Il modello, a tre, quattro metri da noi, alza la testa e solleva una mano: - Ehi, Imit, come stai?

Il mio amico scuote la testa come un cane bagnato. - Bene, Dif, bene.

- Sono contento di vederti. - Sorride a tutti e due, cordiale, sollecito, paterno. Un educatore, direi. - Lei è una tua amica?

- Sì. - Imit fissa il fondo del corridoio. Cerca di non incontrare il suo sguardo.

Il modello si muove, si avvicina. Imit rimane con la schiena attaccata alla parete. Direi che ha paura se non mi sembrasse assurdo.

- Ci vediamo, vero? A presto. - Dif ci scivola accanto e ci supera, allontanandosi. Lo sbuffo della porta che si chiude e siamo soli.

- Puoi scollarti di lì, se n'è andato. - Dico. - Cos'è, gli devi dei soldi?

- Fottiti, Verena.

- Non è un modello qualunque. Quello è il mio M-padre. Lo sai no, io vengo da una KGS.

Annuisco. C'è scritto nelle note caratteristiche di Imit, che naturalmente ho letto. - Che ci fa qua?

- E che cazzo ne so? I modelli delle KGS non scendono mai dalle navi dei Sistemi, lo sanno tutti. Sono educatori e non sanno fare altro. Quasi impossibili da riprogrammare e non hanno idee politiche.

- Quindi?

- Quindi niente. Come la tua balena...

- Non è la mia balena.

Alza le spalle e continua come se nemmeno avessi parlato. - Come la tua balena. Un miraggio materiale, un'illusione tangibile. Chiamala come vuoi.

Siamo seduti sulla mia branda e ho la sensazione che Imit, sconvolto com'è, non abbia nessuna intenzione di ritornare nella sua cabina solo soletto. Un miraggio materiale... Attivo lo schermo - finestra mentre cerco di stabilire quanto è assurdo quello che è capitato a Imit. Fuori il vento è rinforzato. Il sole è scomparso, nascosto da nubi di sabbia e la poca luce dà la sensazione di essere sul fondo del mare. La geonave marcia ancora tranquilla, non vibra, non balla, non beccheggia. Per il momento.

- Cosa significa miraggio materiale? Non è una contraddizione in termini? - Da piccola qualcuno mi aveva letto Dante. E mi sono sempre chiesta che luce ci fosse ad accompagnare le anime dei dannati quando attraversavano il fiume. Immaginavo una luce filamentosa, come passare in un posto pieno di ragnatele. E la poca luce grigia che saliva dal basso come sul palco di un teatro. Anche se io non mai visto un teatro.

- Non lo so, cosa significa. Eppure quella balena non poteva essere lì. E Dif non poteva essere lì. Guarda: mi tremano le mani.

Vero. Sullo schermo-finestra passano, troppo veloci per riconoscerli, lampi violacei. Poi un remoto rotolare dei tuoni. Si sente alla bocca dello stomaco: un senso di vuoto e di paura.

- Il fatto che tu possa definirlo bene non significa nulla. Le parole servono a ingannare. Tanto più sono precise tanto più ingannano.

Si afferra a me e mi nasconde la faccia tra le tette. Sussulta, come se piangesse. Fisso lo schermo ipnotizzata: il vento è caduto e camminiamo sotto un cielo nero venato di lunghe, nervose ramificazioni viola. Crolliamo sulla branda e Imit comincia a trafficare con la cerniera dei miei calzoni. A quanto pare lo faremo, lo faremo lo stesso. Per un attimo sento freddo al ventre quando li abbassa. Mi mette la testa tra le gambe aperte e lo sento respirare forte, annusare. - I modelli non hanno odore, sai Verena? Nessun odore, nemmeno qui. - Con la punta delle dita mi sfiora ma senza desiderio. Con sollievo, come quando si accarezza un piccolo animale. Tengo gli occhi chiusi per non vedere lo schermo acceso. La geonave trema come un palazzo assalito dal terremoto. - Non avevano nemmeno una camera da letto, i miei Modelli. Non ne avevano bisogno. Mio padre non scoreggiava e mia madre non aveva un odore diverso quando aveva le mestruazioni.