Scritto da Ehren Kruger, lo stesso sceneggiatore dei due Ring, ma anche di thriller dal finale sorprendente come Arlington Road e Impostor nonché del prossimo I fratelli Grimm di Terry Gilliam, The Skeleton Key offre allo spettatore piani di lettura differenti. Da un lato c’è il thriller puro dalle venature horror con la storia della ragazza sola che si trova dinanzi ad eventi inquietanti. Dall’altro, invece, c’è il viaggio all’interno della cultura vodoo in una New Orleans sexy e misteriosa.
Suggestioni differenti che il regista Iain Softley (KPAX) sembra riuscire a cogliere alla perfezione dando vita ad un film di genere che, però, alla fine sembra lasciare qualcosa di più allo spettatore dei ‘consueti’ horror orientali.
Non perché la cultura degli Stati Uniti sia più vicina alla nostra sensibilità. Anzi. In certi momenti è, forse, perfino difficile raccapezzarsi tra rituali creoli e superstizioni cajun. Piuttosto perché il film gioca con leve emotive differenti che partendo dal paradigma della ragazza sola in pellicola, flirtano pericolosamente con forme di violenza psicologica dalla natura profonda e inquietante, perché radicate in qualcosa di arcaico e misterioso.
The Skeleton Key sembra fare leva su qualcosa di più profondo e personale, dei vari sbudellamenti dei film horror che siamo abituati a vedere di solito. La paura che questa pellicola è in grado di esprimere si fonda su un elemento vagamente impalpabile, ma al tempo stesso estremamente forte che accomuna i film della tensione che più decisamente si sono radicati nel nostro immaginario collettivo. Come L’esorcista e Rosemary’s Baby, anche The Skeleton Key prende le mosse da una realtà normale se non – addirittura – banale: una giovane studentessa che per mantenersi è costretta a fare la badante di una coppia d’anziani in cui il marito ha avuto un ictus che lo ha praticamente privato della parola. La casa isolata dove abitano marito e moglie sembra serbare un segreto che – un giorno – viene rivelato alla ragazza: ottanta anni prima una coppia di schiavi di colore era stata assassinata per avere provato a fare un rituale vodoo sui figli della famiglia che abitava lì. Per questo motivo erano stati tolti tutti gli specchi dalle pareti. Per evitare che vi si potessero riflettere i fantasmi che infestavano la dimora.
Lacerato tra superstizione e scetticismo, tra la cultura di una città come New Orleans e il razionalismo tipico della costa orientale degli Usa, The Skeleton Key sorprende lo spettatore per motivi diversi: da un lato Kate Hudson offre un’interpretazione sexy e matura, dall’altro – ovviamente – nulla è come sembra fino ad arrivare ad un finale a sorpresa in grado di riscattare qualsiasi possibile cliché si veda nel film.
Veloce, travolgente e tutt’altro che truculento o scontato, la forza della produzione sta oltre nelle atmosfere della narrazione anche nelle varie interpretazioni degli attori: da Gena Rowlands a John Hurt fino ad arrivare al giovane, ma sempre più interessante Peter Sarsgaard in grado di mantenere fino all’ultimo una grande ambiguità.
Una normalità che progressivamente, quanto inesorabilmente sembra prendere una piega tutt’altro che consolatoria e che – alla fine – viene stravolta da un finale più duro e spietato di quanto possa sembra di primo acchito, a causa di tutte le implicazioni che porta con sé. Un film da vedere, perché intenso e al tempo stesso – nel suo genere – 'piacevolmente' divertente e terrorizzante.
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