E' nella bestia. I tentacoli che strisciano tra gli edifici, sopra le sagome delle macchine muovendosi in una cupa danza di conquista. Greco riconosce subito i flussi spessi e rossastri del monossido di carbonio, appiattiti sul terreno e gravidi di spettrali radiazioni IR. Più in alto, con grazia, i rami ultravioletti dell'azoto e dello zolfo si intrecciano in un unione quasi carnale, interrotti da piccole nubi di particolati simili a sciami di moscerini avidi di frutta.
- Però... Non avevo mai visto niente di simile. - Greco sente la propria voce perdersi nel vortice atmosferico. Da lontano, Lagomarsino avverte: - Lo so. Fai attenzione a non andare fuori scala.
Greco getta un'occhiata veloce al pannello di controllo; la concentrazione è tale da costringere gli strumenti a un'affannosa ricerca. Attiva un piccolo switch e l'autocalibrazione entra in funzione, warm-up che si agitano ticchettando nelle tempie insieme al battito del cuore. Greco ansima muovendosi a fatica in un magma di idrocarburi invisibili che gli mordono le ginocchia. Sabbie mobili e la retta di taratura che oscilla davanti ai suoi occhi, assestandosi infine su una traiettoria di minima tolleranza. Greco registra le variazioni e sposta rapidamente le sue sonde ottiche in cerca del punto primordiale, là dove tutto è iniziato. Seguire a ritroso il flusso degli inquinanti è come risalire il fiume di una vita spezzata, mettere indietro le lancette e rovesciare i rapporti di causa-effetto. L'area adiabatica, la pressione che schiaccia le molecole di ozono. Greco analizza, converte i flussi chimici in sequenze numeriche ordinate, confronta e parametrizza mentre risale la corrente.
All'improvviso lo trova. La sfera primordiale, il punto di inizio. Subito è solo una sensazione confusa, forse le sonde difettose. Poi, mano a mano, si materializza, le cifre lo indicano con precisione, la materia si addensa come nel nucleo del sole, dura e incandescente. Greco capta il respiro asmatico dell'atmosfera malata, la gola asciutta come l'edificio che gli si para davanti. E i giganteschi convogliatori, i tunnel pneumatici per lo smistamento delle merci appena costruiti, la forza del vento intrappolata in cinque sudici tubi di acciaio e plastica.
L'illuminazione è improvvisa come un temporale estivo. - Il portoghese... Quella personalità artificiale. Cos'è che diceva? - urla Greco nel microfono.
- Te lo metto in linea. - Passano pochi secondi e pacchetti di analisi e teorie si riversano sul computer della tuta. L'aumento della velocità dei venti... I tunnel che spostano le cose ma anche l'aria che le circonda... L'aria, arrivata da lontano con il suo carico di sporcizia e sofferenza. Greco regola la lunghezza d'onda dei fotomoltiplicatori. Adesso la nota, la leggera ma costante turbolenza che fuoriesce senza sosta.
- I condotti! - Greco strepita mentre mette in fila i dati per il computer del controllo mobile. - Il portoghese ha ragione, sono i condotti! Bisogna chiuderli, e in fretta altrimenti le sostanze continueranno a concentrarsi.
- Lo vedo - risponde Lagomarsino. - Aspetta... Eccoli. Il meccanismo per la chiusura è in quell'edificio alla tua sinistra. Ti passo i dati.
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