Personalmente ho sempre ammirato i tuoi lavori: quando scrivi fantascienza, bene, scrivi con molta classe. Solitamente i libri di fantascienza sono scritti in modo sciatto, poi, se si tratta di traduzioni, spesse volte c'è da mettersi le mani nei capelli, almeno questa è la mia impressione. Quando ho conosciuto te come artista attraverso le pagine di Urania con La balena del Cielo, mi son detto: "Masali non scrive solo per raccontare una storia... scrive con spirito artistico". Questa mia prima impressione non è stata smentita: La perla alla fine del mondo e I biplani di D'Annunzio sono due capolavori di fantascienza nostrana, romanzi che rimarranno sicuramente nella storia della SF. Todaro Editore di Lugano nella nuova collana Meteore ha riedito quest'anno I biplani di D'Annunzio, un romanzo che, a mio giudizio, è un po' la bibbia della fantascienza italiana: vorresti spiegare ai lettori di Delos l'idea di fondo del romanzo?
Quando ho cominciato a scrivere I biplani, era in corso la guerra che Serbia e Croazia combattevano a distanza sulla testa degli sventurati bosniaci. Erano tempi di massacri etnici, di un marasma di violenza che rendeva impossibile capire chi avesse ragione, chi fosse l'aggressore e chi l'aggredito. E non basterà certo l'istruttoria di Carla Dal Ponte, che ha mandato assolti occidente e croati per addossare ogni nefandezza al peraltro effettivamente nefando Milosevich a far chiarezza su quella guerra vergognosa. Che sembrava l'impossibile rivincita della prima Guerra Mondiale, conflitto orrendo che ci ha lasciato in eredità da un lato il fascismo e dall'altra l'irrisolta questione balcanica. Che difatti ci è tornata sulla testa, mostrando la codardia politica dell'Europa che non ha saputo far nulla per evitarla, ha lasciato mano libera alla Nato per bombardare la gente a Belgrado e poi ci mette la squallida e ipocrita foglia di fico del tribunale dell'Aia. I biplani di d'Annunzio nasce da quel clima cupo, e mette l'accento su una parte poco conosciuta, eppure importantissima, della Grande guerra: la nascita dello stato Jugoslavo.
Matteo Campini, protagonista del romanzo, capitano triestino della RFA: chi è? Ti identifichi un po' nel suo personaggio? E se sì, quanto e perché? E poi, Matteo Campini si rende conto di trovarsi dalla parte sbagliata solo quando il suo biplano viene tirato giù... Cosa significa per te essere (o trovarsi) dalla parte giusta?
Campini è una persona semplice. Cerca di fare onestamente il suo lavoro, crede in quello che gli hanno sempre insegnato e non si pone troppe domande: si sente austriaco solo perché è nato in Austria, combatte perché è il suo lavoro, la disciplina militare e la routine gli tolgono il fastidio di pensare. Si perde nelle piccinerie dei pettegolezzi tra ufficiali, fa quello che gli dicono di fare e non si interessa di politica. E' un soldato mediocre e un uomo mediocre.
Quando il suo aereo viene abbattuto, lo shock gli è salutare. Tocca l'orrore della guerra, vede morire i suoi amici, si rende conto di essere un ingranaggio per quanto privilegiato di una macchina di distruzione. Non ci sta più, qualcosa si incrina in lui. Ma non è in grado di pensare con la sua testa; così si aggrappa a Flavia, che si prende cura di lui e gli fa da mamma. Se ci pensi, la scena dell'abbattimento con cui si apre il romanzo è un parto, il pilota rinasce nell'acqua calda e salata della laguna, è indifeso nelle mani di Flavia. E da bravo bambino ubbidiente, Campini fa quello che gli chiede la figura materna della donna del futuro.
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