Le aquile Varig impiegarono due giorni per giungere nel luogo designato per la finale, la capitale del regno orchesco. Era un posto immondo e abietto, colmo di quelle atrocità che potete immaginare ma che ora non ho tempo di raccontarvi. Vi basti sapere che era pieno di quartieri proletari per le cui vie fangose i bambini-orchi giocavano nudi, e che non vi era neppure uno di quei graziosi cottage dalle tegole d'ardesia dell'Oxfordshire che come si sa rappresentano l'unico modello di abitazione dignitosa per i veri gentiluomini.
I piccoli hobbit vennero lasciati riposare per altri due giorni in un orrido ostello nel bel mezzo di un tetro agglomerato di case dall'aspetto sinistro, o addirittura estremo sinistro, quale non si era mai visto neppure nelle favole più spaventevoli. Poi, il terzo giorno, vennero condotti allo stadio.
Era questo, dovete sapere, il famosissimo Mordorcanà, arena di tutte le più importanti competizioni sportive orchesche. Gli spalti rigurgitavano una tifoseria proveniente da tutta la Terra di Mezzo: c'erano draghi, orsi, folletti, troll, cavalieri, elfi, stregoni, nani, gnomi, goblin, uomini neri, lupi mannari, ragni, aquile parlanti e commercialisti di Voghera. Ma, soprattutto, c'erano orchi. Orchi e poi ancora orchi. Le curve e le tribune traboccavano di legioni orchesche sporche, fangose e scarmigliate, tutte impegnate nella tradizionale danza guerriera conosciuta come "torcida".
Sul palco montato al centro della tribuna numerata, sotto una teca di vetro scintillante, era esposto il Grande Trofeo, il Salmoriglion. Dovete sapere infatti che gli orchi lo detenevano in quanto vincitori per quattro volte del Campionato della Terra di Mezzo. Il trofeo era composto da quattro cristalli detti Silmaril, fusi insieme in una colata d'argento a forma di coppa: era massiccio e pesante, e gli orchi avevano più volte giurato che nessun avversario sarebbe mai riuscito a portarlo via dal Mordorcanà. Non camminando sulle proprie gambe, almeno.
Il pubblico accolse l'ingresso della squadra di casa con un boato che fece crollare una cerchia di abitazioni intorno, peraltro tutte fatiscenti nonché abusive. Gli undici giocatori carioca erano, come tutti gli orchi, spaventevoli e brutti a vedersi. Non c'era in loro né la nobiltà degli elfi né la dignità degli umani, ve lo dico io! Alcuni tra loro, orrore e abiezione, erano addirittura negri!
Trappo e i suoi, al contrario, entrarono in campo sotto un diluvio di fischi. A vederli, i giocatori orchi si leccarono le zanne ed emisero i versi disgustosi che caratterizzano la loro digestione, animalesca quale del resto è la loro natura. Scrollando le spalle, gli hobbit si disposero nel tradizionale catenaccio e attesero gli eventi.
L'arbitro diede il fischio d'inizio. Riv'ahl'doss portò subito la sfera in avanti. Era (ve l'ho già detto, vero?) brutto come un operaio e cattivo come un comunista: aveva la pelle butterata, la bava alla bocca, le gambe storte, l'alito fetente e la forfora. A ritmo di samba saltò la prima linea di difensori hobbit, con un dribbling indiavolato perforò la seconda linea, poi fece partire un traversone millimetrico per il sinistro di Ron'aldh'okk, che nel frattempo si era fatto largo abbattendo a colpi di rotula sulle gengive i due hobbit che lo marcavano. Il centravanti orchesco sparò una bordata terrificante. Con un bang sonico, la palla raggiunse e superò Mach tre.
Il pubblico si levò in piedi pronto a esultare per il gol, ma la sfera lambì l'esterno del palo di destra della porta hobbit (strinando di fiamma il legno), sfondò la recinzione a prova di proiettile e si perse nella curva tra spaventevoli rumori di vetri infranti e agghiaccianti urla di protesta.
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