Si rivolse allora a un gruppo di passeggeri male in arnese che bivaccavano intorno a un falò fatto con pezzi di traversina, e domandò loro se sapessero nulla del treno per Braccianone.
- E noi che minchia ne sappiamo? - replicarono costoro, piuttosto abbattuti - Dovevamo andare a Catania in aereo, ma causa Etna ci hanno dirottato in stazione. Però qui a Termini il lunedì c'è lo sciopero dei macchinisti, il martedì quello dei controllori, il mercoledì quello degli scambisti, il giovedì quello dei conduttori, il venerdì quello dei cuccettisti, il sabato quello del personale di terra, e la domenica gioca la Roma...
Arrigo cominciava a disperarsi, perché l'orologio segnava le dodici e un minuto, quando sentì che qualcuno gli picchiettava su una spalla.
- Cerchi il diretto per Braccianone? - chiese un coetaneo lentigginoso carico di bagagli - Non preoccuparti: partirà in ritardo, perché la motrice è rotta. A proposito, mi chiamo Ronaldo Persichetti, ma tu puoi chiamarmi Ron.
- Piacere: io sono Arrigo Potta.
Il ragazzino restò a bocca aperta. - Vuoi dire quel Potta? Caspita! Presto, fammi vedere la fronte.
Arrigo scostò la frangetta, scoprendo la cicatrice a forma di dito medio alzato. L'altro emise un gemito d'ammirazione.
- Ho sentito parlare di tua madre, Arrigo, la famosa maga Miss Kottala Potta, e di tuo padre, il più grande stregone di tutti i tempi dal Congiuntivo Imperfetto in poi. Sono onorato di fare la tua conoscenza. Vieni: cerchiamo insieme un posto sul treno.
Arrigo si rese conto che il binario nove e 3/4 era comparso come per incanto al posto del fast-food "Spizzico", e sulle rotaie torreggiava un locomotore tutto dipinto di rosso con la scritta "Lima" gialla. I due aspiranti maghi presero posto in uno scompartimento già occupato da un altro ragazzino dall'aria altezzosa.
- Questi posti sono prenotati! - esclamò subito quest'ultimo.
- Piantala, Marfogli! - ribatté Ron. Poi sussurrò nell'orecchio di Arrigo: - E' un maghetto pariolino, si dà un sacco di arie. Non dargli corda.
- Tamarri. - sibilò Marfogli - Non dovrebbero ammettervi alla scuola di magia.
I due ragazzi lo ignorarono, e grazie tante. Dopo qualche ora, e solo grazie a diversi incantesimi (com'è noto, l'unico modo per far muovere un treno da Termini), il convoglio lasciò la stazione e si diresse verso nord. Il viaggio fu piuttosto tranquillo, tranne che per la rumorosa espulsione di alcuni sedicenti apprendisti maghi che risultarono essere napoletani senza biglietto, e per i piccoli slavi che ogni dieci minuti entravano nello scompartimento recitando signoriscusateildisturbo-permangiaregraziesignori-buonnatalesignori davanti alle facce perplesse dei due piccoli amici.
- Staranno ripassando la formula di un incantesimo. - suggerì Ron, non del tutto convinto.
Al tramonto giunsero a destinazione: la sagoma turrita del grande castello di Braccianone svettava solitario su un grande torrione di roccia a strapiombo sul lago. O meglio, avrebbe voluto svettare solitario, se non fosse stato circondato da un nugolo di villette abusive, alcune in equilibrio precario, un paio sospese sullo strapiombo, ma tutte con l'inevitabile Pajero 4x4 parcheggiato davanti, la parabola per il satellite e il nanetto da giardino regolamentare.
Gli studenti del primo anno vennero fatti scendere e condotti alla grande sala di cerimonia, ove il corpo docenti di Braccianone li aspettava per il rito del benvenuto.
- Chi è quel tipo in camicia da notte bianca e con la faccia truccata da vecchia puttana? - sussurrò Arrigo.
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