Fermo raggiunse Anchise, fissò la smorfia di rabbioso disgusto che gli stravolgeva i lineamenti e gli strappò dalle mani la pistola ormai scarica.
Anchise lo guardò come se si trattasse di un'arcana apparizione, deglutì quello che doveva essere un impasto di saliva e cenere e un gemito gli sfuggì dai polmoni.
- Perché siamo costretti a fare queste cose? - sibilò. - Quali dannazioni devono perseguitarci prima che ci illumini un briciolo di buon senso?
- Vieni, capitano - mormorò Fermo tenendolo per le spalle. - Dobbiamo pensare ai civili.
Lontano, da qualche parte nel fitto del bosco, ombre taciturne si muovevano in una guazza oleosa, e forse erano creature d'incubo come quelle che le fiamme avevano divorato.
Fermo si trattenne dall'impulso di voltarsi indietro. Che senso aveva cercare una risposta? Se non erano demoni potevano essere fascisti o tedeschi, per lui non faceva differenza.
Forse il loro era stato un sogno, un terribile incubo premonitore.
La guerra era un'ossessione che gli aveva invischiato il sangue, e non importava quale aspetto avessero i bersagli contro cui dirigevano i proiettili.
Dovevano combattere. E dovevano farlo anche se la follia e l'assurdità degli orrori che affrontavano li scrutavano dalla tenebra inconsistente di orbite vuote.
Orbite che non avrebbero dovuto esistere.
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