud. Oltre le pendici del monte Bermio incontreremo la città di Politéa, entro le cui bianche mura sono rifugiati i nostri nemici. Zeus ci concede di mettere a ferro e a fuoco la città e di impadronirci di cibo e donne, ma ci ordina di risparmiare la popolazione.
- Perché, le donne non fanno parte della popolazione? - osservò Ificle.
Ridgemante lo fulminò con una occhiata da far venire la sacra diarrea al divino Marte.
- Ma, prima di tutto, dobbiamo innalzare una pira usando legni di sandalo, acacia e cedro scortecciati, affascellando rami mondati e stagionati, di legno colpito dal fulmine o seccato dal sole delle altezze. Ivi sacrificheremo al dio una giovenca bianca, un toro nero e un vitello a pois.
- E' tutto? - chiese Ificle.
- E' tutto.
- Speravo che ci desse anche i numeri del superenalotto olimpico - commentò deluso l'altro, riponendo mestamente lo stilo e la tavoletta.
Mentre gli uomini eseguivano l'ordine del dio ed estraevano dalle bisacce le sacre selci per appiccare il fuoco, il possente Ridgemante scese da cavallo e si diresse al torrentello che scorreva poco distante, intenzionato a bere e a lavarsi i piedi che, doveva ammetterlo, nel fango ingrommato dei calzari ormai putevano come il culo dei caproni dei sacri recinti del monte Evéno.
Discese l'argine fangoso del rivo e si ritrovò in un fitto canneto. Sul letto sabbioso, a meno di quindici passi, un gruppo di splendide fanciulle completamente nude giocava a palla tra gridolini di giubilo e spruzzi d'acqua cristallina. L'eroe non si sorprese più di tanto perché, è noto, in ogni ruscello dell'epica greco/romana si trovano sempre come minimo una dozzina di ninfette senza mutande pronte a offrire le proprie virginali grazie al primo guerriero di passaggio.
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