Sia il romanzo di Bugaro che il film di Piccioni costituiscono derive pericolose per la percezione della fantascienza nel grosso pubblico. Quest'ultimo pare oscilli ormai tra i lobotomizzati e i cervellotici. I primi si limitano a precludersi l'accesso a tutto quanto non sia, secondo le fasce di età, playstation o talk show, i secondi decretano il successo di materiale che ingolfa i magazzini della chincaglieria soverchia nei circuiti creativi.
Nulla di paragonabile all'Alphaville di Godard.
Peccato che da tempo non si riscoprono il racconto Anima candida di Bontempelli e la pièce teatrale Minnie la candida, che lui stesso ne ricavò. Lì si ipotizzava che un intellettuale smaliziato potesse convincere un'ingenua ragazza che gli altri fossero artificiali, automi, e lei ci credesse al punto di suicidarsi nel timore di far parte di tale umanità meccanica. Mezzo secolo prima di Dick, Aldiss e Asimov.
La fantascienza non è una metafora di cui chiunque possa appropriarsi indebitamente.
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