
Barcellona, sì, mi è piaciuta molto. Ho mangiato bene, bevuto bene. Ho trovato un popolo simpatico, caloroso, capace di metterti a tuo agio nonostante una lieve barriera linguistica (dico lieve perché in buona sostanza le due lingue, lo spagnolo e l'italiano, hanno molto in comune, e un'incomprensione totale non si è mai verificata). Ho visto un sacco di cose interessanti e sono rimasto parecchio ammaliato dal fascino di Gaudí, un uomo che mi porterò per sempre nel cuore. Ho persino comperato una sua biografia per imparare a conoscerlo meglio. Mi sono rilassato, non ho pensato al lavoro, alle faccende di casa, nemmeno al mio amato computer e all'abitudine quotidiana della posta elettronica, fenomeno in verità rarissimo.
Ma la cosa più bella, confessiamolo, sono stati i pranzi e soprattutto le cene in compagnia di mia moglie e di Valerio, due tra le persone che più amo al mondo. Valerio ormai, da quando è assurto (giustamente) al ruolo di scrittore superstar, con la miriade di impegni che ha, lo vedo di rado, mi riesce solo di sentirlo ogni tanto al telefono e per e-mail; ma mi manca una maggiore continuità della sua presenza, della sua amicizia. Mi mancano le giornate che abbiamo trascorso assieme in passato, a estrofletterci l'uno di fronte all'altro.
A Barcellona il miracolo si è ripetuto, nuovo come la prima volta. Devo dire che noi tre formiamo un bel terzetto, un gruppo affiatato con voci soliste e notevoli capacità corali: praticamente, nei momenti in cui non eravamo troppo presi dalle scarpinate, non abbiamo mai smesso di parlare, di raccontarci, di aggiornarci a vicenda, e di ridere. Sono stati dieci giorni di rara sintonia umana, anche con alcune confessioni dolorose, come no, con una vicinanza reciproca e un affiatamento che se non li hai mai provati in vita tua non sai cosa perdi. Io per fortuna ci riesco, e sono pronto a ricominciare da capo in qualunque momento.
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