Tornò indietro. - Allora, professore?

- Non mi piace, è pericoloso.

- E' arrivato fin qui e adesso si tira indietro? - sibilò secco. - Non vuole più sapere cosa combinano senza la sua approvazione? Anche lei vuole far finta di niente?

Cauto e timoroso mi infilai dietro di lui. Niente muro, qui, solo rete, una deplorevole trascuratezza, e questa trascuratezza fu la causa di tutto ciò che seguì. Serra risistemò alla meno peggio il cartellone mascherando il buco. Mentre armeggiava mi guadai intorno. L'area era grande e, sorprendentemente, al contrario degli altri fabbricati statali questi edificio erano lindi e verniciati di fresco, quasi scintillanti. Grosse lampade illuminavano l'area a giorno. Tutto dava l'idea di un'efficienza che non avevo mai riscontrato in niente che facesse capo a un qualsiasi ramo della pubblica amministrazione. Palesemente il frutto di miliardi, quelli che in bilancio mancavano ogni volta che servivano per qualcosa di utile.

Pagarmi lo stipendio, ad esempio.

Serra si guardò intorno, poi corse. Lo seguii goffamente, rischiando di cadere. Arrivammo a una porta. La aprì di pochi millimetri, sbirciò all'interno ed entrò velocemente. Mi accodai ansimando per la corsa e la tensione. Sembrava un normale ufficio. Una telescrivente iniziò a ticchettare stampando una lista, e sbirciando mi accorsi che parlava proprio di quei misteri scomparsi ai tempi della gioventù di mio padre durante il Grande Dissesto Ecologico; quando gli uomini vivevano con la maschera antigas. Il foglio sembrava una lista della spesa. Attraversammo con cautela tre stanze, poi una.porta a tenuta stagna. Serra sbirciò da uno spioncino e aprì. Un capannone pieno di gabbie che imprigionavano strane creature addormentate. Guardai in alto verso il sole artificiale che splendeva come l'originale non aveva mai fatto, perennemente velato da strani aloni multicolori. Nonostante i filtri nasali l'aria aveva un odore speciale, limpido e pulito. Avanzai tra le gabbie e mi guardai intorno chiedendomi se quegli esseri, alati come gli aeroplani e che le enciclopedie definivano estinti, fossero reali o facessero parte di una grottesca allucinazione.

Allungai cauto la mano verso quella che in linea teorica poteva essere una gallina. Si svegliò e si girò verso di me, protendendo il collo a scatti. I suoi occhi vivissimi mi fissarono. Ritirai la mano, non sapevo se poteva beccarmi e non volevo far la prova.

Era questo l'essere che i dizionari etimologici definivano stupido? Fissai incantato i suoi occhi: vivi, consapevoli, intelligenti, più di quelli di tanta gente che conoscevo. Qui anche il paradosso dell'uovo e della gallina assumeva un'altra dimensione, più concreta e credibile. Un paradosso di esseri viventi, reali ed emananti un loro odore; non astrazioni logiche, nomi permutabili all'infinito senza mutamenti nel reale. Più in là c'era qualcosa che, a giudicare da una vetusta edizione della Treccani faticosamente visionata alla Biblioteca Nazionale con il mio permesso di studioso, doveva essere un gallo cedrone. Stupendo nelle lunghe, seriche penne nerastre. Tetrao Urogallus, o Gallo Cedrone, o Urogallo: che ci faceva lì? Tutte le enciclopedie lo definivano scomparso ancora prima del Grande Dissesto. Fagiani, altri uccelli, pernici... forse. Come riconoscerli da semplici disegni sbiaditi e segnati dal tempo e da mani avide di conoscenza, ammirazione, desiderio?

Da uno scivolo alla base d'una gabbia rotolò giù qualcosa. Un uovo! Lo presi con religiosa reverenza, timoroso che potesse rompersi tra le dita. Il guscio mi comunicava il suo tepore dolce e naturale, come il corpo di Francesca. Un miracolo, una sacra reliquia d'un mondo ucciso e qui egoisticamente ricostruito. Bianco, liscio, perfetto, come le imitazioni di zucchero che mio padre mi regalava a Pasqua con commozione: allora non riuscivo a spiegarmi, a capire quelle lacrime, cosa ci fosse da emozionarsi in una cosa così bella e dolce. Ma ora sì, potevo giustificare le sue lacrime; non mi limitavo a una affettuosa comprensione, come avevo fatto in tutti questi anni. Lo avvolsi in un fazzoletto e lo riposi in tasca sperando che restasse al caldo. Mi avvicinai ad alcuni volatili sconosciuti, ma Serra mi strattonò riportandomi al contesto. - Ehi, arriva qualcuno! Nascondiamoci!