- Facciamo un patto - le proposi. - Restiamo ancora una settimana a Cordoba, poi andremo dove vuoi.

Una settimana nella Spagna atemporale significava quattordici altalene, poiché ognuna di esse durava circa tredici ore, dalle 8,35 alle 21,10 del 29 ottobre 1938. Il Tempo si era guastato, senza alcuna ragione apparente, solo all'interno dei confini della penisola iberica. Esattamente in coincidenza della frontiera con la Francia, senza alcun preavviso si passava da un universo all'altro, e si ritornava nell'universo di partenza facendo un passo indietro. Cosa era accaduto nella Spagna scomparsa? Perché il tempo della Spagna apparsa nella falla temporale continuava a passare e ripassare su se stesso, dalle 8,35 del mattino alle 9,10 di sera dello stesso giorno senza fine, la vigilia del contrattacco nazionalista sull'Ebro?

Al largo delle acque territoriali, una flotta dell'ONU incrociava bloccando chiunque tentasse di penetrare nella falla. La frontiera sui Pirenei era chiusa dall'esercito francese, lo stretto di Gibilterra pattugliato dalla flotta britannica. Pochissimi permessi di attraversamento venivano concessi, per il timore di indurre cambiamenti irreversibili nella Spagna del 1938, nel delicato periodo della guerra civile. Che influenza avrebbe avuto sul presente una seppure minima variazione in quel tempo lontano sessantasette anni nel futuro? E se invece si fosse riusciti a cambiare le sorti della guerra, a fare in modo che il governo repubblicano riuscisse a sconfiggere l'insurrezione fascista?

Tutto il mondo seguiva con apprensione le vicende all'interno della falla, in quel vasto pianeta misterioso emerso dalla marea del Tempo. Gli osservatori ONU riferivano all'esterno, come pure noi giornalisti clandestini. La Spagna era divenuta il teatro di un esperimento su scala mondiale; chi fosse a condurlo, non era dato sapere.

L'entrata e l'uscita della falla erano rigorosamente controllate dall'esterno; solo un centinaio di osservatori imparziali avevano in teoria ricevuto il permesso di penetrarvi, per necessità di cronaca storica. In un modo o nell'altro, eravamo almeno in mille noi giornalisti affluiti attraverso canali clandestini.

Gli spagnoli, chiusi fra le sconfinate pareti della falla temporale, sapevano del cambiamento esterno, si accorgevano dell'altalena. La guerra si era improvvisamente arrestata, la controffensiva nazionalista sull'Ebro era in stallo in attesa di qualcosa che risolvesse l'angoscia generale. Per la storia della Spagna moderna, il confronto sul fiume aragonese aveva un'importanza fondamentale; seppure in modo istintivo, anche in quel tempo chiunque se ne rendeva conto. Rappresentava l'ultimo, disperato tentativo della Repubblica per battere gli insorti, per acquistare fiducia e aiuto dalla Francia e dall'Inghilterra, per vedere affermati gli ideali che avevano unito una moltitudine di individui e classi diverse e attirato quarantamila volontari da tutto il mondo sotto le bandiere delle Brigate internazionali.

Nel bel mezzo di questa situazione, una stagione imprevedibile, inquietante, silenziosa si era impadronita della Spagna, delle sue sierre, delle città, della popolazione, dei due eserciti che si fronteggiavano lungo una linea lunghissima incurvata a squarciare in due il paese: da Granada a Cordoba, dall'Estremadura a Madrid, da Guadalajara al Mediterraneo, dalla foce dell'Ebro ai Pirenei.

Infine, a completare la geografia di questa Spagna sovvertita dagli uomini e dal Tempo, eravamo giunti noi: los Extranjeros, sciacalli affamati di sensazioni, avidi ricercatori di passioni violente, eventualmente mortali. Perseguitati senza pietà dalla nausea, torturati dalla noia, sospinti dal tedio di una società troppo perfettamente pianificata, non ci eravamo lasciati sfuggire l'occasione di bere al calice della passionalità spagnola ritrovata nel massimo del suo impeto.

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