Rugon ora, tramite un particolare schermo, dirige l'attenzione verso il Sole:

Nessun abitante della Terra avrebbe riconosciuto la forma mostruosa che invadeva lo schermo. La luce solare non era più bianca: grandi nuvole di un blu violaceo ne coprivano metà della superficie, e da queste eruttavano nello spazio immense lingue di fuoco. Un'enorme prominenza si drizzò fuori della fotosfera, sorpassando anche i veli ondeggianti della corona solare. Era come se un albero incandescente si fosse radicato sulla superficie dell'astro: un albero che si ergeva per mezzo milione di miglia, con rami che erano fiumi di fuoco riversati nel vuoto a centinaia di miglia al secondo. Sotto di loro, il pianeta devastato era immerso in una luce vacillante e irreale. Una spettacolosa aurora impazziva lungo un emisfero.

Gli alieni decidono comunque di atterrare per accertarsi che non vi siano tracce residue di vita. Nei pressi di un mare scoprono una città calcificata:

Entro poche ore sarebbe tornata ad essere deserto, perché l'acqua stava bollendo e nuvole di vapore si innalzavano al cielo; ma tutto questo sconvolgimento non offuscava la bellezza della grande città tutta bianca, che dominava quel mare senza più marea. Macchine volanti erano ancora parcheggiate intorno allo spiazzo dove Torkalee atterrò: sebbene elegantemente rifinite, avevano un aspetto primitivo e per sostenersi nell'aria dipendevano da pale rotanti. All'intorno non c'era segno di vita, ma l'insieme dava l'idea che gli abitanti non fossero molto lontani. Attraverso le finestre brillava ancora qualche luce.

Il mistero nel mistero è questo: non c'è traccia di terrestri, e non si capisce dove possano essersi nascosti tutti quanti. Forse nel sottosuolo, in un patetico tentativo di sfuggire alla catastrofe? Gli alieni decidono sfruttare al massimo il loro esiguo tempo ancora disponibile, per una veloce esplorazione del complesso e vastissimo sistema di caverne e gallerie sotterranee, mentre una loro astronave, sospesa nel lato notturno della Terra, resta pronta per raccoglierli "al volo" appena il Sole dovesse scoppiare:

- Non preoccupatevi - disse Alveron dall'astronave - noi siamo perfettamente al sicuro. Quando il Sole esploderà, l'onda in espansione impiegherà qualche minuto a raggiungere il massimo. Noi ci troviamo sul lato notturno del pianeta, dietro una corazza di roccia spesso 8000 miglia. Alla prima avvisaglia dell'esplosione accelereremo per uscire dal Sistema solare, tenendoci nell'ombra del pianeta... Raggiungeremo la velocità della luce prima di lasciare il cono d'ombra, e il Sole non ci nuocerà.

Ma intanto, nel sottosuolo non c'è traccia di terrestri. Il tempo-limite sta per scadere...

Le acque si riversavano in un flusso scintillante verso la lontana catena di monti. Il mare, su quel lato oscuro, pareva aver conquistato una sua vittoria definitiva; ma da lì a poco oceano e montagne, tutto avrebbe cessato di esistere. E mentre la comitiva silenziosa, nella cabina di comando, osservava la distruzione in atto laggiù, ora una catastrofe immensa e definitiva già avanzava veloce verso di loro.

Fu come se improvvisamente fosse sorta l'aurora su questo paesaggio di luce lunare. Ma non era l'aurora, era soltanto la Luna che aveva preso a splendere come un secondo Sole. Per una trentina di secondi la luce incredibile, innaturale, bruciò feroce sulla Terra condannata. Per un attimo Alveron scrutò i quadranti per controllarne i dati; quando si volse verso lo schermo, la Terra era sparita alle loro spalle.

Alveron si ritrovò a fantasticare sul mondo appena scomparso (...)