"La donna, che la piasa, che la tasa, che la stia in casa" recita un simpatico proverbio femminista veneto. E qui lo si applica in pieno.
Che la stia a casa: e infatti molto spesso a partire per lo spazio avventuroso erano solo i maschietti, le donne nelle varie storie rimanevano a terra, a fissare il cielo stellato, eterne penelopi confinate al telaio elettronico, anche nell'era dell'astronave. Magari partivano dopo, nella fase di colonizzazione, come sbiadite, rassegnate e ruvide mogli di pionieri, e qui si riecheggiava ancora il mito della frontiera americana. A volte c'erano famigliole nello spazio che sembravano quelle del mulino bianco, con la moglie sempre perfettina, sorridente, di buon senso, pronta ad affrontare problemi seri come rimuovere la polvere astrale dal comò dell'astronave o cucinare le razioni d'emergenza, mentre il marito combatteva eroicamente i mostri di turno, aiutato (eventualmente) dai soli figli maschi.
Che la tasa: e infatti, a giudicare dal ruolo femminile nei dialoghi, l'autore sembrava suggerirci come fosse auspicabile che le donne tacessero più spesso. Infatti avevamo femmine querimoniose, isteriche, illogiche, inopportune, lamentose, vendicative, insolenti (finché non venivano domate dall'eroe... Shakespeare insegna). E soprattutto che urlavano, urlavano tanto. Strilli di spavento per qualsiasi fenomeno ignoto, da innocui animaletti alieni a scricchiolii dell'astronave, allo sformato di trifidi che bruciava in forno. Il che era una bella rottura, suvvia.
Ora, almeno nella classica situazione donna-rapita-in-braccio-a-mostro-squamoso-dagli-occhi-di-pulce queste urla avrebbero potuto avere, diciamo, un effetto di orientamento, tipo sonar, per l'eroe accorso al salvataggio. Ma niente, in queste circostanze la sciocchina quasi sempre sveniva: solo allora finalmente stava zitta, proprio nell'unico caso in cui la sua voce sarebbe servita a qualcosa.
Che la piasa... ah, be', qui si apre un capitolo a parte. Un ruolo di abbellimento non veniva mai negato, anzi, veniva concesso generosamente, e per sottolineare la funzione svolta le eroine venivano corredate (almeno nella fantascienza disegnata o filmata: in quella scritta si potevano solo immaginare da descrizioni e copertine) di accessori inequivocabili, quali: ghiandole mammarie ipertrofiche senza bisogno di silicio... ops, volevo dire, silicone, punto vita inesistente, glutei tondeggianti e scultorei che al confronto Jennifer Lopez pare la pianura padana. Così, neanche allo spettatore o lettore più distratto potevano venire dubbi sul ruolo puramente passivo-decorativo svolto dalle femminucce di turno. E te credo: oltretutto, con quel corredo dovevano avere discreti problemi di baricentro, da non riuscire neppure a stare in piedi, altro che camminare o correre o combattere i mostri. Per cui, a meno che non si trovassero a gravità ridotta, era chiaro che la posizione per loro meno faticosa e più naturale doveva essere stare sdraiate... ehm ehm, con tutte le congetture e più o meno piacevoli prospettive che ne conseguivano.
Spesso si trattava di bambole ingenue stile Marilyn (Monroe, non Manson, che sarebbe stato già qualcosa), deliziosamente ochette. Figlie di scienziati, misteriose e improbabili aliene uscite dritte dritte dai concorsi di bellezza di epsilon eridani, a volte persino astronaute (??? Ma con che criteri le selezionavano, all'accademia?).
Se avevano qualche genere di potere, poteva essere che: a) lo usassero per il male. Ma in genere finivano sputtanate, rimediando una pessima figura, e spesso b) venivano sconfitte dall'eroe, anche se sfigatissimo e non dotato di alcun potere. Oppure c) usavano il potere per aiutare l'eroe, magari sacrificandosi, magari accettando un qualsiasi ruolo di secondo piano, da segretaria spaziale, insomma. O ancora d): preparavano la venuta di un potere più grande, detenuto ovviamente da un uomo.
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