Dopo il riflusso. Cyber+punk

William Gibson
William Gibson
Con la sparizione di Robot e l'avvento del famigerato edonismo reaganiano, personalmente mi allontanai a lungo dalla fs, "colpevole" (ai miei occhi di allora) d'aver fallito proprio mentre pareva stesse creando qualcosa. Comunque dopo il 1980 la science fiction - quella residua, cioè soprattutto il cinema sf (tra le pochissime testate amatoriali sopravvissute - o nate - negli anni Ottanta segnalo - per quanto ci interessa qui - la già nominata Intercom, THX 1138, The Dark Side. Negli '80 Internet ancora non esiste, si sviluppano però le Bbs e appaiono i primi tentativi di pubblicazioni su supporto magnetico ed elettronico) mi parve sprofondare in un buco nero interminabile, arretrando su posizioni formali e contenutistiche di un quarantennio prima, anche se le nuove leve parevano non accorgersene. Si era tornati alla trionfale rivisitazione delle fiabe spaziali e dei megaimperi galattici in stile Jack Williamson o Edmon Hamilton che senz'altro ci avevano fatto sognare, ma in altri tempi. Unica differenza: l'evoluzione dei trucchi cinematografici. I quali però spesso facevano rimpiangere un vecchio cinema di serie D ma con maggiori contenuti. Intanto, non a caso, dilagava una fantasy stucchevole e ripetitiva.

Una fantascienza calata in qualche modo nel sociale sarebbe tornata, ma sotto spoglie diverse. Mi riferisco al cyberpunk. Neuromante di William Gibson (1984) resta probabilmente un romanzo-chiave di fine Millennio, ma il suo primo impatto fu per me - suppongo anche per altri - quanto meno sconcertante, per l'universo che vi si rappresentava. Onnipervasività e amplificazione dei nuovi media, mutazioni genetiche incontrollate, proliferazione di mafie, delinquenza, violenza, precarietà; estremo degrado ambientale; perdita di potere delle istituzioni e comunque sparizione di uno Stato dalle connotazioni sociali anche minime. In tale contesto, i personaggi si muovevano come marionette o come attori di uno smisurato ma claustrofobico videogioco, ai limiti della legalità e interessati esclusivamente alla propria sopravvivenza. Un universo immobile, una sorta di "fine della Storia" . Se era l'esempio della nuova fantascienza, meglio - veniva da pensare - le "guerre stellari"...

Una reazione a caldo non del tutto giustificata. Approfondendo l'universo cyberpunk sono poi emersi elementi di notevole interesse, anche "politico". Molte anticipazioni di Bruce Sterling, di Pat Cadigan, Neal Stephenson, John Shirley (e dello stesso Gibson) hanno trasmesso messaggi non banali. In primis, un sano senso di insofferenza verso i poteri forti. Inoltre la convinzione che le nuove tecnologie possano e debbano essere "di tutti", e che solo una loro adeguata padronanza da parte delle fasce basse possa contrastare i nuovi scenari di potere. Idea che forse appare ingenua, utopistica; forse significa ignorare che computer e Internet furono e sono perfettamente funzionali alla famigerata globalizzazione di economia industria e finanza, agli aspetti più deteriori della new economy e al neoliberismo ; d'altro canto, però, senza rete non esisterebbero e-mail, hacker (altra cosa dai "cracker"), né la stessa Delos, né i movimenti no-global. Sappiamo inoltre che la rete è osteggiata in misura proporzionale alla non-democraticità degli stati, dalla Cina fino all'Afghanistan dei Taleban (Va precisato che il presente articolo è stato scritto prima dell'11 settembre 2001. Esso in realtà amplia un 'pezzo' che apparve nel 1990 sulla rivista Progetto memoria, diretta da Valerio Evangelisti. Chiaro che dopo l'episodio delle Twin Towers molte cose assumono un aspetto differente; la stessa fantascienza (nel suo piccolo) si ritrova per vari motivi a dover fare i conti con il nuovo scenario e a interrogarsi su se stessa, i suoi limiti e la sua funzione: all'argomento sono dedicati in alcuni interventi sul n. 68 di Delos, cui rimando eventualmente il lettore. Ho ritenuto quindi che non fosse il caso di revisionare ulteriormente il testo, già riscritto per queste pagine.) ma anche nelle democrazie occidentali si sta facendo il meglio per soffocare la rete: il che - a me, almeno - la rende de facto più simpatica. Il puro spirito cyber accetta certe tecnologie, se ne impadronisce, le usa come arma di ritorsione. Romanzi e racconti pullulano di personaggi che fanno di questa idea una filosofia di vita. Il che dimostra che il cyberpunk non è acritico (almeno, non sempre) nei confronti della tecnologia e del reale.

Il cyber è anche un fenomeno che ha travalicato i confini della pagina scritta. Esso è stato il centro di una nuova convergenza culturale e dei media che - come ha scritto Larry McCaffery - ha riunito "scrittori, videoartisti, esperti di computer graphics, produzioni cinematografiche e tv, performance art. Hacker e movimenti controculturali techno partecipano quindi a un progetto radicale politico, che è forse anche l'unica risposta possibile al paradosso che caratterizza la società moderna: tanta miseria di comunicazione reale in una rete semiotica mai prima così ricca." Nel suo volumetto God save the cyberpunk (Synergon, 1993) Mafalda Stasi scriveva: "Nel nome Cyber/Punk si condensano le due maggiori correnti ideologiche che fanno il movimento; e mentre il punk è il padre arrabbiato, che contribuisce all'atteggiamento anarchico e di rifiuto, la rabbia e l'aggressività, la nuova scienza della cibernetica è una madre di ghiaccio".

Si potrà discutere su una certa confusione e ambiguità di questo movimento, ma non può negarsi il suo iniziale atteggiamento di opposizione, il desiderio di offrire - nonostante tutto - una alternativa sociale ai suoi eroi, il suo sforzo di capire le nuove realtà socio-massmediali e intravvederne gli esiti, la sua forza di coniare un linguaggio entrato nell'uso corrente (quanti generi narrativi possono vantare un simile risultato?), infine la sua diffusione attraverso media che non fossero solo carta stampata. Perché sono stati cyberpunk anche musica, cinema, fumetto, scene teatrali, performances, perfino nuova chirurgia estetica (il volto "polimorfo" della francese Orlan, il corpo "obsoleto" di Stelarc, hanno riscritto in modo aggressivo la nozione tradizionale di identità e di "umano"; così come la ridiscute il noto fenomeno della "frammentazione del sé" in rete). L'insieme di valenze anche extraletterarie ha, inoltre, indotto alcuni a definire il cyber un vero e proprio movimento, se non l'ultima avanguardia artistica del XX secolo. Cosa poi sia realmente giunto in Italia di tutto questo, è altro discorso.

Da tempo il cyberpunk ha sostanzialmente terminato la sua parabola, ma lasciando un marchio indelebile.