Simultaneamente, Liselott mi cinse il collo con le braccia e io le posi le mani sui fianchi. Respirò commossa e intenerita mentre le avvolgevo la schiena con il tweed della mia giacca. Sentii una vampata salire dai lombi e un groppo in gola; quasi rabbrividii dall'eccitazione.
- Sì, andiamo a Madrid - sussurrai quando trovai la forza di sollevare le labbra dai suoi capelli. - Andiamo a Madrid e portiamo il tuo amico.
La stanza si inondò senza preavviso di luce mattutina. L'altalena ricominciava, il tempo era ritornato su se stesso alle 8,35 antimeridiane del medesimo giorno senza fine.
* * *
Tutto era pronto per la partenza, la camera di pensione disdettata, la valigia rifatta. Era mattino presto sulla Spagna, la stessa quantità di nuvole di ogni inizio altalena restava sparpagliata nel cielo.Nella penombra deserta di un'osteria, ancora addormentato per metà, ascoltavo Liselott parlare con Valerio, il ragazzo che aveva conosciuto appena due altalene prima.
Stavamo bevendo vino andaluso annacquato, mangiando tapas confezionate con tutto quanto era possibile trovare in quei giorni di magra: sardine, uova sode, frittata, olive, cipolle, cavolo bollito e altro. L'odore di fritto che proveniva dal cucinotto ci raggiungeva a zaffate e mi sentivo di vomitare.
Per curiosità osservavo il ragazzo, cercando di non farmi notare; Valerio aveva occhi quasi solo per Liselott. Era scuro di pelle, con un aspetto delicato, labbra sottili, gli occhi grandi e scuri, i capelli crespi, le mani sporche e sempre in movimento; vedeva Lisa non solo come una possibile amante, una compagna, ma soprattutto come una figura materna. Liselott non faceva che assecondarlo, trattandolo come avrebbe fatto con un fratello minore, ridendo senza malizia dei suoi errori, passandogli affettuosa una mano nei capelli, guardandolo quasi con orgoglio. Non mi sarei stupito se il ragazzo le si fosse accoccolato in grembo, sollevandole la maglia per attaccare la bocca affamata al suo seno pesante; mi veniva da ridere a immaginare la scena, la faccia del cameriere nel guardare Valerio raggomitolato in posizione fetale, le mani a coppa intorno ai seni di Lisa.
Con mio grande sollievo, non ero geloso del ragazzo; per lui provavo solo compassione. La madre era deceduta parecchi anni prima e negli ultimi momenti della battaglia di Cordoba aveva perduto ogni traccia del padre, che si trovava dall'altra parte, nell'esercito repubblicano, chissà su quale fronte; Valerio voleva raggiungerlo.
Avevamo affittato un'automobile per le undici; non potevamo fare altro che attendere. Ordinammo un'altra portata di tapas; il cameriere venne a prenderci il piatto per tornare a riempirlo senza neppure pulirlo con uno strofinaccio.
Liselott si era fatta servire una spremuta di agrumi; il ragazzo tacque osservandola con occhi adoranti. Certamente vedeva ciò che vedevo io: la straordinaria assonanza di colore fra il succo nel bicchiere di vetraccio e i capelli di Lisa, bagnati dalla luce obliqua della finestra che li scuriva. Credetti che il momento perfetto si ripetesse per una terza volta, ma non accadde: Lisa dovette accorgersi di qualcosa perché ci guardò da sopra l'orlo del bicchiere, senza posarlo. Il suo volto rimase illuminato.
Entrò un cliente che richiuse la porta dietro di sé e l'incantesimo si spezzò. Liselott riprese a parlare, io mi concentrai sul ragazzo. Pensai a suo padre, l'anarchico fuggito da Cordoba; lo immaginai sul fronte di Madrid, o a Guadalajara, o meglio ancora sulle alture della riva destra dell'Ebro, intorno a Gandesa, nascosto fino al mento in una trincea ad attendere che l'anomalia temporale si ricucisse e i falangisti tornassero all'assalto.
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