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- Non lo so, non so che cosa siano. Sono apparse all'improvviso, ci hanno attaccati, inseguiti, poi hanno ucciso Moreno, il mio compagno. - Si portò le mani alla bocca, le sfuggì un singhiozzo ma si riprese con coraggio. - Non parlano, non sparano, sono demoni! Li ha mandati Satana per aiutare quelli della Repubblica!

Paride la strinse a sé e lasciò che si sfogasse, un pianto silenzioso scosso da singhiozzi troppo a lungo trattenuti. Fece segno ad Anchise che era inutile, la ragazza non sapeva altro.

I partigiani non avevano smesso di sparare, i fucili stretti con spasmodica frenesia. Comprendevano che i loro colpi erano sassi gettati nelle acque di uno stagno nero, ma non desistevano, perché quello era il solo appiglio che era rimasto loro per non scivolare nelle tenebre della follia.

Le creature avevano raggiunto l'ultimo tratto del crinale e avanzavano ancora, con le uniformi lacere e la carne a brandelli che cadeva da ogni parte sotto le sferzate inutili dei proiettili.

Avanzavano, e ben presto i partigiani poterono scorgere i loro volti d'incubo.

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Quando arrivò la benzina, cinque taniche da venti litri in tutto, Anchise aveva fatto retrocedere gli uomini fino alle prime mura del paese. L'affiancavano Fermo, Paride e Milo, ognuno con una tanica. Umberto si era tenuto in disparte: a lui Anchise aveva affidato la quinta tanica.

- Facciamo in fretta - li incitò Paride, e cominciò a versare la benzina sulla neve e nelle rughe asciutte del terreno, cercando di non sollevare gli occhi per timore di veder comparire la morte alle spalle di una baionetta arrugginita.

Finalmente le taniche furono vuote, Anchise ordinò agli uomini di ritirarsi, si doveva organizzare i borghesi per l'evacuazione intanto che il fuoco si frapponeva all'avanzata di quelle creature d'inferno.

- Lasciate fare a me - disse Fermo lanciandosi verso le mute geometrie di Murello. Nell'aria aleggiava pesante l'aroma della benzina e della putrefazione, e per un attimo Anchise si sentì sul punto di vomitare, scosso da conati che gli rimpastavano le viscere.

Estrasse la pistola dalla fondina, attese che le creature si trovassero al punto giusto, e con un singulto di rabbia sparò nella neve, svuotando l'intero caricatore.

Si levarono le prime fiamme, e in un attimo l'intero versante della collina sfolgorò di un'acre tinta amaranto.

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Ardevano in silenzio, consumandosi nell'energia delle fiamme come ceppi dotati di vita propria, che non accennavano a estinguere il loro impeto neppure quando crollavano nella neve, sciogliendosi come simulacri di cera annerita.

Fermo e i partigiani avevano radunato tutti i borghesi nella piazza principale del paese, spalle curve sotto il peso dei loro pochi averi e sguardi corrucciati, ma all'improvviso giunsero delle grida dalla parte in cui la neve si stava sciogliendo nel fuoco. Erano grida di esultanza.

Fermo diede l'ordine di stare pronti, e imbracciando il fucile si diresse verso il punto in cui si alzavano nell'aria gli echi di metodiche detonazioni. Trovò il capitano Anchise ritto a gambe larghe sul ciglio della strada maestra, la pistola stretta nelle mani che lanciava saette contro i fagotti inanimi che si consumavano nel fuoco. La benzina aveva fatto il suo dovere, fiumi di neve liquida lambivano i corpi contorti e anneriti di quello che restava delle creature d'incubo. Non una, tra tutte, era ancora in piedi.