Flane sconvolta vaga per la casa e infine si stende sulla poltrona appoggiandosi in modo da aderire diligentemente ai braccioli con i contatti sotto gli avambracci.

- Mikail, ancora, dove si trova?

- Le sue ultime tracce erano dentro l'unità Alfalocal andata distrutta.

- E cosa dicevano le ultime tracce?

- Con i nanorobot avevano diviso in due e ricucito il suo sistema nervoso con quello di un esemplare di coccodrillo.

- Mikail stai sognando, vero?

- L'attività cerebrale prima della perdita di contatto stava adeguandosi alle medie dei due soggetti.

- Cosa ne è stato di lui, Mikail? Abbiamo perlustrato tutte le paludi. - Flane sconvolta riversa la testa all'indietro.

Avvicino l'occhio al corpo freddo e immobile semisommerso. Si muove il petto lento. Desidero tenerlo nel caldo della bocca. Inclino le grandi mascelle aperte e con piccoli morsi lo tiro dentro. Muovo nell'acqua spingendo con forza la coda docile. Le sue braccia penzolano e la testa è abbandonata all'indietro ma sento il suo cuore battere. Il mio cuore battere.

Nella bocca tengo me stesso: lo porterò in un caldo nido. Salgo le rive di una folta isola e cauto depongo lui tra il falasco secco con la mia forte mascella. Qualcosa di metallo colpisce un dente. Raccolgo foglie secche e gliele accosto, lo copro. Mi stendo al suo fianco e con l'occhio aspetto che il suo petto riprenda ad alzarsi e scendere regolarmente. Invece noto un tremore sulle labbra bianchissime, sulle braccia sature d'acqua.

Ha bisogno di un umano. Non capisco. Non so dove andare. Mi accosto per dargli il calore dei miei fianchi e scorgo una striscia di metallo sulla sua nuca.

Un furore cieco cresce dalle viscere e sfonda ogni barriera interna. Le mie zampe stritolano la terra, la coda frusta l'aria. Rotolo indietro nei ricordi. Qualcuno doveva aspettarmi. Una bottega con la polvere, con vetri rotti. Già scivolo in acqua spingendo furiosamente. Vedo e rivedo la bottega, vedo una strada di terra rossa battuta dalla pioggia, ricordo la palude antistante. Non so dove le mie forze nascoste e brutali mi trascinano. La palude scorre ondeggiando ai miei lati. Non so dominare l'istinto. Grida nel cielo di rapaci in attesa. Solco il branco urtando i più pigri.

Fuggono i ragazzi sull'approdo gridando. La terra mi sfiora le zampe e la spingo con forza. Esco dall'acqua e risalgo lo stradone polveroso. Debbo aprire le fauci appena per respirare. Intorno inorridiscono urlando. Ecco la bottega coi vetri rotti. La porta ancora sbarrata. Qualcuno mi colpisce la schiena con sassi e bastoni. La mia mole contro la porta, la mia zampa stritola il legno. Un tonfo e sono dentro. La gente urla, chiamano altra gente. Polvere, ferro, odore di grasso stantio. Trovo un posto tra ruote e pulegge, fili e circuiti.

Si calmano le urla e scende il silenzio. Sulla porta appare qualcuno. Non vedo il suo viso nell'ombra. Si toglie il cappello e si gratta le testa, ha un sigaro in bocca e sbuffa del fumo ogni tanto davanti i suoi occhiali luccicanti. Richiudo la mascella e abbasso la testa.

- Un grosso esemplare. Chi sa quanto vale. - Capisco le parole e muovo appena le fauci. Ricordo questa voce.

Mi scruta: - Cosa ti hanno fatto, eh ? - Si rivolge agli altri. - Questo è passato sotto le mani del professore. Guarda. Un contatto Emotionchip. - E sbuffa calmo un'altra nuvoletta di fumo. - Ne avevo sentito parlare. - Dondola la testa in avanti.

Si tiene a distanza ma è curioso. Si allontana e torna con un cappio che mi avvicina alle mascelle. Mi lascio legare la bocca e qualcuno mi immobilizza la coda. Non mi muovo.