L'anello che il suo Fausto le aveva regalato. Lo tenne a scaldarsi nel palmo della mano sotto l'ammiccare nervoso dello sguardo di Delorenzo. Attimi di silenzio. Poi l'artista chiese bruscamente: - Perché?

- E' che... - Valeria s'interruppe. Era ancora troppo presto per una simile confidenza.

Un sorriso amaro strappò l'espressione stordita dell'uomo. - Stia tranquilla, non ci tengo a sapere gli affari suoi. Ma c'era sempre un perché nei miei lavori. Ecco cosa mi ha fregato, alla fin fine: un semplice perché.

Puntellandosi ai braccioli della poltrona, l'artista si alzò con uno sforzo che scosse il corpo minuto in un lungo brivido. Valeria fece istintivamente un passo avanti per aiutarlo ma un'occhiata la trattenne facendola arrossire. Quando Delorenzo parlò di nuovo, lo fece con un calore confidenziale che forse era speranza ritrovata.

- Sei venuta qui, pronta a darmi la tua fiducia senza sapere se sono ancora in grado di lavorare, se possiedo ancora le mie apparecchiature.

- Spero di sì.

Lo sguardo dell'uomo scivolò alla sagoma lugubre di una lunga cassapanca: sembrava un sarcofago che celasse preziosi misteri millenari.

- Avrei impegnato il mio sangue fino all'ultima goccia, piuttosto che separarmene.

- Allora... - Un silenzio, un attimo trepidante. - Accetta?

Lui si guardò il dorso delle mani, come cercando una risposta positiva nel disegno violetto delle vene. - Mi ci vorrà del tempo per...

- Dieci giorni.

- Dieci? - Di nuovo incredulità sarcastica. - Per chi mi hai preso, per quel personaggio dei fumetti che si muove più veloce della luce... come si chiama... Flash?

- Deve riuscire a farmi il lavoro in dieci giorni.

- Perché tanta fretta? - L'uomo sogghignò e la prevenne alzando le mani in un ironico gesto di scusa. - Lo so, lo so. Niente domande.

- La prego. Ho assolutamente bisogno che il lavoro sia completato in dieci giorni.

Anche se non lo fece, fu come se nel pronunciare quella parole si fosse inginocchiata. E lui capì l'umiliazione che le erano costate. - Devo lavorare su un'immagine già esistente - chiese, abbandonando ogni sarcasmo - o devo crearne una nuova?

- Entrambe le cose.

Delorenzo si avvicinò all'unico tavolo che si trovava nella stanza e cercò di fare un po' di posto tra polvere e disordine. - Qui, fammi vedere.

Nella luce velata che colava dalla finestrella dell'abbaino, lui contemplò l'immagine per almeno un minuto di silenziosa, crescente tensione. Gli occhi gli si inumidirono nello sbattere nervoso delle palpebre.

- Quanto tempo fa era così? - Un'incrinatura di commozione subito cancellata dal tono asciutto del tecnico. - Non è affatto chiara e non disponiamo di inquadrature laterali e posteriori. Dovremo ricreare dal nulla un sacco di particolari.

- Glieli suggerirò io.

- Ma dovrò fare dei disegni, e questo richiederà...

- Dieci giorni. Ricorda?

Lui scosse la testa e, suo malgrado, rise. - Sei proprio un bel tipo.

- No. Sono soltanto disperata.

* * *

Il tempo scorreva. Troppo in fretta. Troppo in fretta.

* * *

- Maneggiale con cura.

L'avvertimento era superfluo, una scusa che Delorenzo si concedeva per poter parlare ancora un po' con quella donna. Valeria lo deluse. Prese le lastre di cristallo, le avvolse con cura in un panno di velluto e le ripose in borsa, in perfetto silenzio.

- Si dice che chi tace acconsente, ma non mi dispiacerebbe sentirmi rivolgere qualche parola di approvazione... o di critica.

L'uomo era sarcastico come sempre, ma il tono acido adesso era solo un espediente per nascondere il disagio. Valeria lo guardò negli occhi: chiari e fermi i propri, inquieti e bordati di stanchezza quelli di Delorenzo.

- Hai fatto quello per cui ti ho pagato.