Barbara sorride un po'.

- Stava male, aveva gli occhi umidi di pianto, non riusciva a dormire, alcuni credevano che volesse... insomma, farsi del male.

(o farne ad altri, ricorda Barbara. Una cosa che le è rimasta impressa nella mente)

Poi ha... gridato quando un infermiere le si è avvicinato e ha cercato di calmarla e riportarla nella sua stanza. Le abbiamo dato un tranquillante per farla dormire. Come... si sente, oggi?. - La donna, che ha appoggiato il vassoio su un ripiano posto sul letto, sopra le gambe di Barbara, le apre la bottiglia d'acqua e mette due pastiglie vicino il bicchiere.

Abbastanza bene, mormora Barbara, e poi guarda fuori dalla finestra. E' vero quello che ha detto l'infermiera prima: c'è il sole, ma fa sempre molto freddo. In due parole, lo stato d'animo che sta provando lei in questo momento. Sta male da morire e non è molto sicura di capire il perché.

Un ago. L'ombra.

E' ancora a letto, quella sera non si è alzata per fare la solita passeggiata sul terrazzo, dove c'è la serra e il giardino con le panchine. L'ospedale è una specie di città, e un po' questa cosa la conforta. Perché il resto del mondo è fuori e per entrare deve avere un tesserino.

Un po', la cosa la spaventa, anche, perché tutto assomiglia sempre di più a una prigione dorata.

Gli occhi fissi sullo schermo della televisione, ma l'immagine che ha nella mente è un ago che affonda nella carne.

Tira su col naso: e poi Michele, naturalmente. Lui c'è sempre, in tutto quello che pensa, come un'ombra in un angolo del cervello, come un fantasma che può vedere e ascoltare solo lei: i suoi sussurri, i suoi sguardi...

Può guardare la televisione, o fissare il paesaggio fuori della finestra, pensare ad un ago, o a un corvo, o qualsiasi altra cosa, ma lui rimarrà sempre.

Dicono che passerà.

Che il dolore rimarrà, sì, ma col tempo lei ricomincerà a vivere.

Piano piano.

Accende una sigaretta.

E' ottimista. Un po'. Va bene, adesso non è molto sicura, le sembra tutto così maledettamente in salita, ma sa che è vero: tutto si sistemerà. Piano piano.

Sbuffa fumo, tira su col naso e si asciuga un occhio.

Forse, prima di sera, farà una passeggiata nel parco. O una sauna, magari.

Mh.

Le hanno proposto anche di andare un po' nella palestra, ma per il momento non ne ha voglia.

Aspira, guarda il fumo che sale: ha ricominciato quattro mesi fa, e ora fuma due pacchetti al giorno. E non le piace fumare. Stava meglio prima, è vero. O quando, appena ricominciato, riusciva a fumarne solo cinque-sei in una giornata. E' diventata una cosa schifosamente automatica, non ne gusta nemmeno una, di quelle sigarette. Ma è un modo come un altro per farsi del male.

Ha voglia di bere, di bere alcol fino a stordirsi e non pensare, come faceva prima di entrare lì... Fantasticare di guardare la morte in faccia e non provare paura, o rancore. Solo, mandarla a quel paese e mostrarle il dito medio.

Tossisce: Dio, che voglia di bere.

Sorseggia un po' di tè, mentre ricomincia a pensare ad un ago, e all'ombra che è Michele. Sì, Michele è un'ombra. Che le dice di non farlo.

Non farlo.

L'incubo la fa agitare nel letto, mentre fuori ci sono tuoni e la pioggia batte sui vetri. La sua stanza è illuminata dai lampi.

Barbara sta parlando con Michele, e le dice (di non farlo) che è pericoloso. Ma lui, lo stesso, si siede davanti allo schermo e digita qualcosa. Poi clicca sul mouse, aprendo il programma di posta elettronica, e indirizza delle e-mail a diversi amici e colleghi appartenenti a testate giornalistiche. Michele è determinato, lei continua a pensare che sia giusto, quello che sta facendo... ma pericoloso.