Allora, dove eravamo rimasti?
La conclusione del primo episodio della saga (The Matrix, 1999) lasciava aperta la possibilità che Neo, l'eletto, potesse rivelarsi uno gnostico pentito, un esempio di superuomo nietzscheano, che, invece di rifuggere la realtà empirica come l'opera maligna di un dio minore, impara ad interagire con essa, scoprendola manipolabile attraverso l'uso del proprio apparato conoscitivo.
Ci eravamo sbagliati, credo; ma vediamo di partire dall'inizio.
Il radicale bipolarismo uomo-macchina del primo episodio, troppo "americano" nel suo tentativo di separare con un taglio netto di spada l'esercito del bene da quello del male, viene giustamente mitigato attraverso l'introduzione di personaggi borderline, programmi senzienti ormai obsoleti, affascinanti nelle loro potenzialità, ma purtroppo poco sviluppati psicologicamente, tanto da apparire come delle vere e proprie "macchiette".
Alcuni di questi, Merovingio e Persefone, inveleniti dal fatto di non prendere più parte al ciclo produttivo che, un tempo, li appagava totalmente dando uno scopo alle loro esistenze, abbracciano il nichilismo della decadenza e si gettano nel lusso e nel sesso più sfrenato.
Altri programmi invece, il Mastro di Chiavi e L'Oracolo, si fanno, se possibile, più vicini agli umani/gnostici di Zion (notare che basta cambiare la z con la s per fare di Zion, Sion, la Gerusalemme messianica!), scoprendo che vivere significa soprattutto avere uno scopo ultramondano da compiere, una silenziosa chiamata alla quale rispondere, anche mettendosi alla prova attraverso il salto mistico della fede: il discorso finale di Morpheus sulla morte, il sacrificio e la fede ricorda molto da vicino la "scommessa" di Pascal, o se vogliamo le farneticazioni di un qualunque terrorista religioso.
La matrice filosofica gnostica, sicuramente confermata in modo più raffazzonato rispetto al primo episodio, è sempre presente in tutte le parti divulgative dell'opera, fondendosi a volte con un accenno di socialismo paternalista. I programmi senzienti, ormai decaduti e decadenti (e perciò, quale eleganza sillogistica, impersonati da attori europei!), di Merovingio e Persefone, esprimono una loro filosofia ateo-materialista (sempre macchine sono, anche se hanno le curve della Bellucci!), che pone al suo centro il dominio del binomio causa/effetto, frutto, nella mente di quei reazionari degli gnostici, della nostalgia per l'alienazione da catena di montaggio dalla quale nessuno, senza il ricorso alla fede, li può liberare.
La trinità degli eroi (Trinity, Neo e Morpheus) ribatte a questo nucleo bohemien di ateo materialisti, proponendo la redenzione attraverso la teoria agostiniana del Libero Arbitrio, che termina però, come nelle migliori dispute della Scolastica medievale, con un paradossale elogio della Provvidenza in puro stile manzoniano: "Noi siamo liberi di agire, perché Dio è buono e ci ha creati liberi; però allo stesso tempo è meglio ingraziarsi la Provvidenza, che non si sa mai!"
E per finire, ecco che alla fine del film si fa largo la scena in cui il figlio incontra il padre, l'eletto incontra il Demiurgo creatore e il Nuovo Testamento riscrive il Vecchio attraverso l'introduzione dell'amore per Trinity: il messia Neo, deve finalmente scegliere, tra la vita di pochi, eterna e ripetuta secondo le regole della matrice, o la verità della distruzione del tutto. E Neo, che non è uno gnostico pentito, come ci eravamo illusi, ma un prete della peggior specie (guardate i suoi completini da Neo-Seminarista!), sceglie appunto, da buono gnostico, la verità.
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