Come annunciavamo pochi mesi fa, gli USA si apprestano a rimettere piede sulla Luna. Il ritorno non è più soltanto la meta politica indicata dal presidente George W. Bush nel gennaio dell’anno scorso. Ora la Casa Bianca ha approvato il piano elaborato dalla Nasa nei mesi scorsi definendo con precisione come, quando e dove sbarcare di nuovo sul nostro gemello spaziale. La spedizione è fissata per il 2018 e vedrà protagonisti quattro astronauti che poggeranno i loro piedi in una zona del polo sud lunare. Vi rimarranno per sette giorni, alloggiati in una colonia le cui caratteristiche saranno analoghe alle basi antartiche. La scelta ha privilegiato quest’area perché le sonde Clementine e Lunar Prospector hanno raccolto indizi sulla presenza di ghiaccio d’acqua nei crateri. Dal ghiaccio gli astronauti potranno ricavare ossigeno e idrogeno che serviranno sia per i motori dei razzi impiegati nei collegamenti con la Terra sia per la vita della futura colonia.
E questo è solo il primo obiettivo dell’operazione lunare, al quale è poi legato il futuro sbarco umano su Marte, uno dei fiori all’occhiello della propaganda repubblicana. La riconquista della Luna permetterà infatti di collaudare le tecnologie necessarie al grande balzo cosmico. Il piano della Nasa era già pronto da sei settimane, ma il suo esame è stato rinviato per affrontare le prioritarie conseguenze del disastro di New Orleans. Il nuovo amministratore dell’ente spaziale, Mike Griffin, dopo il suo arrivo in aprile ha accelerato la definizione del progetto per rispondere alle richieste della Casa Bianca, spinto anche dalla necessità di sostituire gli shuttle giudicati ormai troppo rischiosi e troppo onerosi per le tasche dei contribuenti. Il disarmo della flotta è previsto per il 2010.
Dopo di allora, entrerà in servizio la nuova astronave concepita per soddisfare sia i collegamenti con la grande base orbitale sia i viaggi lunari. L’ordine di Mike Griffin nello sviluppare il piano battezzato Exploration Systems Architecture Study era quello di utilizzare il più possibile tecnologie già esistenti per evitare sprechi di tempo e aumentare gli standard di sicurezza. Così, per quanto riguarda l’impostazione della missione si è ricalcata quella delle spedizioni Apollo degli anni Sessanta. Per i mezzi, invece, si riutilizzano quelli che oggi compongono il sistema degli shuttle. Ogni volo sarà impostato in tre fasi. Prima sarà spedito nello spazio un grande razzo (analogo al Saturno V dell’Apollo) alto 115 metri e capace di portare in orbita 125 tonnellate. Esso avrà a bordo il modulo per lo sbarco sulla Luna agganciato al razzo che servirà a dare la spinta verso l’obiettivo. L’insieme sarà derivato dall’attuale serbatoio dei propellenti dello shuttle, userà gli stessi motori a idrogeno e ossigeno liquidi ed anche i due razzi ausiliari a propellenti solidi. Una volta raggiunta l’orbita partiranno i quattro astronauti sistemati in una capsula a forma di cono analoga alla vecchia Apollo, ma di dimensioni maggiori. La capsula verrà lanciata da Cape Canaveral con un razzo derivato anch’esso dagli stessi razzi ausiliari dello shuttle. Intorno alla Terra la capsula si aggancerà al modulo lunare e inizierà la traversata cosmica verso la Luna della durata media di tre giorni. Infine il modulo lunare sbarcherà gli astronauti nella stazione polare.
La Casa Bianca ha rilanciato il ritorno sulla Luna anche in seguito ai piani spaziali annunciati dai cinesi, che immaginano lo sbarco dei loro astronauti intorno al 2020. Dunque, per certi aspetti, si è riaccesa la corsa alla Luna che aveva segnato gli anni Sessanta, quando la sfida era tra Washington e Mosca. Ora i conti si fanno, invece, con Pechino e sarà interessante vedere come i russi intenderanno comportarsi. Nei prossimi giorni al Congresso americano inizieranno le discussioni sul piano e soprattutto sui 100 miliardi di dollari in 12 anni che la Nasa prevede di spendere per concretizzarlo e mantenere la superiorità americana nello spazio. Su questo argomento, è noto, il Congresso ha già rivelato la sua sensibilità.
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