Quel che colpisce è dunque l'"immagine" di per sé con la sua forza nuda; gli autori hanno imparato a presentala con un opportuno corredo di spiegazioni - esigenza sentita più dal mondo degli autori che da quello dei lettori - ma la spiegazione è superflua e semmai serve a togliere virulenza all'immagine stessa, garantendo la possibilità di addomesticarla con lo strumento di cui l'uomo va più fiero: la conoscenza e la ragione (è questo probabilmente il significato di quella frase secondo cui la "fantascienza è la narrativa della speranza").

L'interesse a esorcizzare gli aspetti più perturbanti del novum fa però sospettare che la sua vera efficacia sia nel campo lontano dalla ragione e perciò ci si dovrebbe chiedere quale possa essere il vero significato (il significato emotivo profondo) delle immagini della fantascienza. Il lavoro è ancora tutto da compiere, ma una prima lista di immagini potrebbe essere: l'alieno, l'intelligenza meccanica, la terra senza sole, l'astronave come veicolo, la città nella cupola (e l'astronave come contenitore, lo scafandro spaziale), l'arma a raggi, oltre a concetti più complessi come il trasferimento delle memorie e della personalità in altro corpo, i paradossi temporali.

Probabilmente ce ne sono altri. Lem aveva scritto una volta pagine importanti sul paradosso temporale, ma non l'aveva ricondotto alle sue strutture emotive profonde. Io una volta avevo fatto uno studio sulla città (con grandi debiti nei riguardi di Bob Sheckley) e magari lo riprenderò una delle prossime volte, anche se è solo uno studio parziale (del resto gli studi sono sempre parziali...).