Il triste inganno di Cristalli Sognanti
Chiunque abbia partecipato ad un concorso sa cosa si prova nell'attesa del risultato: le mani sudano, il cuore batte forte, ci si sente piuttosto inadeguati a tutto ciò che ci circonda. Nel caso di un concorso letterario le cose sono un po' diverse perché si deve aggiungere il fatto che una propria creatura, bella o brutta, perfetta o imperfetta ma comunque nostra, è stata sottoposta a giudizio altrui. Mentre la giuria parla e ringrazia assessori e autorità in attesa di dare il giudizio finale ci si inizia a sentire male. Le aspettative, che sono andate crescendo dal giorno in cui si è ricevuto l'invito a casa per la premiazione, lievitano fino a toccare picchi vertiginosi, per poi precipitare giù e concludere "tanto non sarò io"... però ci speri. Ed hai un buon motivo per sperare: sei lì, ti hanno invitato, magari arrivi ultimo ma cosa importa? A qualcuno di sicuro è piaciuto.
Ho vissuto questa estenuante attesa tre volte nella mia vita di scrittrice agli esordi: due volte è andata molto bene, una decisamente male. E' andata male non tanto perché non ho vinto né mi sono classificata: se c'è chi scrive meglio è giusto che venga premiato, non si discute.
E' andata tremendamente male perché ho abboccato ad una grande presa per i fondelli.
MI riferisco al concorso Cristalli Sognanti, la cui premiazione si è svolta a Settimo Torinese il 19/05/2002, concorso che nel discorso iniziale (lo so, io c'ero) si è lodato di non avere eguali in Italia sul piano dei concorsi fantastici, che si avvia a divenire "il punto di riferimento del fantastico".
Ecco i fatti.
Partecipo al concorso inviando il materiale secondo le modalità richieste, a fine Aprile mi arriva a casa l'invito alla premiazione.
Telefono per chiedere se i finalisti sono già stati avvisati: non è cattiveria, io vivo a Roma, non lavoro, il concorso è a Settimo Torinese, sono soldi. Bisogna considerare il treno, andata e ritorno 88 euro, poi l'albergo, due notti, altri 84 euro, tanto per dire qualche cifra.
MI rispondono di no, nessuno sa niente, nessuno è stato avvistato, neppure di essere finalista. Okay, dico io, sicuramente non ho vinto, ma se non ci credo io, nel mio racconto, chi ci deve credere? Così parto e con me partono l'ansia, la tensione, la speranza, pessimismo e ottimismo che si alternano, piccole crisi di panico e sogni di gloria. Tutti insieme arriviamo a Torino e poi da lì a Settimo: sala consiliare.
Entro, mani gelate, tutti sorridenti.
Arrivano i musicisti locali, poi Chiaverotti e la Iuorio, poi i premi e a me sembra tutto un po' strano: poca gente per 150 racconti inviati, così hanno detto, e nessuno sa nulla.
E infatti, uno ad uno si alzano i premiati, sono nove, uno è assente, per una persona ritira il premio un'altra e tutti si salutano, tutti si riconoscono... io soffro dal decimo al primo posto perché sono stupida e ancora non voglio afferrare il fatto chi i finalisti erano già stati avvisati. MI sento una povera idiota e come me atri pochi boccaloni e ingenui scrittori che hanno creduto alla bufala. Li ho riconosciuti perché erano tesi e nervosi al mio stesso identico modo.
Ma io, che ammetto la mia stupidità, non sono però il tipo di persona che sa tacere. Vado dalla signorina sorridente e dico che non sarò dei loro per la cena dei festeggiamenti e poi chiedo: "Ma i dieci finalisti sapevano di essere tali?"
"No, nessuno"
"Be', certo che è strano, erano tutti presenti tranne uno, su 150...che incredibile coincidenza"
Nessuna risposta.
Esco fuori e incrocio due finalisti (li vedo perché hanno il premio in mano) e rivolgo loro la stessa domanda e loro:
"Certo che lo sapevamo, non conoscevamo però il posto in graduatoria".
Conferma della mia idiozia e tanta rabbia. Ci rimango malissimo.
Rientro e torno dai signori organizzatori sorridenti, riferendo quanto appena appreso. Loro ridono. Io sento le lacrime salire e le ricaccio giù, non è proprio il momento. Mi sento presa in giro. Per tre volte ho chiesto (due al telefono e una dal vivo) e per tre volte hanno negato, peggio di S. Pietro. Poi arriva l'ultima versione: "Il comune ha detto di non dire niente a nessuno"
"Bene" faccio io "allora perché c'erano i vincitori, tutti tranne uno, oltre a pochi altri poveri creduloni su 150 scritti?"
Ridono ancora e dicono "Può essere che qualcuno ha fatto qualche telefonata..."
Ed ecco servito su un piatto d'argento il concorso punto di riferimento del fantastico in Italia. Questo è quanto, aggiungo il fatto, ma è un mio parere, che erano tutti vecchie conoscenze, che più di una premiazione è sembrata uno scambio di titoli già prestabilito e deciso.
E' stata la mia terza esperienza: la prima si è svolta nel 2000 e la seconda nel 2001, una nel profondo Nord Italia e l'altra nel profondo Sud Italia e sono risultata rispettivamente prima su oltre quattrocento racconti e terza su oltre cento racconti e non ero raccomandata né parente di qualcuno della giuria o altro. Finora sono cinque le storie mie pubblicate in varie antologie e tre i concorsi in cui sono risultata nei primi tre posti.
Sicuramente il racconto mio inviato a Cristalli Sognanti non era migliore di quelli che hanno vinto, ma viste come sono andate le cose, non ne sono più tanto sicura.
Mi sono sentita defraudata delle mie emozioni, perché stare seduti due ore in attesa di un risultato che già si sapeva non essere per me positivo, fare un viaggio di andata con lo stomaco arrotolato dal desiderio di vincere e la mente che continua a ripetere "no, tanto non succede..." per qualcosa che già avevo perso... non è conforme alle leggi di umana considerazione del prossimo.
Il guadagno di tutto ciò per il comune di Settimo è stato nullo: alloggiavo a Torino e a Settimo non ho comprato neppure una bottiglietta d'acqua. La perdita per me è stata grande: nessuno mi restituirà quelle emozioni gettate al vento e consumate per fuochi fatui e bugiardi.
Marzia Marcotulli (Roma)
Ogni volta che andiamo a una premiazione ci immedesimiamo sempre negli autori che presenziano, con tante speranze che spesso si infrangono. Per quanto ne sappiamo, normalmente i finalisti vengono avvisati, per un semplice motivo di buona educazione: se si chiede a una persona di spendere tempo e soldi per partecipare a un evento, bisogna che ci sia un motivo un po' più valido che non semplicemente riempire la sala. Abbiamo chiesto a Settimo Inchiostro di rispondere o commentare questa lettera, ma non abbiamo avuto risposta.
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