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Ma veniamo alle segnalazioni partendo dal primo libro selezionato per l'occasione. Come vedrete alcuni di questi testi rappresentano il sottogenere del fantaerotismo, e non abbiamo nessun problema ad ammettere che si tratta di pessimi lavori affrettati che nulla hanno a che vedere con la produzione tradizionale di opere marchiate science fiction. Anche se più avanti troverete un parere (quello di David Brin) che risulta essere molto più critico anche su alcune tematiche ben precise e tradizionali della fantascienza moderna. Ma andiamo con ordine.
Il pianeta addormentato
di Theodore Latique - Edizioni Il Momento, 1979 (Lire 1500)
Si tratta di centoventicinque pagine di fantascienza raccapricciante, ricca di banalità e da passaggi narrativi erotici totalmente inutili e gratuiti. La tematica postatomica è ben lungi dalle Cronache del dopobomba di Philip K. Dick, e lascia presto il posto a una storia fitta di situazioni ridicole che supera più volte il confine del buongusto.
L'uomo, che ha distrutto tutto con le sue mani, non è in grado di riprendersi dall'immane sciagura atomica e vive allo stato brado...
Poi, dopo un centinaio d'anni, o poco più, il grande silenzio fu rotto su tutta la superficie del pianeta dal sibilo di certi oggetti volanti che sfrecciavano nei cieli a velocità spaventosa, dapprima isolati, poi in gruppi sempre più numerosi. Erano oggetti di forma circolare, alcuni piccoli, altri enormi, che non solo avevano la proprietà di sostenersi nel cielo e percorrerlo a velocità incredibile, ma anche quella di fermarsi immobili, sostenuti da una forza che pareva di origine divina.
-- Sono gli Dei! -- sussurrarono infatti gli uomini spaventati, e molti di loro, mossi da un istinto atavico e ancestrale, corsero a costruire altari e a inviare preghiere silenziose per ingraziarsi quegli inattesi signori del cielo.
Ma naturalmente non si tratta affatto di dei, bensì di denebiani (che raramente -- non si sa come mai -- si parlano tra di loro anche in arturiano!) e che rispetto alla crudezza dei marziani di Tim Burton in Mars Attacks! sono solo in parte più socievoli.
Le astronavi -- perché, ovviamente, di astronavi si trattava -- presero terra in tre punti: sulla costa americana, là dove un tempo sorgeva Miami; sulla costa cilena, nelle parti di Valparaiso, di cui però esistevano scarse tracce; e in pieno Mediterraneo, sulla costa calabra, ai piedi della Sila, vicino alle rovine della città di Paola, ora sepolte sotto un diluvio di verde che si spingeva sino a un mare ormai pulito e pescosissimo, azzurro e scintillante." Come avrete già notato può anche essere che un'astronave non atterri mai a Lucca (cfr. Fruttero e Lucentini), ma sulla costa calabra sì! Il fatto poi che dopo una catastrofe atomica che ha distrutto quasi tutta l'umanità vi siano già mari pescosi, azzurri e scintillanti dopo pochi anni, questo lo lasciamo alla licenza poetica dell'autore.
Dal punto di vista fisico i denebiani sono alti quattro metri e mezzo circa, per tutto simili all'uomo a parte i quattro occhi e le due lingue (come si scoprirà più avanti durante un loro rapporto sessuale). E se da un lato il loro scopo in qualità di razza dominante dell'Universo è quello di conquistare e controllare tutto il sistema solare, dall'altro, sul nostro pianeta, hanno due hobby principali: allevare bambini umani per mangiarseli come polli allo spiedo e tenere in casa due o più umani adulti per portarli in giro al guinzaglio come cagnolini e divertirsi a farli accoppiare in strada o in casa, organizzando festini del tutto paragonabili a vere e proprie orge. "I Denebiani mangiavano solo i bambini -- lo si sapeva -- e infatti li allevavano in batteria, a centinaia. Quelli ruspanti, catturati nei boschi nei mesi in cui era permessa la caccia, erano però più pregiati, e infatti costavano di più.
Il personaggio principale è Assuntina, una giovane sedicenne che viene più volte allertata dalle persone della sua comunità di non allontanarsi nel bosco perché è pericoloso. "...Un uomo spuntò dal ricovero, alle spalle della vecchia, e anche lui disse che forse quel giorno era meglio star rintanati: nel bosco gli animali avevano dato segni di inquietudine tutta la notte, come avessero presentito qualcosa."
Naturalmente Assuntina si allontana nel bosco e viene ovviamente catturata da una coppia di perversi denebiani. La prima cosa che fanno e quella di portarla dal parrucchiere per sistemarle i capelli lunghi e incolti. In realtà il parrucchiere è più paragonabile a un coiffeur per cani, visto il dialogo che segue:
-- La facciamo ricciuta anche sotto? -- chiese il Denebiano a Mawdy.
-- Sì, e magari più chiara -- assentì lei. -- A Timur son sempre piaciute le bionde.
Assuntina fu alzata di peso e deposta supina su una grande tavola. Il Denebiano le aprì le cosce e andò a esaminare con aria da competente la folta lanugine scura (...)
-- Bionda verrà benissimo -- disse poi Mawdy.
Un altro grande passaggio del fantomatico quanto improbabile autore straniero Theodore Latique lo possiamo abbinare alla sua disquisizione sulle sofferenze dei denebiani rispetto alle temperature polari:
I Denebiani soffrivano molto il freddo... Il freddo, per loro, non era solo una acuta sofferenza, ma anche un pericolo continuo, perché comprometteva la funzionalità dei loro delicatissimi e sensibilissimi centri nervosi e, di riflesso, del loro equilibrio psichico... I veicoli, naturalmente, erano muniti di impianto di riscaldamento che garantiva una temperatura ottimale di ventinove gradi centigradi, anche quando volavano a quote stratosferiche...
Giustamente le astronavi sono dotate di riscaldamento interno, perché, si sa, su certi pianeti la temperatura interna dei dischi volanti che costruiscono si modifica a seconda del viaggio che si sta effettuando, senza nessun controllo, passando dai mille gradi sotto zero ai tremila sopra lo zero...
Verso metà del romanzo fa la sua apparizione Greta, un'umana rapita dai soliti due denebiani in una colonia nascosta tra i ghiacci, che è anche l'ultimo baluardo dell'umanità, dove viene custodita tutta la nostra cultura. Greta fa la conoscenza di Assuntina e dell'altro can-uomo Timur e viene interrogata dai suoi rapitori:
-- Che lingua parli? -- le chiese, usando il linguaggio di Timur e Assuntina, che ormai aveva quasi imparato.
-- Ah, parlate l'italico del sud! -- disse la ragazza nello stesso idioma. -- Un poco parlare così anch'io. Perché mi avete catturata?...
Inutile dire che Greta deve entrare a far parte delle orge tra can-uomini e denebiani. Una realtà difficile d'accettare per l'eroina che da questo momento prende il posto del personaggio principale iniziale (Assuntina), per guidare il riscatto della civiltà umana su quella della tirannica Deneb. La nostra eroina non si assoggetta alle regole denebiane, e con rapida scelta di tempo si getta su una delle piccole armi laser degli invasori (dal peso di otto chili) e la punta al pisello dell'alieno Ghedy. Avendo sotto rischio la parte a lui più cara il denebiano accetta di riportare Greta al suo villaggio a patto che una volta là, lui possa tornare indietro indenne.
Ma così non avviene e il libro si chiude con una delle pagine più deboli e tristi di tutta la letteratura fantascientifica:
-- Scendi -- gli ordinò Greta. -- No, scendete voi e io riparto. Mawdy mi starà cercando.
-- Mi spiace, ma non posso lasciarti andare -- disse Greta che appariva triste ma decisa....
-- E cosa volete ancora? -- chiese lui, cupo e preoccupato.
-- Vogliamo che venga riconosciuta la libertà e la dignità dell'uomo. Vogliamo che ci sia data al possibilità di scendere in pace nelle nostre pianure e di ricominciare a vivere insieme civilmente. Vogliamo che non catturiate più la gente dei boschi, né per mangiarle, né per tenerle come cagnolini. Vogliamo che non alleviate più bambini per mangiarli. Questo pianeta è grande, c'é spazio per tutti... -- Avevi promesso che potevo tornare subito -- obiettò Ghedy.
-- E' una promessa che non posso mantenere -- ribatté Greta. -- Adesso scendi.
Ghedy scese lentamente dalla scaletta del disco, poi, seguito da Greta e Assuntina che lo tenevano sempre sotto la minaccia del raggio laser, si avviò verso l'ingresso delle caverne. Camminava e pensava preoccupato che di quella razza non era bene fidarsi, e che i bei tempi su quel pianeta di sogno erano finiti ancora una volta.
Semplicemente raccapricciante, non vi pare?
Dimentichiamoci presto questa storia, scritta tra l'altro in un pessimo italiano, facendoci una sana risata a proposito del can-uomo propostoci però da Mel Brooks in Balle Spaziali:
-- Mi chiamo Rutto e sono un can-uomo: mezzo cane e mezzo uomo. Sono il migliore amico di me stesso!
Non da meno è questo romanzo di fantascienza italiano apparso nel lontano 1954. Un testo di fantascienza avventurosa che se venisse letto come opera prima da parte di un neofita che si avvicina alla SF ce lo giocheremmo nel giro di poche righe... Per fortuna la SF di casa nostra è cresciuta di molto e cose di questo tipo non si leggono più neppure nelle redazioni delle fanzine.
I pirati dello spazio
di Franco Bandini - E.U.B. per la collana BdR, 1954 - Lire 250
Con l'accattivante sottotitolo Tre uomini su Marte questo romanzo raggruppa alcune delle tematica più ricorrenti di tutto il genere fantascientifico nel corso di almeno quarant'anni: abbiamo a che fare, infatti, con avvistamenti di U.F.O., fenomeni di "abduction", civiltà marziane, ipertecnologia allo stato brado, come i mitici fonoinversori; il tutto in una "science-fiction soup" nazionale, modello anni '50. Non sappiamo con esattezza quando questa storia si svolge poiché l'autore la introduce con un geniale "...quella famosa e terribile mattina del 3 maggio 19... ", anche se poi si ricrede e poche pagine più avanti riporta: "Stazione radar aerei. Ore 7,53 del 3 maggio 195... Entra nel campo oggetto inidentificato, proveniente da nord-est...". Be', almeno cominciamo a capire che siamo attorno negli Anni '50! La storia entra nel vivo quando il professore Barton, di un'università americana (ma che avendo passato due anni a Roma conosce la nostra lingua) e due marinai italiani (Pietro e Freccia) della Warrior ("la più potente delle navi da battaglia degli Stati Uniti"... che viene distrutta in un batter d'occhio) rinvengono all'interno di una misteriosa stanza. Improvvisamente compare una sola parola: "Attenzione". Cosa sarà mai successo, vi chiederete? Bene, i nostri eroi-antieroi sono su un bell'U.F.O. sfreccianti in direzione del pianeta rosso dove ne accadranno delle belle.
I Pirati dello spazio è un'opera di Franco Bandini, che nel 1954 era già un affermato giornalista e scrittore. Suoi articoli sono apparsi sulle colonne del Corriere della Sera e sulla Domenica del Corriere. Nell'introduzione al romanzo la sua scheda racconta che l'autore appartiene alla nuova generazione attratta dalla tecnica e pensosa dei suo grandi problemi spirituali che incidono sull'angoscia del mondo. La presentazione riporta testualmente: "Bandini crede ai dischi volanti, non tanto perchè sia convinto della loro reale esistenza, quanto perchè vede in loro l'unica possibilità, forse, che l'umanità abbia oggi a disposizione per riscattarsi da un'involuzione spirituale che è anche una terribile minaccia di morte per autodistruzione".
Certamente, in quest'ottica, il romanzo I pirati dello spazio trascende questo scopo e assurge a monito diretto a tutti. Verne fu l'anticipatore della nuova meravigliosa scienza che si stava affacciando all'orizzonte dell'umanità, mentre Bandini con questo libro probabilmente cerca a fatica di metterci in guardia sui limiti e i pericoli di questa nuova scienza. L'autore non riesce a rendere quasi mai i passaggi più delicati ricchi di quella drammaticità che avrebbe potuto dare alla storia una parvenza decente. Persino davanti a soldati marziani repellenti, che comunicano nella nostra lingua grazie a traduttori simultanei (i famosi fonoinversori) e che si presentano per la prima volta ai tre personaggi principali in tutto il loro raccapricciante aspetto, l'autore confeziona una freddura del tutto inopportuna e fuori luogo: "Accidenti! -- mormorò Pietro stupefatto, -- hanno pensato proprio a tutto. Giuro che questa storia comincia ad interessarmi. Il bello è che poi non ci vorrà credere nessuno. Si è mai sentito dire di Marziani che parlano l'Italiano?"
Vi lasciamo con questo emblematico messaggio, che rappresenta in tutta la sua debolezza, una storia di fantascienza "made in Italy" veramente trash, scritta senza troppi preconcetti: "Siete attualmente prigionieri del Supertelerazzo N. 41 della Squadra Transcosmica del pianeta N. 4 del sistema solare, corrispondente secondo le denominazioni terrestri, al Pianeta Marte. Entro tre ore sbarcherete sul N. 4 per essere interrogati da appartenenti al Centro. Per assicurare le vostre possibilità di sopravvivenza in ambienti così diversi, vi verranno distribuiti speciali apparecchi che dovrete indossare, e sui quali troverete le opportune istruzioni, che andranno seguite alla lettera. Tra pochi minuti nella vostra cabina entreranno due Soldati, apartenenti all'Armata e facenti parte dell'equipaggio del Supertelerazzo N. 41, sul quale vi trovate. Vi consigliamo di non impressionarvi al loro aspetto, e soprattutto di non intraprendere contro di essi alcuna azione di forza, che sarebbe del tutto inutile. Non appena indossati gli apparecchi speciali, potrete anche parlare con essi: non fate domande, nè cercate di sapere nulla oltre i puri fatti tecnici. I nostri soldati sono provvisti di un'intelligenza limitata e non possono comprendere altro che fatti materiali. Non temeteli, ed abituatevi all'idea della loro altezza che è di circa sei metri. Ripeto: non impressionatevi ed eseguite le istruzioni."
Ma torniamo nuovamente a occuparci di pornofantascienza, dando spazio a due ennesimi romanzi apparsi sul finire degli Anni 80 che non possono passare inosservati per via della loro insulsaggine narrativa. Cominciamo con il primo.
Le vestali di Nemek
di Raoul Benedikt - Edizioni Il Momento, 1979 (Lire 1500)
In questo romanzo ci troviamo catapultati sul pianeta Ilvanar, straziato dai venti e in attesa della sua distruzione per via del suo vecchio sole ormai pronto a collassare. Anche in questo caso, come per Il pianeta addormentato e Incognita Y abbiamo la netta sensazione che l'autore straniero a cui viene attribuito il lavoro esista solo nella fantasia di qualche cantinaro italiano che ha tentato la via del successo con opere fantaerotiche di modesto valore scritte in qualche ritaglio di tempo. Per altro, raggiungere l'edicola con un prodotto di Science Fiction, restringendo ulteriormente il target al mercato dei soli adulti non ha certo permesso a chicchessia veramente l'autore di ottenere gloria e successo economico, vista la crisi perenne vissuta da questo genere letterario nel nostro paese.
La tematica apocalittica di Le vestali di Nemek si trova ad anni luce di distanza dal qualitativo catastrofismo ballardiano, e nonostante la ricorrenza delle tante tempeste di vento, Vento dal nulla non può essere comparato neppure per una frazione di secondo a questo ennesimo esempio di fantascienza trash, fine anni '70.
Su Ilvanar vive ormai una sola colonia di donne convinte che il pianeta che le ospita sia geloso di loro, semmai dovessero lasciarlo prima della sua distruzione naturale. Ilvanar, a detta di Babel, una nobile del gruppo di femmine rimaste ad abitare sul suo suolo inospitale, dai mille vortici violenti, è "l'unico maschio che esista, ormai". Eppure la gelosia sembra essere un vecchio sentimento che non esiste più da anni, dopo che gli uomini hanno lasciato con le loro navi la loro terra e non hanno fatto più ritorno, lasciando sole per sempre le loro compagne... Una specie di fuga di massa dell'uomo, con la scusa del pianeta che esplode, oppure una sorte di pazzia collettiva. Per la serie: cara... vado a prendere le sigarette su Proxima del Centauro e poi torno! E invece vita dissoluta, orge e banchetti alla faccia del pianeta che muore.
La società al femminile rimasta attende la sua fine, ora con rassegnata attesa, ora con vigore. L'autore, nel frattempo, decide di complicarsi la vita nel giro di un paio di discorsi contraddittori in apertura di romanzo che si fanno Babel e Kure, due dei personaggi del libro. La prima afferma: "La tua torre di cristallo è una magnifica fortezza, ma non ci sono nemici per le tue armi. Tra non molto non resterà neppure energia sufficiente per farle funzionare."
La seconda sostiene invece: "Abbiamo astronavi pronte a decollare: potremmo lasciare Ilvanar e cercarci un altro posto dove vivere." Insomma non si capisce se questa benedetta energia ci sia o meno. Per fortuna, grazie alla spiegazione di Babel, scopriamo almeno da dove viene ricavata: "L'energia di Ilvanar è tutta nell'aria calda che respiriamo. Credo che la consumiamo ormai tutta per sopravvivere". Mica male, vero?
Poi, dopo due capitoli di nulla assoluto, fa il suo ingresso in campo la Madre Capitana che contatta le due sorelle citate prima. Dal discorso estraiamo i pezzi più "significativi":
-- Salute a voi Kure om Isendar e Babel om Uptar. Non perderò tempo, perché il momento è grave. Abbiamo terminato i calcoli e gli studi per il progetto Altair... Si trattava di mettere a punto il progetto per l'abbandono del pianeta. Babel om Uptar, tu non ne sei probabilmente al corrente, perché l'accordo era di non farne parola con nessuno...
-- Il piano di fattibilità? -- chiese Babel attenta, ignorando lo sguardo severo della Madre Capitana.
-- Sì, ma non interrompermi, Babel om Uptar, perché ciò che ho da dire va detto subito. La disponibilità tecnica è negativa, senza rimedio, purtroppo. Abbiamo astronavi per l'ottantacinque per cento delle donne, ma le scorte di betatrip consentirebbero il decollo soltanto ad un terzo degli scafi.
-- Quindi soltanto un terzo di noi può lasciare Ilvanar?
-- Appunto, Babel (notare che qui la Grande Madre non chiama più Babel con il suo nome completo come aveva precedentemente fatto con rigorosità, nda). Ma, disgraziatamente, c'è di peggio (cornute e mazziate!, nda), perché non siamo riuscite ad individuare una meta alla portata delle nostre navi. Infatti esse potrebbero decollare, ma non passare alla propulsione transtellare, e non esistono sistemi raggiungibili in meno di settantotto anni luce.
-- Trecentododici anni (Ambo!, nda), con la propulsione planetaria! -- mormorò Kure sgomenta.
-- Appunto -- continuò la Madre Capitana. -- Se si escludono i piccoli asteroidi senz'aria e i pianeti impossibili di UK-214, il pianeta più vicino è il secondo del sistema UK-786.
A questo punto, tra propulsione planetaria, velocità transtellare (qualcosa di molto vicino alla velocità smodata di melbrooksiana memoria), e pianeti impossibili, il quadro appare veramente chiaro: siamo davanti ad una vera opera di fantascienza trash.
La situazione su Ilvanar va peggiorando di ora in ora, anche se l'autore si scorda di narrarlo, e la Madre Capitana chiede un parere risolutivo a Kure, la quale si sofferma dubbiosa sul da farsi e dice:
-- Non sono in grado di dartelo -- sospirò --... Che altro possiamo fare?
-- Una gran Sorella non domanda, ma consiglia -- replicò la Madre Capitana. -- Ebbene, poiché lo vuoi, ecco il mio consiglio: possiamo mandare una nave su UK-786 e salvare così settanta nostre sorelle.
-- Questo dovrebbe essere fatto domani -- replicò la Madre capitana. -- Per avere energia sufficiente a un salto transtellare. Ma il giorno dopo tutte le sorelle rimaste morrebbero, perché avremmo bisogno di tutta l'energia di Ilvanar. Tutta, non una molecola in meno! Puoi controllare tu stessa, perché la mia è una deduzione e nulla più.
A malincuore Kure, che già sapeva quanto fosse esatta la deduzione della Madre, batté i dati sulla tastiera del calcolatore. Immediatamente si accese una piccola scritta verde sul monitor: <Positivo>"
Un'altra grande pagina da dimenticare nella storia della science fiction moderna!
Ma l'intrigo si dipana su altri livelli ed ecco improvvisamente prendere forma la Bianca Palude e la Consorteria, che riunisce le donne di Ilvanar dedite alla magia. Qui si decide che per sconfiggere l'oscuro nemico custodito dal pianeta (almeno così pare) occorre un rito orgiastico che coinvolga tutte le donne del pianeta. Un'apoteosi di sesso tra donne e falli artificiali, da anni custoditi in apposite segrete in attesa che uno scrittore imbecille ne facesse menzione (e forse anche uso su se stesso):
-- Non... ne sappiamo nulla. Ma so che nel corso dei millenni abbiamo raccolto poteri ed esperienze tali che, senza il... il nemico, noi potremmo riaccendere il sole e ridare vita a Ilvanar.
-- Che dici? -- esclamò la Madre Capitana.
-- Ciò che dico è vero, Madre Capitana -- replicò Babel, di nuovo sicura di sé.
No comment.
Mentre su Ilvanar si da inizio alle danze orgiastiche l'azione si sposta su una piccola astronave terrestre, la Tornado. Anche in questo caso i dialoghi tra i personaggi sono la parte più divertente, come dimostrano questi stralci di non-letteratura:
-- Tutti presenti all'appello, signor Fulton.
-- Dov'è il comandante D'Elenville?
-- Eccomi! -- disse un quinto uomo entrato in quella dalla porta di prua della cabina... Squadrò i suoi uomini da capo a piedi e aggiunse:
-- Joyce, tu hai bevuto di nuovo!
-- Non... non si può mica fare tutt'un viaggio senza nemmeno bere un goccio, comandante!
-- Certo che si può! Soprattutto quando si cambia propulsione.
Nonostante l'equipaggio degli Esploratori, così li definisce l'autore, assomigli più all'armata Brancaleone, essi si preparano a riemergere nello spazio tradizionale, dopo un viaggio nell'iperspazio. La tensione è a mille, quasi milletre:
-- Fulton, tutto positivo ai motori?
-- Positivo, signore.
-- Pinkers, come va quel visore?
-- Ancora negativo signore. E' una interferenza, temo.
-- Una interferenza in iperspazio che continua in dimensione uno? Che vai dicendo, Pinkers?
Che vai dicendo Raoul Benedikt, diremmo noi, se non fosse che abbiamo deciso di proseguire stoicamente a leggere per portare a termine questo nostro lavoro!
L'operazione di rientro nello spazio riesce, o quasi:
-- Siamo a due settimane dal sistema di Altair, signore -- disse l'anziano navigatore un po' perplesso. -- Abbiamo sbagliato di 0,04 parsec, signore.
-- Bene. Altair va bene lo stesso -- replicò il comandante.
E come se un treno che deve trasportare delle persone dalla stazione di Milano a quella di Roma, arriva lungo e si ferma a Napoli tra l'indifferenza dei passeggeri che accettano di buon grado la nuova destinazione d'arrivo.
Ma forse, in questo caso il comandante ha una ragione valida in ciò che afferma. Sentiamola:
--Nessuno ci è mai stato. Ci sono sei pianeti e quattro lune da esplorare e lavoro in abbondanza.
Una vera enciclopedia del cosmo viaggiante, il nostro eroe!
Ma il lavoro che attende la squadra degli Esploratori è ben diverso da quello che ha in mente il comandante. L'equipaggio della Tornado, la prima astronave munita di sala a luci rosse 3-D di tutta la fantascienza, si trova infatti ad atterrare sul pianeta Ilvanar e a partecipare con ovvio piacere ai banchetti erotici della società di sole femmine. Le vestali di Nemek è riassunto più o meno tutto qui. Naturalmente il finale è paragonabile alla qualità letteraria di tutta l'opera:
-- E ora ripartirete? -- chiese noncurante Babel al comandante della Tornado.
L'uomo assentì e sorrise.
-- Sì -- disse felice -- ripartiremo oggi stesso, perché ho fretta di tornare qui e riprendere Kure... E tutte voi. Presto sarete in salvo, su un verde pianeta e lontano da questo inferno!
Due ore dopo la Tornado si alzò dal suolo del pianeta, tra fuoco e fiamme, e scomparve nello spazio turbolento...
Così si risolvono brillantemente i problemi di un mondo che sta collassando. Altro che riti magici e calcoli energetici su quanti lupi, pecore e cavoli, far salire sull'astronave. Basta un bel gruppo di ubriaconi terrestri che si prendono cura di tutte le femmine dell'universo e il gioco è fatto.
Ma noi sappiano anche -- ma questo allo scrittore vi preghiamo di non dirlo per non farlo soffrire -- che essendo l'equipaggio della Tornado composto da terrestri non bisognava assolutamente fidarsi di loro. E dunque quelle sfortunate signore sono ancora là, con lo sguardo all'insù, ad attendere invano i nostri eroi, sempre che Ilvanar non sia già definitivamente imploso.
E finiamo questa carrellata con l'ennesima opera da quattro soldi. Un capolavoro dell'inutilità, una lezione su come non si scrive fantascienza.
Incognita "Y"
di Hedel Asilov - Fantasex n. 1, lire 1000 (1977)
Il romanzo incriminato, questa volta è intitolato Incognita "Y" e assieme al lavoro va fatto qualche breve commento anche sulla sua pubblicazione.
Fantasex, rivista di romanzi fantaerotica, si pone sul mercato della science-fiction nazionale degli Anni Settanta occupandosi della solita tematica dai pochi adepti. Questa pubblicazione, diretta da Mamele Gatti, ha fatto affidamento su una redazione di due collaboratrici: Noemi Provini e Gianna Forese. Naturalmente una rivista con un titolo del genere non poteva che finire in compagnia della miriade di testate pornografiche di quegli anni, ben lontana dalla tradizionale Urania. Il titolo del romanzo, in copertina, non viene accompagnato dal nome dell'autore, che invece è possibile scoprire solo al suo interno. Una scoperta che lascerebbe allibito qualsiasi appassionato di SF perché l'autore risulta essere uno sconosciuto Hedel Asilov, troppo simile per assonanza a Asimov per non pensare a qualche gioco perverso dell'editore. Tra l'altro, andando a spulciare tra le sue pagine, pare che Carmelo Valenti abbia addirittura tradotto questo testo che in edizione originale portava il titolo Unknown "Y". La formula di questa testata è delle più scontate della storia dell'editoria. Una copertina "allettante", una seconda di copertina che ci ricorda che il prossimo numero si intitolerà 7801 (autore non citato, ma magari potrebbe essere, che so, Sballard), una pagina introduttiva con l'elenco dei personaggi principali del romanzo e... nulla più, a parte una pubblicità in terza di copertina per un catalogo pornografico della Mail Market Italiana.
La trama è trash a tutti gli effetti: il pianeta "Alpha" (dio mio che fantasia!) è il vero cervello pulsante, l'essere intelligente onnipresente. Una vaga copiatura, insomma, del grande Solaris di Stanislaw Lem, dove l'unica similitudine tra i due autori è che entrambi fanno la pipì allo stesso modo. Per chi non riuscisse a capire leggendo la storia chi è davvero l'incognita "Y", l'editore ha pensato bene di aggiungerlo nell'elenco dei personaggi principali: "Ken Macguire, ingegnere motorista. E' l'incognita Y". Una trovata geniale che farebbe imbufalire chiunque cerchi di ottenere un minimo di thrilling da una storia già di per sé assurda. Il volumetto contiene 160 pagine che scorrono banalmente e veloci alla lettura, tra marchette galattiche e dialoghi insulsi. Esempi lampanti possono essere alcuni passaggi del tipo:
-- Perchè ridi? -- Le domandò lui perplesso.
La tua bella astronave si sta trasformando in un bordello! -- disse piano, quindi lo attirò a se, ma lo bloccò appena lui fece l'atto di cercarle la vxxxx con il gxxxxx teso e rubizzo.
Oppure disquisizioni raccapriccianti come ad esempio:
Morte per gli uomini significava paura e disperazione. Lui era in grado di creare tutto ciò. Sapeva di poterli distruggere in qualunque momento avesse voluto, ma farlo sarebbe significato per lui annullare il gioco e non avere modo di esaltare se stesso, risolvendo problemi che gli erano stati posti per la prima volta (?)
Il finale è raccapricciante:
-- Crediamo che siano tutti morti -- rispose Fisher.
-- Peccato! Mi dispiace veramente per Kendal, Macguire e gli altri... Costituivano un'equipe eccezionale... -- Senders si tolse gli occhiali e si passò le mani sulla faccia: già pensava al nuovo equipaggio per la prossima missione nell'Iperspazio. C'erano ancora tante cose da scoprire nell'Universo.
Come si può notare da queste poche righe Incognita "Y" rappresenta un'ennesima bufala fantascientifica che non poteva non essere citata in questo nostro breviario della Trash sf.
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