Lanfranco Fabriani, collaboratore di Delos da anni, è risultato vincitore dell'ultima edizione del Premio Urania con il romanzo Lungo i vicoli del tempo, in edicola dal 17 novembre 2002.
Fabriani è nato nel 1959 a Roma, dove risiede e lavora. Probabilmente il suo nome può risultare nuovo a una gran parte dei lettori italiani di fantascienza; non lo è tuttavia per i fan più partecipi, o di più lunga... militanza. Costoro infatti ricorderanno che fin dalla seconda metà degli anni '70 Fabriani era presente a Ferrara, in alcune convention denominate SFIR (Science Fiction Round-About); e che il suo esordio come autore di narrativa avvenne poco tempo dopo, sulle pagine di una rivista amatoriale rimasta nella storia della fantascienza italiana, The Time Machine. Correva il 1982, e Fabriani (che allora era studente in Lettere; un giovane magro e occhialuto, un po' taciturno, dai modi sempre cordiali) esordì sul fascicolo n. 1/1982 di TTM - n. 40 della numerazione complessiva - con una gradevole storia breve, Studio in grigio. Nel corso degli anni sarebbero seguiti altri lavori di narrativa, sulla stessa TTM e su altre testate: Vox Futura, La spada spezzata, The Dark Side, THX 1138, Cosmo Informatore, I mondi di Delos (ed. Garden), Delos, e altre.
In totale i titoli non sono molti titoli, e tuttavia in essi Fabriani ha gradualmente perseguito e arricchito una sua visione della sf già abbozzata a partire da Studio in grigio. Nell'introduzione a questo racconto i curatori di TTM scrivevano:
"I personaggi delle sue opere non sono eroi ma persone comuni, una ordinary people che non reagisce al contesto drammatico in cui si trova coinvolta, o tutt'al più sceglie la via più facile e pacifica per uscire dal dramma. Addirittura, Fabriani dichiara di inserire i suoi lavori in un ciclo tutto speciale: l'epos dei falliti. Un'idea che gli è venuta dopo la naja, vivendo nell'ambiente ipocrita e umiliante delle caserme e che poi, evidentemente, ha riscontrato anche nel constesto borghese. L'autore rivela una situazione preoccupante: la mancanza di stimoli e di reazioni. Certo è che le storture sociali, i mostri del sottosuolo, non si fermano con la rassegnazione e il perdono."
(Sullo stesso fascicolo di TTM erano presenti racconti e articoli di Mariangela Cerrino, Gianluigi Zuddas, Angelo De Ceglie, Mauro Gaffo).
Il gallo cedrone, che proponiamo ora ai lettori di Delos, fu pubblicato nel 1986 sul n. 4 della citata fanzine barese THX 1138 e resta, a nostro avviso, uno dei racconti più riusciti e tipici di Fabriani. In un futuro imminente dai toni vagamente orwelliani, molto compromesso anche dal punto di vista ecologico e dei rapporti umani, pochi personaggi si sforzano - non senza un pizzico di autoironia - di nuotare controcorrente, coinvolti in eventi sostanzialmente minimali, ma (per così dire) significativi della "massimalità" del contesto. Lo sfondo geografico è, come in altre storie dell'autore, l'Italia, anzi la "sua" Roma; e l'insieme potrebbe richiamare atmosfere del nascente (all'epoca) cyberpunk con i suoi anditi metropolitani claustrofobici, le piogge acide, le speranze quasi dimenticate: ma a ben guardare qui siamo in un topos fantascientifico eterno, quello di un futuro di repressione e corruzione a tutti i livelli, accompagnato da istanze individuali di riscatto. Da questo punto riteniamo esista un "progresso" rispetto ai primissimi lavori dell'autore. Ad ogni modo, ispirandosi al detto scenario classico Fabriani ne riproponeva, ne Il gallo cedrone, una rappresentazione personale tracciata con mano leggera, e forse proprio per questo più pregnante.
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