L'uomo porse il vhs a Ravic e sbuffò il fumo della sigaretta. ‹ Questa è roba forte, meglio di quella russa.
‹ Dove l'hai preso? ‹ domandò Ravic, poi sorrise con falsa condiscendenza, perché quelle erano domande da sbirro, del tipo che non piaceva a Fishta. Sosteneva di non avere più niente da perdere, ma rimaneva sempre guardingo come un gatto.
‹ Da qualcuno ‹ rispose, imitando il sorriso di Ravic. ‹ È roba che hanno sequestrato ai Serbi. Roba che dovrebbe essere segreta. Quindi... ‹ allungò una manina rapace. Ravic gli consegnò la somma accordata, tanti soldi che altri ci avrebbero campato per sei mesi. Al sorriso di Fishta, allora, s'aggiunse un poco più di sincerità. ‹ Divertiti.
‹ Non voglio divertirmi. Io cerco soltanto di capire ‹ disse Ravic sottovoce, come se non avesse potuto trattenere quella frase così ingenuamente vera.
‹ Sì, certo ‹ rispose Fishta come se nemmeno avesse sentito. ‹ Posso farti avere tutto, amico. Basta che paghi e io posso farti avere tutto.
* * *
Ore passate guardando il vuoto, ascoltando il proprio battito cardiaco, sentendosi dentro una nausea che sublimava in qualcosa di peggio, di inesprimibile, perché uno non poteva vomitare fuori la paura, la follia, quel sentirsi piccolo, disperato. Uno non poteva vomitare fuori la sua anima per poter lavar via la cancrena di cui s'era impregnata. Uno non poteva vomitare fuori più niente, ormai.La televisione e il videoregistratore su uno scrittoio di legno. Accanto a Ravic, la finestra, da cui entravano gli scintillii rosso-oro del tardo pomeriggio. In strada, una calma irreale; l'unico movimento, lento e severo, era quello di un blindato dei Caschi Blu. Nulla d'altro. A Pec continua a non fregargliene un accidente.
Per l'ennesima volta Ravic si strinse il capo tra le mani, quasi cercasse di ingabbiare i propri pensieri, di afferrarli per poterli costringere a svelargli il senso di ciò che aveva visto, o cancellarlo per sempre. In bocca, sapore di muffa. La cassetta vhs era finita, via, guardata. Adesso non c'era che cenere elettrica sullo schermo della vecchia tivvù, ma prima era stato riempito di corpi, di colori saturi, di pantaloni della divisa attorcigliati intorno alle caviglie. Di cesoie, pinze, fili elettrici. Di bocche spalancate in urli soffocati dal tasto per togliere l'audio. E di sangue. Feci. Cose anche peggiori. Cose che non avrebbe mai più potuto dimenticare.
‹ Si iniettavano la cancrena ‹ disse, mezz'ora più tardi. E gli parve d'averlo sempre detto, sempre saputo. Nella penombra della camera dell'Appuntato Berti, il suo viso pareva ancor più pallido e spigoloso. ‹ Prelevavano il pus dalle piaghe dei prigionieri e se lo iniettavano per endovena. ‹ Finse di sorridere, come se quella fosse una barzelletta, quindi si passò la mano destra lungo la faccia. Quando la tolse, gli occhi gli ardevano come per la febbre. ‹ Molte ferite, molto pus.
‹ Perché? ‹ La domanda di Berti parve cadere per terra come un insetto moribondo. Dibattersi per qualche istante e far posto al silenzio.
‹ Nel video sembrano usare la cancrena come una specie di droga ‹ fece Ravic.
Altro silenzio. Fuori la città continuava a tacere. L'aria immota, insana, soffocava la notte di Pec. Sembrava un coprifuoco decretato per l'eternità. ‹ È assurdo. Da non crederci.
Ravic scosse il capo, come a voler dire che non importava un granché. ‹ Loro ci credevano. E hanno torturato e ucciso, per farlo.
‹ Ma sono morti a loro volta.
Ravic rimase a fissare il collega pensando che anche quello non contava poi molto.
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