E poi, le illustrazioni. I libri di PK presentano un imponente apparato iconografico, in cui ci si addentra ancora prima di leggere il testo, come un trailer cinematografico. Le illustrazioni di Amato e Della Valle per Salgari e di Doré per Verne svolgevano la stessa funzione: far venire l'acquolina in bocca, suscitare la curiosità, aprire la porta all'impossibile, ottundere l'incredulità. Si tratta di immagini spesso sfocate, antiche, forse prese da quotidiani locali o da vecchie guide archeologiche o da altri libri di mirabilia, dove gli uomini indossano sahariane e caschi coloniali o fogge d'archeologo anni '40, dilettanti eleganti alla Agatha Christie insomma, e gli aborigeni siedono accanto a pietre di cui non conoscono, loro, l'esatto significato, ma hanno negli occhi inconsapevoli il ricordo degli antenati. Allineate una dopo l'altra, senza apparente relazione come le figure di un rebus o di un album surrealista, vediamo cuspidi in triangolazione sulla luna, mari sahariani, antiche pile elettriche nel museo di Baghdad, architetture di Tiahuanaco che si aprono su altre dimensioni, precise mappe d'Atlantide, dischi alati assiri, templi sommersi nel Triangolo delle Bermude, sfere piovute dal cielo osservate col microscopio da uno scienziato dell'Est, dinosauri e fulmini globulari, mostri marini esibiti da pescatori australiani, acari elettrici e disegni alchimistici, monete romane che ritraggono satelliti artificiali, erbari aztechi, teste olmeche, graffiti che riproducono astronauti, fachiri, il celebre astronauta di Palenque, le pietre di Stonehenge, un UFO contro la skyline di una città statunitense...
E le citazioni? Abbiamo già accennato alle citazioni di cui sono zeppi i libri di PK, ma un minimo di approfondimento è necessario. Brani di fantascienza si avvicendano a dichiarazioni di scienziati famosissimi e illustri luminari di cui, in realtà, nessuno ha mai sentito parlare, frasi tratte da riviste slave, russe, cinesi, tedesche, il tutto ad alimentare un "esotismo scientifico" che ricorda le continue divagazioni dei libri di Salgari, pieni anche loro di nomi misteriosi ed evocativi come banian sacri, babirusse, kriss malesi, maharatti, colpi di ramsinga, thug e sipai. Questi continui riferimenti stranianti, di un esotismo che per far colpo non può più ricorrere a costumi di paesi lontani, ché non ne esistono più, ma ad una scienza sconosciuta e misteriosa, creano una commistione scienza-mito-sapere antico che sarebbe diventata di gran moda anni dopo, nei libri alla Fritjof Capra dove la fisica quantistica si fa improbabilmente prendere a braccetto dallo Zen e da I Ching, in un caleidoscopio rutilante di benedizioni impartite allo stesso tempo da Heisenberg, Castaneda, Bohr, Oppenheimer, le Upanisad, Lao-tzu e qualche koan. Fosse nato oggi, Verne avrebbe scritto di queste cose: o forse, ne ha già scritto un secolo fa, quando il Capitano Nemo utilizzava un avveniristico e rigorosamente plausibile sottomarino per visitare i resti di Atlantide o Arne Saknussem, con un codice runico, illustrava la via per il centro della Terra.
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