- Credevo che saresti stato contento di vedermi. - Fissai il suo viso rugoso, tenendo a stento a bada le mie reazioni emotive. Gli avevo scritto poco dopo aver ripreso le funzioni vitali, dicendogli che per il momento preferivo non vedere nessuno. Trent'anni di assenza anziché i due preventivati avevano allontanato qualsiasi ragionevole ipotesi di riprendere la mia solita vita. Avrebbe dovuto avvertire anche Claudia, non sapevo se gradisse sentirmi dopo che ci eravamo lasciati in malo modo.

- Non posso essere contento di vedere materializzarsi il mio passato.

- Volevo sciogliere l'enigma di Michela.

Le sopracciglia di Marco si alzarono di nuovo verso la fronte, il gesto inconfondibile che esprimeva perplessità.

- Non ne avresti cavato niente. Anche Michela è stata qui, una quindicina di giorni fa, ma inutilmente. Nessuno conosce la verità. Non ti resta che l'esame del Dna. - La sua voce era fredda, priva di inflessioni.

- Michela non vuole. E' ferita dal comportamento della madre. Pretendeva di sapere da lei, ne aveva il diritto, no?

- Allora non lo saprete mai.

Michela. Il suo viso era parte irrinunciabile di me stesso. Pensai ai suoi capelli tagliati a spazzola sparati verso l'alto, ai suoi occhioni azzurri.

- Dovevo tentare.

Con il bicchiere in mano mi voltai verso la vetrata a osservare le navi ormeggiate.

- Ricordi quando andavamo al porto, la sera, a vedere le turiste che si imbarcavano per la Croazia e la Grecia?

- Certo. Oggi fanno Ancona-Spalato in mezz'ora, con gli aeroscafi. Tu ti ricorderai meglio di me, non è vero? - disse con ironia Marco.

Trentun anni e qualche mese prima. Agosto.

Proprio al porto, infatti, avevo conosciuto Claudia. Doveva imbarcarsi sulla Ionan Star che avrebbe dovuto portarla in vacanza sulle isole greche, non ancora contaminate dalle mucillaggini dell'Adriatico.

La notai in mezzo a una marea di gente. - Posso offrirti da bere? - le dissi lasciato Marco da parte.

- Perché? - Il suo accento piemontese era evidente.

- Perché sei bellissima: non basta?

Sorrise divertita, i suoi occhi azzurri a cercare il consenso delle due amiche. - Va bene, il viaggio sarà lungo, dopotutto.

Io ordinai una birra, lei un succo di frutta.

- Non bere troppi alcolici, fanno male.

- Ma li bevo apposta.

Scoppiammo a ridere, e le pieghe della sua gonna presero a oscillare.

- Senti un po'- continuai con aria melò - non partire. Rimani con me - le dissi mentre una sirena annunciava che una nave stava mollando l'ormeggio.

- C'è almeno un motivo valido? - mi chiese stando al gioco.

- Di più - rilanciai. - Sono già perdutamente innamorato di te e perderesti l'occasione di visitare una delle più belle città del mondo. Smetterò di bere e di fumare, se accetti.

- Va bene, per la seconda ragione, s'intende. Per la città - disse prendendomi in contropiede.

- Ci hai ripensato?

- No, no, è che... - la sorpresa mi aveva tagliato il fiato.

- Tutti uguali, voi uomini.

Si innamorò subito di Ancona, un po' più tardi di me.

Ero in ferie e la portai al mare. Portonovo, Sirolo, Numana. Quando vide il Passetto disse: - Avete una spiaggia urbana così bella e comoda e non la sfruttate? Voi anconetani siete pazzi.

- E' quello che ho sempre sostenuto anch'io - le risposi.

Il pomeriggio e la sera la portavo a prendere il gelato in Corso Mazzini, da Rosa o al Caffé Lombardo. Amava sedersi tra l'andirivieni della gente. - Noi non abbiamo posti così - diceva. E io gongolavo.

Poi il Duomo, il Passetto dopo cena, le passeggiate per l'Ancona storica, il tramonto a Capodimonte. A piedi per la città. Dopo una settimana era decisamente ammaliata da Ancona. Forse un po' meno dagli anconetani.