Un sorriso negli occhi di Robert, verdi e profondi come stagni quieti. - A volte è come stare alla finestra e guardare la gente che passa.
Seguendo lo sguardo del giovane, Valeria vide quella finestra schiudersi nel cielo. L'azzurro fu ingoiato in un movimento lento, spiraleggiante, e sfumò sulla penombra della galleria 3-D. Un solo sguardo bastò ad abbracciare ogni particolare, una incredibile visione a trecentosessanta gradi: i mosaici delle finestre, le nicchie vuote degli altari, le file di cilindri luminescenti... e tre figurette miniaturizzate che prendevano il tè su una terrazza lavata dal sole.
- E' attraverso questa... finestra che si passa nell'altro mondo? Il mio mondo.
Robert annuì. - Devi sempre tenerla d'occhio. Non so esattamente cosa potrebbe accaderti se la luce del giorno ti sorprendesse qui, ma con essa tutto deve ritornare all'ordine logico che tu conosci.
Morbida e comprensiva come la sua voce, la mano dell'attrice bionda si posò su un braccio di Valeria. - Non pensarci, adesso. Abbiamo ancora tanto tempo...
Aveva ragione. La notte era appena all'inizio. Valeria si rilassò e ricambiò il sorriso. - Mi sembra di essere... Alice nel Paese delle Meraviglie - sussurrò.
- Non hai più bisogno di fiabe, ora - disse Robert.
Vero. La teiera sul tavolo sembrava la lampada di Aladino, ma non era neppure necessario strofinarla.
* * *
Non era stato un sogno. I sogni non lasciano in bocca sapore di tè alla rosa. Un sapore reale quanto il rumore dei suoi passi sul marciapiede chiazzato dall'ultima rugiada della notte, mentre lei risaliva verso la piazza. Fra i tetti si disegnava una striscia di cielo sbiadito.Il fragore del traffico le venne incontro ben prima che raggiungesse la piazza.
Valeria amava quella piazza, come tutto il resto del centro storico, e detestava vederla soffocare tra i gas di scarico delle auto. Il tempo e l'incuria ne avevano devastato il volto, parte del fascino antico restava tuttavia nelle rovine del vecchio teatro dell'opera e nella struttura semplice della fontana ammutolita dalla crisi idrica.
Il contrasto con le scene serene della notte appena trascorsa aveva un sapore di lutto. I luoghi che aveva visitato non sarebbero mutati mai, avrebbero conservato intatto lo splendore immaginato dall'artista, per sempre. Mentre la piazza, considerata un tempo il cuore simbolico della città, si offriva adesso alla vista come compendio di una degenerazione lenta, inavvertita dai più. Il porticato, tra le colonne insudiciate dai graffiti urbani, offriva rifugio a una folla stanziale di senzatetto: tutte le miserie umane erano rappresentate in quella galleria lunga qualche centinaio di passi.
Valeria infilò il sottopassaggio buio, passando tra fetori e bisbigli. Quei pochi metri a piedi, sottoterra, secondo l'opinione di alcuni erano più pericolosi di una corsa su una superstrada nell'ora di punta, ma Valeria era disposta a correre qualche rischio pur di risparmiarsi la vista delle facciate dei palazzi corrose dalle flatulenze di milioni di veicoli. Quella mattina non l'avrebbe sopportata.
* * *
Le incombenze quotidiane erano qualcosa che Valeria svolgeva con la silenziosa e indifferente efficienza di un robot. Le bestemmie e i borbottii di zio Pino, frammisti al tossicchiare catarroso, erano un rumore di fondo che da tempo non rilevava più. Si muoveva tra la tappezzeria scolorita e i mobili in stile anonimo scivolando su un velo di polvere che non si preoccupava più di togliere, irreale quanto un ologramma nell'ambientazione inadeguata. La sua vita diurna trascorreva come un sogno indistinto: tonalità smorzate, suoni appannati, in attesa della notte.
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