La riconobbi a distanza dal colore dei capelli e rallentai per avere il tempo di osservarla. Indossava un soprabito foderato colore blu aviazione, che sulla schiena formava una graziosa mantellina a coprire anche le braccia fino sotto il seno. La vita, stretta da una cintura annodata, era dolce e sottile. La foggia e il colore del soprabito avevano un taglio quasi militare, ma il modo in cui la ragazza lo portava lasciava intendere che le si era modellato addosso durante un lungo periodo d'uso.
Liselott e il suo soprabito erano in simbiosi: quello la scaldava e la rendeva attraente, questa lo indossava come poche altre donne in tutta la Spagna avrebbero saputo fare. Al momento di incrociarci, ricambiò il mio sguardo senza interesse né indifferenza. Forse con... simpatia? Può darsi che avesse già riconosciuto in me uno Straniero.
Mi fermai, mi voltai a guardarla allontanarsi lungo il vialetto che attraversava il Patio degli Aranci; io immobile sotto il minareto della moschea, all'ombra della porta del Perdono, lei che attraversava sola il cortile striato dall'ombra netta degli aranci, delle palme, dei lecci.
Non c'era altra anima viva.
Il debole vento che aveva spirato fino a quel momento scomparve improvvisamente, fermando i capelli e le falde del soprabito della ragazza. Quasi obbedendo a una scenografia prestabilita, uno stormo di colombe bianche si staccò dai cornicioni della moschea e calò frullando le ali appena sopra la testa di Liselott.
Il tempo sembrò fermarsi. Anche Lisa pensò, credo, ciò che pensai io: l'altalena di tredici ore si era contratta ancora di più, chiudendo il Tempo della Spagna in un solo, eterno secondo di immobilità.
La ragazza si voltò verso di me, incerta; non c'era nessuno altro all'infuori di noi, e come per un miracolo concertato ogni suono si era fermato durante quei pochi attimi. Senza osare aprir bocca, la ragazza mi guardò; tornai in fretta sui miei passi rispondendo al suo richiamo inespresso.
La vita riprese improvvisa. Si udì il rombo di un camion, poi ancora il frullio di ali e il vento tornò ad alzarsi. Ma oramai il Tempo aveva raggiunto il proprio scopo: Liselott ed io avevamo fatto conoscenza.
- Sei francese? - mi domandò in spagnolo.
- Italiano - risposi, e venni a sapere che veniva dalla Svezia della seconda metà del secolo. Le rivelai di averla notata la sera precedente, subito prima della fine dell'altalena, mentre ballava a una fiesta. Era a un passo da me e stavamo parlando come solo due persone dello stesso tempo che si ritrovano in un Tempo diverso possono fare, quando compresi che non avrei voluto lasciarla andare.
Non avrei voluto che i suoi occhi si nascondessero sotto le ciglia chiare, che le sue labbra lucide si chiudessero e che Liselott si girasse allontanandosi da me, allontanandosi verso il portale della moschea.
Mi occorse solo un minuto per capire che ciò non sarebbe accaduto. Era finita la solitudine; avevo trovato un altro lupo con il quale accompagnarmi, una donna del mio stesso tempo. Provai un fastidio retroattivo per le sere passate da solo in una cameretta di pensione a masticare liquirizia, nell'attesa della fine dell'altalena.
Prendemmo in affitto una nuova camera presso una pensione tollerante, dove non ci si curava dello stato civile degli ospiti che dormivano insieme; e nella Spagna del nuovo regime non fu facile.
* * *
Quello stesso giorno in cui ritornai in camera dopo essermi recato al ponte romano, Lisa era uscita per una passeggiata ma era rientrata subito per la noia e la disperazione. Mi confessò di avere atteso alla finestra il mio ritorno per chiedermi di trasferirci insieme a Madrid o a Valencia o a Barcellona, ovunque l'atmosfera fosse più respirabile. Siccome non riuscivo a concentrarmi e a scrivere nulla, mi voltai verso di lei, sempre restando seduto al portatile.
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