Da sinistra Vittorio Catani, Claudio Asciuti, Domenico Gallo, Rocco Ragone, Montepulciano 1986
Da sinistra Vittorio Catani, Claudio Asciuti, Domenico Gallo, Rocco Ragone, Montepulciano 1986
L'importanza della fantascienza risiede dunque nel riuscire a estrapolare gli elementi innovativi di un periodo storico, realmente esistenti ma ancora in via di completa determinazione, e approntare una narrazione in cui questi elementi sono completamente determinati. Non è certo una fantascienza che prevede il futuro, piuttosto che annusa il presente. E ciò che annusa è, in maniera particolare, la politica.

Si tratta ovviamente di macro linee, ma se leggiamo un romanzo appena uscito per Fanucci come Guerra santa di Jean-Marc Ligny, ci vediamo descritta l'Italia di Berlusconi e Fini. Qualcuno ne sarà entusiasta, altri ne saranno terrorizzati... Dunque la politica nella fantascienza è lecita, anzi senza queste intuizioni politiche la fantascienza neppure esisterebbe. Ovviamente la fantascienza non esprime razionalmente e consciamente un tipo di politica (e abbiamo esempi molto eterogenei), ma coglie lo spirito dei tempi, amplifica e materializza le ossessioni e le paure, visita le utopie e, in generale, le distrugge, entrando a buon diritto nell'ambito dell'elaborazione politica. A conforto delle mie opinioni segnalo un buon numero monografico sulla globalizzazione della rivista Diorama (il 246), un'iniziativa che qualcuno definirebbe di destra, che dedica alcune pagine interessanti alla fantascienza politica. Se poi qualcuno si azzarderà a dire che la fantascienza non è tutta così, e per fortuna ci sono le elucubrazioni tecnologiche che politiche non sono, lo rimando a due libri di David Noble tradotti in Italia, La religione della tecnologia e Progettare l'America!

Parlare di fantascienza e politica in Italia, invece, comporta rinvangare una patetica e lunga storia di fascisti, democristiani e comunisti che, per anni, hanno utilizzato la fantascienza più come luogo che come cultura. Luogo in cui si esprimevano scontri che avevano origine altrove, in altri luoghi come piazze, scuole, fabbriche e, purtroppo, anche banche e stazioni.

Andrej Zdanov era, forse, un uomo intelligente e cattivo che è passato alla storia per aver dato il più grande contributo alla costituzione di un codice destinato a regolare l'attività artistica, ovvero ad annullare quel processo di deformazione che è tipico dell'immaginario e che, di fatto, è una delle massime espressioni di libertà. Questo zdanovismo, che in Unione Sovietica venne teorizzato e applicato apertamente, non è però caratteristico solo della realtà orientale precedente al 1989, ma si è manifestato, e si manifesta ancora oggi, anche nei regimi occidentali. Una rivista autorevole come Le Monde Diplomatique lo chiama ingenuamente Pensiero Unico, e si tratta di una evoluzione dei principi di Zdanov che, ma guarda che caso, si trovano a proprio agio anche nel mondo capitalista e nell'Italia berlusconiana. Concettualmente possiamo definire come neo-zdanovismo il complesso delle forme di pressione dirette e indirette che comportano la direzione delle forme artistiche (e dell'informazione) dal parte del potere politico.

Se l'immaginario, inteso come forza operante sulla realtà per comprenderla e stravolgerla, svolge una funzione intrinseca di cambiamento, e quindi è funzionale a chi il potere non lo detiene, il neo-zdanovismo, invece, celebra il potere esistente e aspira a perpetuarlo.

Nel 1976 conobbi il primo appassionato di fantascienza degno di questo nome. Si chiamava Bruno Baccelli ed era di Carrara. Bruno è morto da diversi anni. Era appena uscito da Avanguardia Operaia, un gruppo che in quegli anni diede vita a Democrazia Proletaria, e in seguito Bruno divenne sempre più anarchico, come è destino di quelle terre apuane. Io avevo bazzicato il Movimento Studentesco (quello di Mario Capanna), ma all'epoca non avevo ancora nessun gruppo politico di riferimento. Bruno animava una fanzine dal nome Fantasia Sociale, che era una di quelle che era apertamente della nuova sinistra, come Cavalieri Neri e Novae Terrae. A Milano, a nostra insaputa, si stava organizzando Un'Ambigua Utopia, il collettivo storico della sinistra fantascientifica.