Introduzione
Imitare Jules Verne è una sfida apparentemente abbordabile. Ciò perché, in qualche modo, tutti noi che scriviamo SF prima o poi lo abbiamo preso a modello. Non c'è dubbio infatti che la narrativa di estrapolazione scientifica debba molto, nella sua forma e impostazione, ai celeberrimi romanzi dello scrittore francese (da Ventimila leghe sotto i mari a Dalla Terra alla Luna, da Viaggio al centro della Terra a Il giro del mondo in 80 giorni. La sua augusta presenza nella Storia della letteratura di genere lanciava e lancia tuttora un'ombra talmente ingombrante che non è possibile sottrarvisi.
Nel nostro immaginario le idee di Verne, la sua sensibilità, i suoi chiodi fissi, sono diventate archetipi della stessa Idea SF (con la maiuscola). Citiamo ad esempio l'ottimismo nella Scienza, l'entusiasmo per la scoperta, l'amore per l'esplorazione e per la sfida, la visione della Natura destinata a sottomettersi alla volontà dell'Uomo.
E citiamo, perché no, anche una certa misoginia (le storie di Verne sono, in massima parte, storie di uomini narrate per uomini, in cui le donne hanno ruolo quasi nullo), un certo sciovinismo culturale (che vuoi farci, quelli sono cannibali!), un certo compiacimento nell'esibizione della cultura (come qualifica delle persone di alto rango), tutte caratteristiche che da Verne in poi sono diventati luoghi comuni della narrativa fantascientifica, quasi che portare avanti concetti diversi fosse un vile tradire la memoria del Padre.
E' vero, in seguito l'influenza di Verne è diminuita. Ma non è cessata del tutto. Si pensi ad esempio alla corrente dello Steampunk, che può essere considerata, in qualche modo, un omaggio a Verne, alle sue atmosfere di un Ottocento eroico e vigoroso, probo e illuminato che forse in realtà non è mai esistito, o lo è stato solo in alcuni salotti francesi o in club londinesi frequentati da gentiluomini (e interdetti alle donne), dove si fumava tabacco raffinato discettando di massimi sistemi mentre fuori dalle finestre una Miseria dickensiana divorava la povera gente e fuori dall'Europa il Colonialismo kiplinghiano si pappava il mondo.
Si pensi a Nathan Never, che continua a citare Ventimila leghe sotto i mari: l'alter ego di Nathan Never si chiama Nemo, e comanda un'astronave/sottomarino in cui vedere il Nautilus è immediato, persino il vero nome di Nemo (Dakkar) è citato. E si pensi a un film moderno come "Ritorno al Futuro", ove Doc Emmett Brown si confessa incondizionato ammiratore del romanziere francese, al punto di battezzare i suoi figli uno "Jules" e l'altro "Verne".
D'altra parte, forse imitare Verne è troppo facile, nel senso che è immediato prendersi gioco del suo stile. Perché, diciamolo sinceramente, all'occhio del lettore moderno il fraseggiare ottocentesco di Verne è qualcosa di stomachevole, da epistassi nasale galoppante.
Eppure vogliamo farlo, forse perché l'unico Viaggio del Tempo possibile è proprio questo. Attraverso la Scrittura, questa splendida e potente Time Machine che, se non permette di diventare immortali, consente almeno alle storie di perpetuarsi in eterno, ci si può ad esempio immergere in un Ottocento fascinoso come quello di Verne, e pensare che è esistito un secolo in cui ci si esprimeva in maniera abominevole, si pensava in termini di padroni e servitori, si escludevano le donne, ma si era anche capaci di far volare la fantasia sino alla Luna e ancora più su.
Alla prossima.
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