"GGGrrrgg! Ugggghhhrrrr! Gggggrrrruuug" dicevano i tirannosauri ("non ci sono più le mezze stagioni"). "Bogobugo" dicevano i neanderthaliani ("non ci sono più le mezze stagioni"). "Non ci sono più le mezze stagioni" borbottavano i mercanti fiorentini davanti a Santa Croce, vedendo il grano marcire sotto gli acquazzoni estivi. Oggi, annegati in questa estate torrida, iniziata infinitamente troppo presto, il dubbio che forse, effettivamente, non ci siano più le mezze stagioni inizia a farsi pressante. Speriamo che al momento in cui leggerete queste righe il tempo sia cambiato in modo non disastroso, ma intanto noi stiamo qui a sudare, oppure ad andare in rosso grazie al condizionatore che succhia energia come una pompa; il Po è ai minimi storici e svuotiamo invasi per riempirlo; fiumi che stanno lì dalla notte dei tempi li possiamo attraversare a piedi; leggiamo che i ghiacciai delle Alpi si vanno sciogliendo, e allora cosa c'è di meglio che parlare del clima? Ma non per sognare stagioni delle piogge o glaciazioni prossime venture o brezze rinfrescanti, quanto per farci del male, andando alla riscoperta della fantascienza che parla della desertificazione del globo.
Siamo noi? E' colpa nostra? Alessandro Vietti cercherà di spiegarci il problema con un vero e proprio corso accelerato di climatologia. Certo che se fosse stata colpa nostra, sarebbe il caso di andare a ricercare il cartoncino di garanzia; sì perché se siamo riusciti a combinare un tale sfacelo in poco più di duemila anni di civiltà (è dubbio che i fuochi dei sacrifici che i greci offrivano ai loro dei possano aver iniziato il fenomeno) i casi sono due: o il pianeta non valeva un granché, e qualcuno dovrebbe darci indietro i soldi, oppure siamo stati veramente degli sciagurati. Al di là delle più fosche previsioni riguardanti l'imbecillità umana. Il pianeta è finito, non doveva essere molto difficile rendersene conto e immaginare che delle idee basate su uno sviluppo infinito, o peggio ancora, nessuna idea riguardo alle capacità di sviluppo fossero qualcosa di totalmente sballato. Da sciagurati, per l'appunto.
"S'i' fosse foco ardere' il mondo / s'i' fosse vento, lo tempestarei; / s'i' fosse acqua, i' l'annegherei; s'i' fosse Dio, mandereil' en profondo"... Ma lui era Cecco Angiolieri, e doveva accontentarsi di vino taverne e dadi. Fosse vissuto ai giorni nostri probabilmente sarebbe stato uno scrittore di fantascienza; sì perché la fantascienza con la distruzione del mondo ci va a nozze, e in effetti, qualcuno che è stato sia foco che acqua che vento lo conosciamo bene, J. G. Ballard, e di lui e di altri ci parlerà Vittorio Catani
Spesso gli scrittori di fantascienza si sono dedicati alla distruzione del mondo, solitamente hanno dato il loro meglio con la catastrofe artificiale, che per anni si estrinsecò nell'esplosione della Bomba, ma anche con le catastrofi naturali non hanno scherzato. Da questo punto di vista potremmo individuare una scuola inglese che da M. P. Shiel arriva a Ballard passando per John Whindham e John Christopher. Questi autori hanno preconizzato venti infernali, alluvioni, terremoti, inverni senza fine, la distruzione della vegetazione e ogni altro sistema per mettere in crisi l'umanità e il pianeta. Però bisogna ammettere che la fantascienza non si è occupata intensamente di desertificazione, e neppure di riscaldamento globale. Quanto meno, non in modo diretto. Una ricerca condotta su Google sui termini science fiction e desertification e global warming ha portato sì a un numero elevatissimo di risposte, ma per lo più si trattava di scienziati e commentatori che parlavano genericamente di scenari catastrofici della fantascienza presi come pietre di paragone, quegli stessi scenari che in realtà la fantascienza ha frequentato in misura molto limitata. Anzi, da questo punto di vista si ha l'impressione che presso il grosso pubblico non appassionato, ci sia la sensazione che la fantascienza si sia occupata di problemi climatici più di quanto abbia fatto realmente. Soprattutto in passato, problemi come la sovrappopolazione o l'inquinamento sono stati molto più presenti nella mente degli scrittori. Anzi, a dirla tutta, soprattutto a cavallo tra gli anni settanta e l'ottanta, persino l'ipotesi di una nuova glaciazione ha generato sicuramente più testi di quanti si siano occupati o si occupino della desertificazione del mondo. Forse perché il tema di una nuova glaciazione è maggiormente scenografico? Forse perché l'idea di un nuovo diluvio universale stuzzicava maggiormente l'immaginazione? Forse perché comunque all'epoca gli scrittori non stavano né sudando come cani, né battendo i denti, e quindi il problema era meno pressante e ci si poteva giocare più innocentemente? Mah...
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