Osservai le tue mani ben curate, il profilo dolce del tuo viso e quello accentuato dei tuoi seni. La copia identica di tua madre.

All'improvviso sbiancasti. - Ma tu... sei Giorgio - la tua voce si incrinò.

Non ebbi la forza di risponderti.

* * *

Mangiasti appena un paio di bocconi della pizza che avevi ordinato, io lasciai nel piatto la metà che avevo prima di vederti. Mi chiedevo cosa ti passasse per la mente, cercai di capirlo dai lineamenti del tuo volto senza successo. Cominciai a pensare come un padre, a come potevi essere: sembravi abbastanza matura, decisa, diversa dai ragazzi della tua età. Poi, fortunatamente, dissi a me stesso di smettere subito di fare il coglione.

Ti raccontai che era un mese che ero tornato tra i vivi, che ero rimasto a Torino per sottopormi a una cura che mi riportasse in condizioni accettabili. Ti spiegai anche perché non me la sentivo di tornare ancora ad Ancona.

Mi ascoltasti in silenzio, i gomiti appoggiati al tavolo di legno, il viso raccolto in mezzo ai pugni, gli occhi socchiusi a cogliere le sfumature delle parole.

Alla fine mi stirai sulla sedia, alleggerito dall'ingombro che mi stava avvelenando l'esistenza.

Uscimmo che il temporale si era placato. Il traffico era abbastanza scorrevole, regolato da leggi stradali che impedivano l'accesso incondizionato delle auto verso il centro città. I display dei grandi orologi pubblicitari sopra i palazzi troneggiavano come torri lampeggianti. L'aria era fresca e il vecchio asfalto emanava l'odore pungente che ha sempre avuto dopo la pioggia. Il cielo, rischiaratosi di colpo, lasciava ammirare un quarto di luna crescente.

- Sono a Torino per caso, a trovare alcuni parenti e amici. Anzi, devo chiamarne uno per avvertirlo che non vado più, stasera. - Dalla tua borsa uscì fuori un cellulare e ti allontanasti di una decina di metri.

Sentii un immediato moto di gelosia verso quell'amico che dovevi vedere, non avrei saputo dire se da padre o da amante.

- Allora, come ti trovi? - mi chiedesti riavvicinandoti.

- Non troppo a mio agio. Figurati, già m'infastidiva il caos dei miei tempi.

Sorridesti divertita: - E' strano sentire parlare così una persona della mia stessa età.

Mentre passeggiavamo, mi resi conto come fossero cambiate le vetrine dei negozi rispetto a trenta anni prima: personal computer in miniatura, generi alimentari liofilizzati, distributori automatici di bevande e cibi, cartelloni pubblicitari semoventi illuminati a giorno in cima ai palazzi.

Ti parlavo della terapia cui mi avevano sottoposto per evitare traumi da risveglio e tu mi prendesti sottobraccio confidandomi che avevi sempre pensato che io fossi tuo padre. Sentii le ginocchia molli.

- Mamma non ha voluto mai dirmi niente al riguardo. Ho insistito molto, dicendole che era un mio diritto sapere, ma non ha mai voluto sentire ragioni. Quando scoprii la tua esistenza, quando sentii parlare di te dai vostri amici comuni, ebbi subito il sospetto. Tra l'altro, con un paio di conti la mia ipotesi risulta credibile.

Eri nata poco più di nove mesi dopo che ero stato ibernato, di tutto il discorso ricordo solo questa considerazione. Avevo saputo che Claudia aveva avuto una figlia, e che non le aveva mai voluto confidare chi fosse il padre. Pensai che forse Claudia, vista la situazione, avesse potuto cercare conforto tra le braccia di un altro, ma non ero mai stato troppo convinto di questo.

- Ha cinquantasette anni, adesso. Questo lo sai, vero? - Sospirasti. - Se la vedessi, non la riconosceresti. Tutti dicono che prima era dolce, disponibile, espansiva...