Ciò nonostante i nostri scrittori incominciarono a pubblicare "fantascienza", grazie all'apertura di spazi narrativi su alcune prime testate: il quindicinale Oltre il Cielo (anni '50); poi negli anni '60 Cosmo Ponzoni (ma solo con pseudonimi americaneggianti), le varie antologie aperiodiche Interplanet, il mensile Futuro, Galaxy e Galassia gestione Rambelli, con rubriche di racconti italiani in appendice. Poi, nei '70, le antologie e i romanzi di nostri autori nella Galassia curata da Curtoni e Montanari. Alcuni scrittori italiani erano apparsi timidamente anche su Urania (Emilio Walesko, Franco Enna) ma più spesso con il solito vezzo degli pseudonimi stranieri (Elizabeth Stern e Esther Scott; Audie Barr, eccetera). Orbene: qual era la fantascienza che ne emergeva?
C'erano due tendenze principali, pur nel costante riferimento alla science fiction americana. La prima era quella di un ricalco di tematiche e stili. Seguivo con attenzione questa fantascienza nostrana, ma a parte pochissimi esiti interessanti, la lettura lasciava l'amaro in bocca. Con la fantascienza non si poteva improvvisare o barare, non avendo alle spalle il background adeguato. Per vari motivi le imitazioni restavano tali, io stesso ero consapevole di essere - in quanto aspirante scrittore - uno dei tanti imitatori. Eppoi, diciamo la verità: perché perdere tempo con le copie se c'erano "originali" che brillavano di luce accecante. La maggior parte dei nostri autori rivelava scarsa dimestichezza con i meccanismi della letteratura di genere, una infarinatura scientifica talora "imbarazzante", ma emergeva soprattutto l'incapacità di individuare tematiche originali, padroneggiarle nelle loro estrapolazioni tecnologiche e sociali, trasformarle in materiali narrativi che avessero un respiro non provinciale. Da questo punto di vista i vari Heinlein, Asimov, Leinster, Anderson eccetera mostravano una padronanza, un mestiere, una genialità, una ricchezza di idee da lasciare sbalorditi.
Non proprio tutto dei "nostri" era da gettar via, come dicevo. Per esempio, ricordo alcuni racconti che neli ultimi anni ho riproposto ai nuovi lettori su Delos nella rubrica di "ripescaggi storici" Quando le radici: Delitto su Titano di Cesare Falessi, o il bellissimo Naufragio in una stanza di Gianni Vicario; molte storie di Lino Aldani, e varie altre cose.
Poi, e qui entriamo più nel vivo, si prospettava "l'altra via" della sf italiana.
Una via che a sua volta si biforcava, nel senso che gli autori o tentavano una contaminazione fra tematiche sf e narrativa italiana colta, o si sforzavano di coniare e sperimentare linguaggi personali. Entrambi i modi - talora mescolati - erano in fondo un sistema per aggirare il "nodo tecnologico", vero e proprio gap culturale, relegandolo a sfondo, pretesto, riferimento di comodo, per concentrare invece l'attenzione sul linguaggio, sui personaggi, sulla storia.
Al riguardo, propongo alcune "testimonianze". Questo che segue è un esempio di fantascienza che si innestava nella nostra tradizione colta. Siamo in apertura del racconto Memoria totale di Gilda Musa (1963):
La neve sul davanzale del balcone si sfalda sotto la luce vibratile, brevi colate si staccano in un polverio di cristalli minutissimi. Bianco-d'abbaglio polarizzato, sul ripiano; bianco d'ombra nel bordo rigonfio, oltre l'incidenza dei raggi. Anna pranza sola, si fa compagnia guardando oltre la vetrata senza tende, verso quel richiamo di splendore. Ogni tanto appoggia il cucchiaio sul piatto, punta il gomito sul tavolo, posa la guancia sul palmo della mano.Aria azotata, igienica. Tutto sembra coperto da cotone idrofilo, il davanzale ne è avvolto.
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