Facciamo anche l'ipotesi che sia una profezia che si auto-avvera: non cambia il senso generale, anzi esce rafforzata quella sensazione di chiusura, come una sorta di cappa oppressiva e inevitabile, la sensazione di essere dentro una bolla, una sfera da cui non si può uscire, di cui è addirittura impossibile pensare un'alternativa (un rapporto di minoranza, che, appunto, non esiste), un fuori.

Il disagio di Anderton braccato da un sistema asfissiante che lo perseguita, lo riconosce e lo rincorre ovunque, la stessa sensazione di non aver via d'uscita, che tutto sia già stato scritto, che tutto sia fatale, tutto già previsto: c'è lo stesso disagio nello spettatore costretto ad una visone regolamentata, obbligato entro binari precisi da uno sguardo tutto tranne che libero di vagare dentro l'immagine (raramente così piatta), come un flaneur baudelariano costretto nei percorsi obbligati di un moderno centro commerciale.

Salvo, ovviamente, offrirci apparentemente, furbescamente, una via d'uscita, l'happy end, il morale della favola: alla fine Anderton ce l'ha fatta, se si guarda, se si conosce, se si vuole si sfugge al proprio destino: siamo soggetti liberi, dice Spielberg, con la volontà possiamo liberarci dal sistema oppressivo e vedere la Verità (per tornare alla felice atavica casetta, alla Famiglia, al focolare, all'Ordine, all'Organicità minacciata dalla Macchina): quanto è lontano Dick per il quale la Verità era sempre penultima!

Così come, bloccando Anderton (ovvero se stessa nella figura del proprio capo) la Pre-Crime dimostra di essere perfetta, di essere una totalità che contiene la contraddizione al suo interno, un perfetto sistema omeostatico, chiuso, impermeabile all'esterno, in grado di regolarsi da solo, così attraverso Spielberg "Autore (moralista/critico/politico)" la macchina spettacolare hollywoodiana dimostra (ci vuole far credere) di essere realmente "totale": ci dice che contiene al suo interno anche le voci critiche e dissenzienti, non è solo una macchina sforna soldi ma sa fare anche impegno politico e morale "contro", sa anche produrre film con l'anima contro se stessa e i suoi prodotti commerciali.

In ogni caso, alla fine, quello che rimane è una Globalità che contiene sia la tesi che l'antitesi e non lascia nulla "fuori", nulla che non ricada nelle sue categorie: se c'è qualcosa che non rientra in questa logica semplicemente non esiste. Cos'è questo se non il problema di un mondo monopolare, dove l'unica superpotenza rimasta pensa se stessa come l'unica realtà possibile? Ormai slegata da qualsiasi dialettica bipolare, da qualsiasi regola che un ipotetico rapporto di minoranza, se ancora esistesse, le imporrebbe? Presentandosi come una totalità che contiene al proprio interno il dissenso e la critica, relegando l'alternativa all'impensato, diviene una totalità autosufficiente e autonoma: libera, ad esempio, di attaccare l'Irak quando vuole.

Francesco Guglieri

"Un film di Spielberg"

Nel bene e nel male, direi che le 4 parole di cui sopra riassumono

perfettamente ciò che è Minority Report.

Gorgon