racconto di

Andrea G. Colombo

a.colombo@mips.it

Giuro

Un altro racconto finalista all'ultima edizione del premio Lovecraft. Un piccolo gioiellino horror di un autore che i lettori di Delos hanno già avuto modo di conoscere e di apprezzare, e che gli scorridori della rete ricorderanno certo come il curatore di un'altra bella rivista telematica, IT, dedicata esclusivamente al brivido. Andrea è un autore in grado di crescere, e di questo ne ho avuto conferma quando gli ho chiesto un racconto per un'antologia su sesso e fantascienza che presto uscirà in edicola per l'Editoriale Avvenimenti. Ormai ha raggiunto una sua consapevolezza di stile, una sua struttura narrativa personale, e questi due elementi emergono con forza nel bellissimo racconto che segue. Giuro è qualcosa di più di un racconto horror. E' la dimostrazione che per lasciare senza fiato il lettore non occorre necessariamente colpirlo al plesso solare. Basta raccontargli una storia. Questa storia. (Franco Forte)

- Siam tre piccoli porcellin... - giallo, rosso, nero.

- E' quello giallo, smettila.

- ...siamo tre fratellin... - Giallo, rosso o nero?

- Ti ho detto di tagliare quello giallo. E piantala con 'sta cantilena.

- ...mai nessun ci dividerà... - Lucio aprì la cesoia e inforcò il cavo giallo.

- Taglia e piantala, per l'amor del cielo! - lo supplicò Gianni.

Lucio fissò Gianni, sollevò un paio di volte le sopracciglia spesse come aveva visto fare a Groucho Marx in un film del Paleolitico e tranciò il cavo, - ...tra la la la laaa! - Nessuna sirena. Nessun allarme. Lucio, il mago dello scasso, trionfa ancora.

- Ti sei proprio rincoglionito da quando sei diventato padre, - gli fece cortesemente notare Gianni prima di acquattarsi davanti alla porta a vetri.

Lucio raccolse la cassetta degli attrezzi - quindici chili di ferrea illegalità - e andò a piazzarsi a fianco del compare. - La verità è che tu odi i bambini. Sei geneticamente incapace di capire quello che può provare un genitore. - Frugò nella cassetta con fare distratto. - Ti interessano solo i cavalli e quelle tue scommesse del cazzo. - Trovò il diamante e si apprestò a incidere il vetro.

- Non ricominciare! Perlamorediddio, non ricominciare Lucio! - Gianni applicò la ventosa al vetro e prese a pigiare sullo stantuffo con molta più energia del necessario. Unf unf... - Non farmi la predica, - unf unf... - non sei né mio padre né mia madre, - ci pensò su un secondo, poi aggiunse con un sogghigno pericoloso: - Se così fosse, ti avrei già staccato la testa dal collo. Unf!

Il diamante strisciava sul vetro incidendolo senza che questo si lamentasse più di tanto. Una specie di eutanasia. Lucio come il Dottor Morte. Spassoso, davvero. - Dovresti andare da uno psicologo, amico mio, dovresti proprio andarci. Potrebbe aiutarti, sai? - Lucio completò il periplo della ventosa col diamante affilato. - Vivresti meglio, più in pace con te stesso. E soprattutto la finiresti con questa tua assurda fobia per i bambini.

Gianni emise un brontolio cupo tipo dobermann e diede uno strappo secco alla ventosa. Venti centimetri di buco perfetto da far schiattare Giotto in persona. Infilò il braccio nel buco, la guancia sul vetro freddo, gli occhi sul sorrisetto idiota di Lucio. - Se avessi soldi da regalare a uno psicologo non sarei qui a cercare di entrare in casa d'altri, non trovi? - Dita che risalgono la superficie setosa dell'infisso, avvolgono la sagoma turgida della maniglia, stringono delicate ed esperte e ruotano. Tlack! - Adesso fammi il favore, - spinse il battente e spalancò la finestra, - stai zitto e muoviti.

Scivolarono nel soggiorno immerso nel buio e fradicio di silenzio come due grossi pesci predatori. Niente più scherzi ora: iniziava la parte seria, l'adrenalina entrava in circolo e allertava tutti i sensi con scatti lievi come di relais magnetici. Gianni sentì rizzarsi i capelli sottili sulla nuca. Era eccitato, una questione fisica più che mentale. Aveva mentito a Lucio: anche se avesse avuto i soldi per pagare non uno, ma una dozzina di strizzacervelli, a tutto quello non avrebbe rinunciato lo stesso. E tanti saluti anche agli estimatori del sesso: questo era dieci volte meglio. Provare per credere.

Dalla finestra filtrava lo spettro esangue della luce lunare che rendeva ancora più impenetrabile l'oscurità in fondo alla stanza, un ampio soggiorno arredato con gusto e sorvegliato da un enorme orso bianco di peluche che - morbidamente feroce - faceva il suo turno di guardia adagiato sul divano.

Bambini, pensò Gianni storcendo la bocca. Io un giocattolo così grosso non l'ho mai avuto. Già, quando era bambino, le uniche cose grosse che suo padre riusciva a procurargli erano i lividi. Soffiò fra i denti - come per dare sfogo alla pressione interna - e rifletté che forse era meglio concentrarsi sul colpo. Molto meglio. Domani mattina alle otto in punto, il Ricci e i suoi tirapiedi a quattro ante sarebbero venuti a cercarlo per battere cassa e se non avesse saldato il suo debito, dalle otto e un minuto in poi per mettersi in contatto con lui sarebbe occorsa una seduta spiritica.

- Eccola, - sussurrò Lucio sventolando la torcia schermata da una lente rossa, appena estratta dalla cassetta.

- Diamoci da fare. - Gianni avanzò silenzioso sui tappeti incendiati dalla furtiva luce scarlatta della torcia, schivò un'agguerrita pattuglia di soldatini e raggiunse l'arco che segnava la fine del soggiorno. Attese che Lucio lo raggiungesse, poi gli chiese sottovoce: - Da che parte?

- Entra nel salone e vai a destra, - disse Lucio in un'imitazione poco riuscita del giardiniere sbronzo che aveva venduto loro l'informazione.

- Mi sembrava che avesse detto a sinistra.

Lucio alzò la torcia e gliela puntò in faccia. - Balle, ha detto a destra.

Sollevò gli occhi al cielo e chiese a Dio perché mai volesse punirlo a quel modo. - Vai dove cazzo vuoi, ma muoviti.

Lucio annuì soddisfatto e varcò la soglia a torcia spianata. ...fece per urlare e se non fosse stato per la mano di Gianni che gli piombava fulminea sulle labbra a imbavagliarlo, avrebbe gridato fino a far esplodere tutti i preziosissimi cristalli dell'intera dannata villa.... Corridoio lungo, pianta di ficus, specchio antico e fece per urlare e se non fosse stato per la mano di Gianni che gli piombava fulminea sulle labbra a imbavagliarlo, avrebbe gridato fino a far esplodere tutti i preziosissimi cristalli dell'intera dannata villa.

- Non ci provare. Zitto! - soffiò deciso Gianni, gli occhi fissi verso il fondo del corridoio, nel disimpegno tornato buio dopo che Lucio aveva lasciato cadere a terra la torcia.

Lucio gli afferrò il polso e si liberò la bocca. - Ha-hai visto?

Gianni non rispose. Si chinò a raccogliere la torcia. Non rispose. Gettò il fascio di luce ora bianco (la lente rossa era andata in pezzi e giaceva inutile sul pavimento di marmo) verso il disimpegno. Non rispose.

E Lucio, alle sue spalle, vomitò.

Era ancora tutto rosso, tanto che per un attimo Gianni pensò di essersi sbagliato a proposito della lente, poi si rese conto che non era più la luce a essere rossa, ma la casa stessa. Una teoria di lunghi schizzi liquidi sul pavimento, grumi viscidi che colavano lenti come lumache sulle pareti. Tutto oscenamente rosso.

Dietro di lui, Lucio rantolò ancora un paio di volte nel lodevole tentativo di raschiare il fondo del suo stomaco e rendere partecipe il mondo dei suoi difficili processi digestivi. - Andiamo via! Subito, - riuscì a pronunciare tra un rantolo e l'altro.

Gianni registrò quella voce senza riuscire ad afferrare il senso delle parole che udiva come se gli giungessero attutite da una grande distanza, lo sguardo invischiato nelle scure chiazze di sangue che si allargavano pigre occupando tutto il suo campo visivo, il cuore che batteva forte, un pungente - e tristemente familiare - sapore ramato in bocca.

- Che aspetti? Andiamocene! Qui è successo un casino d'inferno, non vedi? - piagnucolò Lucio.

Ora se ne rendeva conto, la casa ne era satura: un odore dolciastro e appiccicoso che si infilava su per le narici per poi scivolare lungo la gola solleticandola. Il suo stomaco protestò, ma non gli diede retta. Deglutì e si mosse verso il disimpegno.

- Ma sei impazzito? - gli abbaiò dietro Lucio. - Andiamo via, stupido idiota! Se arrivasse ora la polizia saremmo nella merda fino al collo, te ne rendi conto?

Si voltò e illuminò il volto stravolto di Lucio: - Primo: siamo quasi in aperta campagna e se stesse arrivando la pula, sentiremmo le sirene almeno cinque minuti prima. Secondo: se non recupero i soldi per quel bastardo di Ricci, quello mi fa la pelle senza venire a chiedere la tua opinione in proposito. Devo fare questo colpo, ne ho bisogno. E ho bisogno anche di te per aprire la cassaforte, quindi vedi di darti una calmata e seguimi, - spostò la torcia e proseguì.

- Tu e quei cazzo di cavalli, - mugugnò Lucio avviandosi lungo il corridoio. - Tu e quei cazzo di cavalli.

Avrebbe dovuto aspettarselo. Con tutto quel sangue. Già, avrebbe dovuto, eppure quando entrò nel disimpegno e vide il cadavere dell'uomo riverso al suolo come una marionetta caduta dal decimo piano, sentì lo stomaco azzannato da un crampo tanto violento che temette di svenire. Gambe e braccia piegate in angoli assurdi, il cranio fracassato appiccicato al pavimento, gli occhi spalancati e bianchi che riflettevano la luce della torcia come due cocci di porcellana. Sull'intonaco della parete un'informe sindone rossa. SCARAVENTATO. Quel poveraccio era stato scaraventato contro la parete, poi era scivolato a terra, lentamente, allungando e deformando l'impronta di sangue che aveva lasciato sul muro. Un'immagine assurda gli balenò di fronte: Gatto Silvestro con le unghie piantate sulla parete liscia di un palazzo mentre scivola inesorabile verso il suolo. - Merda, - sibilò da dietro le mascelle serrate con forza.

- Ma ma come - balbettò Lucio.

Esatto, come? Com'era possibile ammazzare così un cristiano? E - detto per inciso - quel come non aveva alcuna implicazione di ordine morale, ma solamente e rigorosamente di ordine pratico. Chi accidenti poteva aver fatto una cosa simile? Esisteva davvero qualcuno in grado di uccidere un uomo adulto di almeno ottanta chili scagliandolo contro un muro e fracassandogli così tutte le ossa e buona parte degli organi interni?

Se sì, non ci teneva a conoscerlo.

- Beeeuuurrrrk. - Ancora Lucio. Ancora vomito. Quella doveva essere la colazione.

Anche Gianni fu sul punto di rimettere, ma non per la vista del sangue o del cadavere, quanto per la violenza implicita in quella morte orribile che lo investiva come l'onda d'urto di un'esplosione. Gli girava la testa. Doveva allontanarsi da lì. Subito. Scavalcò il corpo rischiando di scivolare sul sangue che inondava il pavimento ed entrò in quella che doveva essere la sala da pranzo, un lungo locale rettangolare dove l'odore di sangue era ancora più opprimente. Con il raggio della torcia, rovistò nervosamente la stanza. Un tavolo di cristallo al centro, una spruzzata di quadri sul muro, un grosso camino di pietra. La cassaforte! Il giardiniere aveva detto di cercare dentro la fornace del camino. Gianni partì deciso, uno due tre metri, poi inciampò su un misterioso oggetto che rotolò via con un suono legnoso. Cadde a terra come un quarto di bue appena macellato. Un'esplosione di dolore limpido nel fianco. La torcia che gli sfuggiva di mano e si metteva a ruotare impazzita come il lampeggiante di un'ambulanza. Luce, buio, luce. Luce, buio, luce. Luce: un infame Pinocchio accasciato lì accanto sorrideva felice dopo lo sgambetto perfettamente riuscito. Buio. ...una donna sulla soglia della cucina allungava le braccia inerti verso di lui, vittima di quello che si poteva definire uno sgambetto totale. Le erano state strappate le gambe. ... Luce: una donna sulla soglia della cucina allungava le braccia inerti verso di lui, vittima di quello che si poteva definire uno sgambetto totale. Le erano state strappate le gambe. Occristo! Luce, buio, STOP. Lucio aveva calato un piede misericordioso sulla torcia un attimo prima che il fascio di luce tornasse sulla donna. Gianni gliene fu grato. Vedere il cadavere di quella poveraccia faceva male agli occhi.

- E se fosse ancora in casa?

Gianni si alzò con una smorfia di dolore. Lucio immobile come un pilastro di cemento, il piede calcato sulla torcia che scricchiolava pericolosamente. Stava quasi per chiedergli a cosa si stesse riferendo, ma poi intuì e, suo malgrado, si sentì raggelare. - No, - deglutì cercando di infondere sicurezza alla sua voce, - no, chiunque sia stato se n'è già andato. Con tutto il casino che abbiamo fatto

- Credi? - Suonava quasi come un'implorazione.

Come cazzo pretendi che lo sappia, gli avrebbe voluto urlare in faccia afferrandolo per il bavero del giaccone e sbatacchiandolo contro il muro, ma prima che riuscisse ad articolare una qualsiasi risposta, avvertì la stretta della mano di Lucio sul gomito.

- C'è qualcuno, cazzo, c'è qualcuno guarda... - Lucio si chinò, raccolse la torcia e cercò disperatamente di spegnerla nel più breve tempo possibile.

Sentì chiudersi la gola. Fu come se tutto il sangue gli precipitasse di colpo verso i piedi. In fondo alla cucina. Oltre la donna. Sì, una debole luce, ora la vedeva anche lui.

Via via via! Gli urlò il codardo annidato nello stomaco.

- Andiamocene, - gli sussurrò il codardo incollato al suo fianco.

Calmati, si ordinò. Gli occhi sgranati che frugavano il buio cercando di individuare movimenti sospetti o la presenza di una sagoma umana. Calmati. Il cuore, oh, il suo cuore, un UZI da nove millimetri che esplodeva un colpo dopo l'altro nel petto. Calmati! Sì, calmarsi, ragionare, usare la testa, respirare piano e studiare attentamente la situazione. Facile a dirsi, certo, eppure c'era qualcosa di familiare in quel chiarore, qualcosa di inoffensivo e banale, qualcosa di Idiota! - E' il frigorifero, cazzo! Lo hanno dimenticato aperto, il fottuto frigorifero, - disse spavaldo irrompendo nella grande cucina, un risolino isterico trattenuto a stento sulle labbra. Lucio fece un debole tentativo per trattenerlo, ma si liberò con uno strattone e gli strappò di mano la torcia. Voleva il suo trofeo, adesso. Non poteva accettare di essersi quasi cagato sotto, era necessario porre rimedio. Procedette come un panzer guadando il nero lago di sangue della donna, dritto in rotta di collisione con il frigorifero - un modello titanico a doppia anta di quelli che si vedono solo nei telefilm americani o sui cataloghi di elettrodomestici - piazzato sulla parete a destra, in fondo al locale, con l'anta aperta perpendicolarmente al muro a celare l'interno.

- Ti posso offrire qualcosa? - disse Gianni con un sorriso storto, invitando il compare con un mezzo inchino.

Lucio scosse il capo con rabbia, le labbra compresse, gli occhi ridotti a due fessure. - Tu sei pazzo. Hanno ammazzato due persone, non sappiamo se l'assassino sia ancora in casa, rischiamo di essere incriminati per omicidio e ti metti a fare il buffone? Io me ne vado, stronzo, e la tua cazzo di cassaforte te la apri da solo! - Diede una manata rabbiosa all'anta del frigorifero. Tunf! L'anta cozzò contro qualcosa di morbido e tornò indietro. Un urlo agghiacciante esplose frantumando l'aria viziata della cucina. Lucio fissò atterrito Gianni e notò che tutta la baldanza di poco prima aveva fatto le valige e l'aveva abbandonato. L'urlo crebbe ancora per un attimo che parve protrarsi all'infinito, poi si spezzò in una serie di singhiozzi strozzati.

- Cosa cavolo - Lucio aggirò l'anta e puntò lo sguardo verso terra. - Gesù!

Gianni si affrettò a guardare egli stesso: un bambino, un piccolo, frignante, sporchissimo, dannato bambino. - Lo sapevo, eccolo qui il poppante casinista.

Lucio si inginocchiò di fronte a quel marmocchio biondiccio di almeno sei anni coperto solo da un paio di slip e avanzi di cibo. - Su, su, non piangere - Evidentemente Ugola di Dio - il marmocchio - aveva fiato da buttare, perché appena ripreso fiato ricominciò a urlare disperatissimo. - Povero piccolo, povero piccolo, - continuava Lucio con voce flautata e sofferente accarezzando la testina bionda. - E' in stato di shock, Gianni. Poverino i suoi genitori lui era qui Poverino.

- Poverino! - Gianni distolse lo sguardo da quel patetico melodramma. Ci mancava anche quello, adesso. Un dannato bambino. Che voleva fare Lucio, adottarlo? Che casino, che casino. Sbuffando, accese la torcia e la puntò sul pavimento. Quanto sangue! Avevano persino lasciato delle orme, lui e il suo socio. Dei rombi - i suoi anfibi - e delle onde - le Adidas di Lucio.

- Su piccolo, non piangere - insisteva Lucio col tono demente con cui ci si rivolge di solito ai bambini in lacrime, quasi che il loro pianto abbia facoltà inibitorie sull'attività neurale degli adulti. Il pargolo parve gradire tanto paterno impegno e l'onda isterica del suo pianto andò calando sino a un mesto mugolio liquido. - Bravo, così, non piangere, è tutto finito, tutto fi...

- Gelato, - disse Ugola di Dio tra un singhiozzo e l'altro.

- Come? - chiese Lucio preso in contropiede. Gianni lo guardò altrettanto stupito.

- Voglio il gelato. - Voce ferma, questa volta, una richiesta determinata e precisa, gli occhi gonfi e arrossati fissi in quelli di Lucio, i pugnetti stizzosi serrati con forza.

Lucio si rivolse a Gianni, sguardo interrogativo, incerto sul da farsi e quasi divertito da quell'improvvisa richiesta, così surreale in un contesto tanto drammatico.

Gianni sbuffò insofferente - che si fotta, il pupo, se gli trovo un gelato! - mentre sentiva Lucio rispondere a Ugola di Dio: - Non c'è gelato qui nel freezer. - Tornò con lo sguardo sul pavimento seguendo a ritroso il sentiero tracciato dalle loro orme. Sarebbe stato impossibile non lasciarne. L'ingresso della cucina era un'unica macchia rossa. Illuminò la donna - la madre. Era rivolta verso la sala da pranzo. Aveva cercato di fuggire dalla cucina, prima che le fossero staccate di netto le gambe.

- Voglio il gelato! - Ugola di Dio stava urlando ora.

- Buono, buono, non fare così. - Lucio il Paziente.

- VOGLIO IL GELATO! - esplose con rabbia Ugola di Dio.

La sensazione che la temperatura calasse verticalmente.

Gelato. Non c'erano impronte di bambino sul pavimento. Il moccioso doveva già essere nella cucina insieme alla madre e all'assassino. Che razza di madre fuggirebbe lasciando il figlio in balia di un mostro sanguinario? E perché quell'animale aveva risparmiato un testimone?

- GELATOOO! LO VOGLIO! LOVOGLIOLOVOGLIOLOVOGLIOOOO!

- Hei Gianni, che facciamo col pupo? Questo non la smette più.

Non era un'impressione, ora faceva effettivamente più freddo. Gianni aveva la pelle d'oca e poteva vedere la condensa del proprio alito brillare di fronte a sé nel riverbero della luce algida del frigorifero. Che diavolo succede?

- GELA - la voce vibrò alta, poi un singulto strozzato la spezzò.

- Gianni! Gianni! Oddio, sta male, questo sta male, trema tutto, guarda! - Il bambino era scosso da tremiti violenti, gli occhi rovesciati all'indietro, un mugolio disarticolato in gola, il corpicino irrigidito.

Gianni si sentì improvvisamente colmare da un panico irrazionale e gelido. Il suo sguardo prese a saltare frenetico dal volto bianchissimo del bambino alle impronte sul pavimento, sempre più veloce, sempre più veloce, seguendo il ritmo disperato della sua mente nell'affannosa rincorsa di un'idea assurda. Totalmente assurda. Gelato.

Deglutì e fece un passo indietro. - Lucio, vieni via.

- Cazzo dici? Non vedi che sta male?

- Lucio, vieni via ti ho detto. - Lucio non si mosse.

Durò tutto lo spazio di qualche secondo, ma a Gianni sembrò di assistere alla moviola di una azione di calcio. Tutto maledettamente rallentato. L'oscurità alle spalle di Lucio parve infittirsi, come se la luce sbiadita del frigorifero venisse inghiottita da un avido buco nero, un'anomalia scura che in pochi istanti si plasmò sino ad assumere una forma antropomorfa, un colosso di buio e di nulla. Gianni fece in tempo solo a sgranare incredulo gli occhi, poi il filmato accelerò improvvisamente: Lucio sollevato da terra come un bambolotto di pezza. Lucio che grida disorientato. Lucio che si schianta contro l'anta chiusa del frigorifero. Un unico terribile schiocco secco mentre il suo collo si spezza, un'unica macchia rossa sull'acciaio ammaccato dell'anta, poi è tutto finito, silenzioso e freddo.

- Voglio il gelato.

Lucio, morto, finito, Oddio, il fiato grosso, il cuore folle e pesante nel petto, la testa leggera leggera, incredulo, gli occhi che scottano nelle orbite...

- VOGLIO IL GELATO.

Gelato. La lingua spessa in bocca come uno straccio ruvido. Cos'era successo? Cosa cazzo era successo? Gelato. Spostò lo sguardo dal corpo di Lucio e guardò Ugola di Dio come se lo vedesse per la prima volta. Piccolo e mostruoso. Stava dicendo qualcosa, lo vedeva muovere la bocca disgustosa sporca di rimasugli di cibo, ma non riusciva a dare un senso a quello che udiva. E intanto la temperatura ricominciò a calare, il suo fiato tornò a condensarsi in fiocchi candidi mentre una parte del suo cervello si mise a urlare come un invasato nella cella di un manicomio criminale. Urlava disperata una sola parola, una cosa assurda da gridare con Lucio morto, lì di fronte a lui, una cosa tanto banale da risultare quasi offensiva, una cosa come... GELATO.

Fu come ricevere un ceffone in pieno volto. Mugolò terrorizzato, un brivido lo scrollò e tornò vigile. Il bambino urlava e urlava che voleva il gelato, lui voleva il gelato e il Signore gli era testimone se non avrebbe sterminato tutta la razza umana senza pensarci un attimo per un maledetto cono di fragola e limone.

E, intanto, il buio al suo fianco si stava plasmando di nuovo.

Occristo! Gianni si tuffò in ginocchio di fronte a Ugola di Dio, lo prese per le piccole spalle e lo scosse. - Te lo compro, te lo compro subito io il gelato. - Ma il buio cresceva, era lì, a un metro da lui, vibrante e nero e grosso da fare piangere e lui stava piangendo, Signore Onnipotente!, stava piangendo mentre supplicava un bambino di sei anni di accettare che lui gli comprasse un cono gelato grosso come un lampione, DIO DIO DIO TI PREGO!, telocomproioilgelato, - te lo compro io, ti giuro, ti giuro!

- Giuri? - chiese improvvisamente calmo Ugola di Dio, gli occhi socchiusi in una pericolosa espressione di diffidenza.

Gianni sentì un crampo allo stomaco.

Giuri? Gelato, peluche, giocattoli e poi ci sarebbero stati cinema, motorini, auto Giuri? I due genitori. Morti e liberi sul pavimento di quella villa enorme. Chiuse gli occhi, deglutì a fatica e si condannò.

- Giuro.

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