Memories of green

di Vittorio Curtoni

Memorie robotiche (4)

Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Il terzo stadio del lavoro preparativo consistette nell'allacciare rapporti con collaboratori esteri. In questo mi fu utilissimo Gian Paolo Cossato, traduttore ed esperto di sf, che aveva vissuto per anni a Londra e conosceva mezzo mondo. Tramite lui entrai in contatto con diversi curatori di fanzines straniere, fonti preziose per un mensile che ambiva fra le altre cose a essere un organo d'informazione aggiornato all'attualità; e fu Gian Paolo a vendermi le interviste che uno scrittore francese, Patrice Duvic, aveva fatto a numi tutelari della sf come Harlan Ellison e Theodore Sturgeon. Dall'Inghilterra entrò nel mio staff Peter Weston, l'editore di quell'eccellente fanzine che era stata Zenith Speculation: Peter raccontò i temi classici della fantascienza in una lunga serie di articoli.

I miei rapporti con l'estero crebbero continuamente di quantità e qualità.

Dopo l'uscita dei primi fascicoli, mi venne l'idea di spedire un numero campione agli agenti letterari americani, chiedendo loro il favore di recapitarli ai vari autori; e quelli lo fecero. Nella maggioranza dei casi, furono poi gli scrittori stessi a rispondermi, dando il via a una splendida stagione di rapporti epistolari. Il fatto è che quasi tutti, pur non conoscendo l'italiano, restavano molto colpiti dall'impostazione della rivista, dal look che aveva, ed erano in genere felici di offrirmi le loro opere anche a prezzi di favore. Ci fu addirittura chi arrivò a dirmi: "Ti mando questo pezzo. Se ti piace, pubblicalo. Se vuoi, pagami, ma non è necessario." E me lo scrisse Raphael Lafferty!

Non per offendere qualcuno, ma non posso fare a meno di dire che tra autori americani, inglesi, tedeschi e francesi non ho riscontrato quasi mai la spocchia che era invece tipica di tante delle loro controparti italiane. Entro il 1977 davo del "Bob" a Robert Bloch e Robert Silverberg 1; ricevevo lettere entusiaste da Brian Aldiss, James Gunn, Katherine McLean; Roger Zelazny accettava di farsi intervistare gratis via posta aerea; mi inviavano fotografie e autobiografie da pubblicare assieme alle traduzioni dei loro racconti giganti come James Ballard, Arthur Clarke, Ursula Le Guin 2, Fritz Leiber; stabilivo rapporti di tale familiarità con George R. R. Martin, che stravedeva letteralmente per Robot, da ricevere le sue confidenze sulla crisi matrimoniale che stava vivendo 3; venivo sommerso da paccate di volumi in inglese, molti dei quali corredati di deliziose dediche.

La rivista stava facendo strage di cuori illustri. Una delle cose più fantastiche che mi siano mai successe si verificò nel giugno del 1976 a Ferrara, dove si teneva la convention italiana 4. Gli ospiti d'onore erano John Brunner e Theodore Sturgeon. Sturgeon in effetti arrivò lì per una incredibile coincidenza: era ospite di Brunner in Inghilterra, e quando Brunner partì per Ferrara si portò appresso l'illustre collega americano.

Non credo che una fortuna del genere sia mai capitata ad altri organizzatori di conventions, almeno in Italia. Sul terzo numero di Robot era appena uscito un magnifico racconto lungo di Sturgeon, Gente (Need), tradotto da me, accompagnato dal suo "ritratto" scritto come sempre da Caimmi & Nicolazzini e dall'intervista di Duvic con corredo fotografico 5.

Sebastiano Fusco, all'epoca curatore della fantascienza dell'editore Fanucci con De Turris, me lo presentò, e io ovviamente gli regalai una copia del fascicolo; e Sturgeon ne fu talmente felice che mi investì di una celestiale ondata d'entusiasmo. Ho ancora la mia copia firmata da lui, una reliquia veramente senza prezzo. Rientrato negli States, Sturgeon fece pubblicità a destra e a sinistra a Robot: in autunno mi arrivarono racconti da autori americani esordienti che avevano avuto l'indirizzo della casa editrice, con sperticate lodi per la rivista, da lui!

Ho accennato al look di Robot. Vale la pena parlarne più ampiamente. Il formato era quello tradizionale da edicola, all'incirca lo stesso di Urania, ma la cura grafica che venne messa nell'allestimento non aveva precedenti in Italia (e, che io sappia, non ha avuto seguiti). Una decisione presa a priori, proprio nell'ottica di creare una vera rivista, fu quella di dare il massimo spazio possibile all'iconografia nel reparto saggistica/informazione: fotografie di autori, copertine di libri, fotogrammi di film. Tutto quel che volete. Chissà quanta gente ha incontrato per la prima volta la faccia di uno scrittore amato su quelle pagine. Non di rado è successo anche a me. Quel che so di certo è che ogni mese era una faticaccia reperire il materiale necessario, ma ce l'abbiamo sempre fatta. I miei collaboratori erano instancabili anche su quel fronte.

La creazione dei logo che identificavano le singole rubriche (le cosiddette, nel gergo editoriale, "testatine") fu opera di Marcella Boneschi, la grafica di Armenia. Marcella era digiuna di fantascienza, ma aveva fantasia e capacità tecniche da vendere. Lei, Armenia e io abbiamo discusso minuziosamente di ogni singola testatina, procedendo per tentativi fino al risultato definitivo: un'immagine stilizzata che potesse rappresentare in sintesi il contenuto della rubrica. Ho sempre pensato che Marcella abbia fatto un lavoro eccezionale. Il tocco di raffinata eleganza grafica di Robot si deve soprattutto a lei. E al grande nome dell'illustrazione fantascientifica che ha impreziosito la rivista coi suoi disegni in bianco e nero, e con tante copertine, Giuseppe Festino, entrato a fare parte della ciurma col sesto numero (settembre 1976) 6.

Cantare le lodi dell'arte di Giuseppe è superfluo: chi conosce la sua opera non può fare a meno di amarla; chi non la conosce non sa cosa perda. Io mi limiterò a celebrare la sua puntigliosa pignoleria che ha dato frutti così sgargianti.

Prima di preparare un bianco e nero per l'interno o una copertina ispirata a uno dei racconti del numero, Festino si leggeva tutti i testi, li digeriva, poi decideva quale fosse il punto focale da tradurre in immagine. Era bravissimo a cogliere lo spirito delle storie che pubblicavamo e a incapsularlo nelle sue visioni sospese a mezza strada tra realismo e invenzione fantastica. Era anche piuttosto bravo nell'andare in ritardo con la consegna dei suoi lavori e a mandare su tutte le furie l'editore, ma cosa non gli si sarebbe perdonato? Certo è che senza lui la rivista non avrebbe avuto il carattere di cui era dotata.

(continua continua...)

Note

1 La prima volta che Silverberg mi scrisse firmandosi "Bob", gli risposi per esprimergli tutto il mio incredulo entusiasmo; e lui mi riscrisse: "Ehi, ma cosa c'è di strano nel chiamarmi Bob? Giusto ieri ho visto mia madre e mi ha chiamato Bob." Bob Bloch, che doveva essere una persona simpaticissima, mi spediva ogni tanto cartoline da un posto o dall'altro. Mi diceva: "Sono passato qui e ho pensato di mandarti un saluto." Che classe.

2 La Le Guin mi inviò il disegnetto di un gatto, che doveva rappresentare non ricordo se una sua precedente o futura reincarnazione, e un testo autobiografico in un italiano un po' buffo ma suggestivo.

3 Il nonno (o il bisnonno, non rammento esattamente) di Martin era italiano, quindi George nutriva una propensione particolare per il nostro paese. Oltre a questo, Martin era agli inizi della sua fulgida carriera di scrittore, e io fui il primo a proporgli la traduzione italiana di un suo lavoro, il bellissimo Canzone per Lya: tutto questo contribuì a creare tra noi due un rapporto davvero speciale.

sesta puntata di questi miei ricordi.

5 E' rimasta celebre la fotografia nella quale Sturgeon, accosciato, appare nudo. Solo un autore attento come lui a mettere a nudo la verità umana dei suoi personaggi poteva farsi ritrarre in una posa simile.

terza puntata di "Memories of green". Col sesto numero, Robot passò da 128 pagine a 160, e aumentò il prezzo di copertina da 700 a 800 lire. Scriverlo adesso dà un po' i brividi.