Memoria, saccheggio e "Orazio"
Qualcosa ha sbloccato le mie dita e i miei pensieri.
Venerdì scorso, 23 novembre, sono andata ad un convegno contro la tortura.
Molte autorità politiche e mediche, pochi o nessuno dei salamelecchi tipici di occasioni simili, numerose e penetranti affermazioni unite ad analisi forti. Ma soprattutto dopo e insieme a tutto questo tre testimoni perché vittime di tortura. Il moderatore del convegno, ricco di autoironia, di capacità garbata e rispettosa d'ogni intervento od opinione, e due relatori, una donna e un uomo arrestati da una polizia politica ventiquattro anni fa, torturati a lungo e sistematicamente perché destinati ad una sorte esemplare. La loro sorte doveva insegnare il silenzio e il terrore ad altri giovani nella loro stessa università o città affinché non prendessero uguale decisione: opporsi alla dittatura che governava il loro Paese. Interrogati non per avere realmente informazioni; la tortura, nonostante ripensamenti agghiaccianti di qualcuno in questi giorni, si sa che non serve a questo e la confessione estorta fu (era ed è) uno degli strumenti di demolizione della personalità mediante il senso di colpa.
Dopo ventiquattro anni lottavano ancora per non farsi sopraffare dalla memoria. Esuli dopo la prigione ma per anni non interamente liberi perché divenuti uno incapace di riprendere gli studi di medicina interrotti e l'altra ripiegata a dimenticare sé per preoccuparsi di lui e dei suoi incubi; incapaci di ricordare ciò che dovevano e incapaci di dimenticare ciò che gli aguzzini avevano progettato che non dimenticassero. E solo dopo attenzioni e terapia finalmente capaci di nuovo di riprendere vita e progetti interrotti.
Una devastazione sconfinata delle possibilità di un Io - che nel loro caso era un tempo oltremodo forte - accuratamente spezzato. Una devastazione lunga anni e progettata dai torturatori per essere senza fine.
E di nuovo mi ha afferrato, spazzando via l'atarassia data dalla stanchezza, quel senso di vertigine e furia provocata dall'incontro con lo scempio costante di ricchezza, intelligenze e splendori degli umani su Terra. Erano solo tre umani dei cento che conosco, tre umani dei milioni a cui erano accadute e accadono le stesse cose. Milioni, non solo oppositori o difensori dei diritti umani, ma chi "pensa" o "è" o agisce in modo non gradito. Tre nati in due Paesi degli ottanta in cui la pratica è sistematica e dei centocinquanta in cui comunque c'è. Di Paesi dove tutti i rapporti umani e le relazioni interpersonali sono ormai deformati e modificati dal calcolo, dalla diffidenza date dall'insicurezza e fragilità del diritto, dal terrore diffuso. Tre fra i tanti che per tutta la vita lotteranno con i "torturatori interiori", che ancora dopo anni dovranno difendersi dalla paura di auto che si fermano davanti a casa nella notte, dalla paura per una stanza troppo piccola, per un rumore, per un ricordo tattile, per una circostanza qualsiasi che farà affiorare la memoria. Tre fra i tanti che nella vita di ogni giorno avranno vergogna della propria paura. Vergogna di non riuscire a nascondere un panico non spiegabile che li attaccherà all'improvviso. Tre fra i pochi fortunati che hanno avuto terapie attente e amici affettuosi. Tre fra i tanti che sussultano nel sentire ridere la platea al cinema alla battuta di Danko: "Prima picchio poi faccio domande" o impallidiscono nel vedere sullo schermo l'ennesimo eroe che "attraversa" la prova dell'interrogatorio nemico e solo attraversandola resta eroe. Tre fra i tanti che allibiranno all'ennesima rappresentazione filmica della grandezza anche nel Male del tenebroso "cattivo", molto più simile al Riccardo III di Shakespeare che ai grigi funzionari che li torturavano come se fosse un lavoro e un compito.
Un elefante sta attraversando la savana. Senza pensare cammina sopra un formicaio e con la sua mole travolge e distrugge tutto. Alla fine del suo passaggio il formicaio è ridotto a un cumulo di macerie, le formiche superstiti sono sparse dappertutto e molte sono rimaste attaccate al corpo dell'elefante.Infastidito, il pachiderma si scuote e si scrolla di dosso tutte le formiche, tranne una che rimane penzolante dal suo collo.
Dal basso si sente urlare: "Dai Orazio, strozzalo!"
(Grazie Andrea per questa storiella che oltre a farmi ridere allora serve a farmi pensare adesso)
Forse scrivere narrativa che smentisce menzogne offensive, miti bugiardi e osceni sulle violazioni dei diritti umani, sulle vittime e sui responsabili che dilagano dai media, dai film dai budget miliardari, dai cartoni animati stravisti, dai telefilm fa pensare alla formica Orazio. Ma Orazio appeso al collo dell'elefante non si è arreso. Spero che nel mondo di chi scrive fantascienza gli "Orazio" siano tanti...
Fine novembre 2001
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