di
Vittorio Catani
L' apocalisse del corpo?
Autoamputazioni, avatar, frammentazione del sé, disseminazione nelle reti
Uno dei migliori momenti della scorsa Italcon di Courmayeur è stata la brillante e interessantissima conferenza di Vittorio Catani. Per chi se la fosse persa o volesse approfondire rinnovandone la lettura, ne proponiamo la trascrizione.
1. L'uomo è il mostro
Signori, la storia ormai è nota
Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto enorme. Giaceva sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un po' il capo poteva vedere la sua pancia convessa, color marrone, suddivisa in grosse scaglie ricurve. Le numerose zampe, pietosamente esili se paragonate alle sue dimensioni, tremavano disperate davanti ai suoi occhi.
"Che cosa mi è successo?", pensò. La stanza era racchiusa nelle quattro pareti così familiari, e si udiva la pioggia ticchettare contro la finestra. "Che accadrebbe se continuassi a dormire un altro po', dimenticando queste sciocchezze?"
-- Franz Kafka, La metamorfosi [Die Verwandlung, 1915], I Mammuth, Newton 1991
In un certo senso, siamo già tutti Gregor Samsa, o stiamo per diventarlo quasi senza accorgercene. Le odierne tecnologie i nuovi media, le realtà virtuali, il ciberspazio, trapianti, eutanasia, nuova cosmesi, chirurgia plastica, droghe intelligenti, protesi di materiali inorganici che attecchiscono nella nostra carne, e così via -- stanno cambiando la nostra fisicità, il nostro modo di vivere, le nostre stesse strutture del pensiero. Si potrebbe obiettare che tutte le tecnologie innovative hanno avuto questo effetto, dalla ruota alla televisione. Ma il fatto nuovo è che le tecnologie odierne non si limitano più a potenziare il nostro fisico o i nostri sensi. Esse agiscono in modo molto più determinante perché giocano con lo strumento primario del nostro rapporto col mondo, l'oggetto su cui si basa la nostra identità di uomini: il corpo. E anzi, oggi più che mai si rivela profetico un noto concetto espresso da McLuhan 35 anni fa, e che viene ad assumere un significato quasi letterale:
"Ogni invenzione, o tecnologia, è una estensione o una autoamputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri fra gli altri organi e le altre estensioni del corpo."
--Marshall McLuhan, "Gli strumenti del comunicare" [Understanding media, 1964]. Il Saggiatore Economici, 1995
Questo mio intervento verterà dunque sulla mutazione in atto del nostro corpo, in senso ovviamente culturale, non evoluzionistico. Evoluzione culturale che mai aveva assunto una accelerazione (quindi una visibilità) come oggi, e che ci porta a scoprire un mostruoso/meraviglioso nostro doppio tecnologico. Un Gregor Samsa morfato, per dirla con un termine di moda. Perché ciò che maggiormente ci sgomenta o perturba, per riprendere Freud -- non è il diverso assoluto bensì ciò che, pur essendoci familiare, improvvisamente non lo è più del tutto. Come può essere per esempio il futuro (un tempo come il nostro ma diverso e forse è questa una delle ragioni per cui la sf ci affascina tanto); o come il cyborg l'uomo trasformato dalla tecnologia --; o come un individuo mutato geneticamente; o un corpo le cui funzioni sono state scomposte, enucleate e poi ricomposte in forme simulate e irriconoscibili, come accade o accadrà nelle reti. Fino al punto da farci restare in dubbio se l'Uomo possa ancora definirsi tale.
E naturalmente la fs, che qualcuno ha definito "uno dei più potenti dispositivi dell'immaginario collettivo del XX secolo", si dimostra teatro ideale per rappresentare l'ambigua trasformazione in atto
2. L'ossessione del doppio
Lo allontanai da me con furia; andò a sbattere contro la parete, mentre bestemmiando lo invitavo a sguainare la spada. Ero in preda a una eccitazione folle, e in breve lo costrinsi in un angolo. Allora affondai la spada con brutale ferocia nel suo petto, più volte.
Ma quale linguaggio umano potrà descrivere lo stupore, l'orrore che si impadronì di me allo spettacolo che improvvisamente mi si offerse Wilson, il mio subdolo, irritante antagonista era dinanzi a me nell'agonia e non un particolare del suo abbigliamento, non un tratto dei singolari e marcati lineamenti del suo viso che non fossero i miei. E avrei potuto credere che a parlare fossi io stesso, quando disse:
"Hai vinto, e io ho perso, ma d'ora in poi anche tu sarai morto, morto al mondo, alla speranza! Tu esisti in me; e guarda, con la mia morte, con questa immagine che è la tua, come hai definitivamente ucciso te stesso."
-- Edgar A. Poe, William Wilson, [Id., 1840], I Mammuth, Newton 1992
In William Wilson, di E.A. Poe, l'antagonista del personaggio anticipa già, in un certo senso, le nostre tematiche. L'apparentemente inspiegabile sosia/alter ego del protagonista, è una proiezione delle nostre contraddizioni interne, dei nostri fantasmi che improvvisamente si materializzano, diventano esterni a noi stessi. Una sorta di sdoppiamento, anzi di frantumazione dell'io. Invece, l'antagonista/sosia/alter-ego che oggi vediamo avanzare trae, a ben vedere, le sue origini un paio di secoli fa, dalla fabbrica. E' lì che è nata la macchina (in senso lato), ed è questo il primo dei nuovi doppi che andiamo a illustrare.
"Come spieghi allora il fatto che tutti i Solariani ti credono un essere umano? Sono esperti in robotica, possibile che tu riesca a ingannarli così bene? O forse sono io l'unico che si sbaglia?"
"Niente affatto non è così."
"E allora, dammi la prova che sei davvero un robot. Mostrami il metallo sotto la pelle."
"Ma posso assicurarti che "
"Mostrami il metallo" l'interruppe Baley. "E' un ordine. Tu sei obbligato a eseguire i miei ordini."
Daneel si tolse la camicia; apparve la pelle chiara, cosparsa di peluria bionda. Premette un dito sotto il capezzolo destro e di colpo la pelle si aprì, per tutta la lunghezza del petto, mettendo a nudo il metallo lucente che si nascondeva sotto.
-- Isaac Asimov, Il sole nudo [The naked Sun, 1956], Urania n. 162, 1957
Avrete riconosciuto Isaac Asimov, e in particolare Il sole nudo: una pagina che mi rimase subito impressa allorché la lessi, nel lontano 1957. Per me questa scena aveva qualcosa di inquietante, anche se non riuscivo a capire bene cosa, e ho voluto portarla alla vostra attenzione come uno dei primi esempi credo di un tema che tornerà sempre più nella sf (perché sempre più vicino alla realtà odierna).
In Asimov comunque il dubbio viene immediatamente risolto: basta aprire e guardare, e si capisce subito chi è uomo e chi è macchina, dov'è il biologico/naturale e dove l'artificiale. Ma già pochi anni dopo la faccenda non è più tanto evidente. Per esempio, nel racconto di Philip K. Dick Essere un Blobel (Essere un Blobel [Oh, to be a Blobel!, 1964], ne I difensori della Terra, Fanucci 1989). Ne riassumo l'idea per chi non la conoscesse. George Munster è stato un agente segreto in una guerra contro i Blobel, degli ET ameboidi che vivono su Titano. Per infiltrarsi, Munster ha dovuto subire a sua volta una temporanea trasformazione in Blobel. Il problema però è che, a guerra terminata e rientrato a casa, Munster scopre talora di ritrasformarsi improvvisamente in Blobel. Un processo che egli non riesce a controllare. Dopo varie disavventure tra il comico, il grottesco e il disperato (una cifra narrativa che negli anni Dick userà sempre meno) Munster si rassegnerà ad assumere stabilmente quella forma, ma non se ne darà troppo pensiero: anche perché deciderà di trasferirsi su Titano, dove anzi presso gli ormai pacifici Blobel acquisterà quella fama che mai si sarebbe sognato di raggiungere sulla Terra. E mentre strisciando e ondeggiando come un blob risale la scaletta dell'astronave che lo porterà via definitivamente, Munster saluta la Terra con queste parole: "Finalmente, sono un uomo di successo!" La linea di divisione tra umano e non umano si assottiglia sempre di più.
Nel noto racconto di Dick Le formiche elettriche (1969) il protagonista, Garson Poole, si sveglia in un ospedale dopo un incidente e scopre di non essere un uomo, come aveva sempre creduto. Dentro non ha vene, muscoli, sangue, ma circuiti, cavi, e un nastro perforato gli scorre lentissimamente in una cavità del petto, che lui riesce ad aprire. Anzi, Poole scopre che la sua stessa percezione dell'esterno (il mondo) non è che un programma che gli sta girando dentro:
Programmato Sono stato programmato! In me, da qualche parte, c'è una matrice, una griglia che mi inibisce certi pensieri, certe azioni, e mi costringe ad altre. Non sono libero, non lo sono mai stato! Ma ora lo so: ed è questa, la differenza.
-- Philip K. Dick, Le formiche elettriche [The electric Ants, 1969], in Memoria totale, Mondadori 1990
Per la prima volta, Poole riuscirà a controllare la realtà: ha scoperto il modo di modificare lo scorrimento del nastro. Il finale sarà drammatico.
Il vuoto che esisteva tra Daneel (il robot di Asimov "esterno all'uomo") e Garson Poole (l'uomo/macchina di Dick) è colmato. Un esito inevitabile, annunciato.
In quanto estensione e accelerazione della vita sensoriale, ogni medium influenza contemporaneamente l'intero campo dei sensi.
-- Marshall McLuhan, Op. cit.
Sono altre profetiche parole di McLuhan. L'uomo si è sempre attrezzato con protesi che potessero aiutarlo a intervenire sulla natura e trasformarla (protesi per il corpo o per il sistema nervoso); il problema è che l'avvento della rivoluzione industriale ha fatto esplodere questo processo, e ora l'uomo tende alla creazione della protesi definitiva: se stesso; anche se per altro verso teme di meccanizzarsi. Insomma era inevitabile che la tecnologia finisse col penetrare fisicamente dentro l'uomo, colonizzandolo. La tecnica, esteriorizzazione della sua volontà di potenza, si rovescia interiorizzandosi.
Ballard ha scritto:
La tecnologia del XX secolo deposita i suoi fossili simultanei: nastri perforati, vecchi elenchi telefonici, circuiti stampati i cui alfabeti sono stati persi, i corpi luminescenti di astronauti morti: tutto ciò fa parte della astronomia dei sogni, delle nuove costellazioni che riempiono il cielo delle nostre menti.
-- Citato da A. Caronia in: Antonio Caronia, "Il corpo virtuale", Muzzio 1996
James G. Ballard - e qualche altro scrittore come lui da tempo ci racconta la nascita di un diverso cyborg, più subdolo e inquietante perché non ha più neanche bisogno di innestarsi circuiti. Ormai, basta la presenza schiacciante della tecnologia e quella onnipervasiva dei media, basta il media landscape: e nei suoi personaggi scatta il processo di scambio tra interno ed esterno di cui parliamo, oppure essi inglobano mostruosamente nel loro sistema nervoso il mondo nuovo mutato, riconoscendosi totalmente in esso. Mi limiterò a riportare un ormai noto estratto da La mostra delle atrocità, anche perché esemplificativo del linguaggio grazie al quale Ballard rende la situazione:
All'alba, Trabert si trovò a guidare lungo l'autostrada che penetrava nella città deserta: terreni a pascolo, stazioni di servizio, e in alto un intrico di fili come un'algebra del cielo ormai dimenticata. Dietro sentiva l'urlo delle sirene delle auto di polizia, icone neuroniche sulle autostrade spinali.
-- James G. Ballard, "La mostra delle atrocità" [The Atrocity Exhibition, 1970/90], Bompiani 1991
E' il nuovo cyborg, non ibrido fra carne e metallo o plastica. ma tra mente e flusso amplificato, ininterrotto, mostruoso, delle comunicazioni. Se la Grande Rete è il nuovo sistema nervoso dell'umanità, se fax, telefonini, Internet, satelliti stanno riducendo a zero distanze e tempi e ci traghettano vorticosamente verso una unione delle menti quasi telepatica, una sorta di unico corpo mistico che ci comprenderà tutti, è dunque vero riprendendo McLuhan che ci avviamo a vivere "col cervello fuori dal cranio e nervi fuori dalla pelle", in una sorta di "condizione pentecostale di unità" (Marshall McLuhan, Op. cit.)
A questo punto, il nuovo cyborg prepara il terreno all'altra apocalisse del corpo: la sua diaspora, il suo spargimento, la sua replicazione immateriale nella rete telematica. Qui le nuove parole d'ordine saranno: cyberspazio, telepresenza, realtà virtuali, avatar, e così via.
4. Le virtualità reali
Sulla realtà virtuali (o virtualità reali? tutto dipende da quale dei due termini si preferisce evidenziare ) si è detto molto, forse anche troppo, e comunque dando per scontato l'avvento immediato di una tecnologia che invece, dopo l'exploit dei primi anni Novanta, resta un po' defilata (tra l'altro proprio il rapporto tra la RV e la sf era il tema di un mio precedente intervento, due o tre anni fa.) Qui mi limiterò, per non ripetermi, a ricordare che la RV si è evoluta soprattutto come strumento di ricerca, con risultati importanti e interessanti in campo chirurgico, medico, in quello della riabilitazione di handicappati, in ambito di difesa militare; o in settori di estremo fascino come l'architettura o il design; e naturalmente ci sono i videogiochi immersivi.
Il motivo di questo spiazzamento delle RV è noto: l'interesse del pubblico e dei media si è spostato verso Internet. Numerose aziende, e governi di stati importanti (ahinoi, non l'Italia) hanno capito che sono fondamentali gli investimenti nel settore delle autostrade telematiche e se arriviamo a questione di quattrini, siamo purtroppo all'argomento più convincente. Ciò, tuttavia, sia chiaro, non toglie assolutamente nulla all'interesse teorico e alla forza potenziale d'impatto delle RV.
Nelle quali, è ovvio, ciascuno ci ha trovato ciò che gli piaceva. Le RV continuano a stimolare un dibattito fecondissimo; perché, credo, esse contribuiscono a minare quel rapporto tra organismo e identità che rimette in discussione la definizione tradizionale di uomo. Tomás Maldonado -- che pure non ne sottovaluta l'utilità in certi impieghi sostiene che le RV rischiano di "assottigliare sempre più la nostra possibilità di esperienza con l'universo della fisicità" (Tomás Maldonado, "Reale e virtuale", Feltrinelli 1992.). Per Michael Heim il cyberspazio è "platonismo realizzato", perché chi naviga in esso "lascia la prigione del corpo per emergere in un mondo di forme ideali" (Michael Heim, in "Cyberspace" (a cura di Michael Benedikt), Muzzio 1993.); ed è interessante questo concetto, che rimanda a tutta una serie di luoghi comuni della sf cyberpunk. Basti pensare a Case, il protagonista di Neuromante di William Gibson. Gibson l'ha dichiarato apertamente in una intervista: "La chiave della personalità di Case risiede nel suo distacco dal proprio corpo, dalla carne" (Citato da Mark Dery in: Mark Dery, "Velocità di fuga", Feltrinelli 1996). Come ricorderete, a Case per vendetta è stato danneggiato il sistema nervoso, in modo tale che ora egli non potrà più accedere al cyberspazio:
Per lui, che era vissuto per l'euforia incorporea del cyberspazio, fu la Caduta. Nei luoghi che aveva frequentato come numero uno fra i cowboys della console, vigeva un atteggiamento di disprezzo per la carne. Il corpo, era carne. Case era ricaduto nella prigione della propria carne.
-- William Gibson, "Neuromante" [Neuromancer, 1984], Nord 1993
Elemire Zolla si riferisce a sua volta alle RV come ad una "avventura sciamanica virtuale". Quindi tramite questa esperienza, mix di antica sapienza e nuova tecnologia, "gli occhiali magici mostreranno la natura illusoria di ogni realtà", e ciò potrà portare alla "liberazione" (Elemire Zolla, "Uscite dal mondo", Adelphi 1992). E c'è chi non manca di sottolineare le analogie tra RV e droghe, allucinazioni, i mondi dello psicotico, il mondo psichico molto particolare del neonato, e infine l'universo del sogno: entrambi infatti sogno e RV -- sono luoghi nei quali ci si spoglia del corpo per riapparire come simulacri, superando lo stadio della fisicità. Se il corpo è una struttura pesante, il nostro simulacro cyberspaziale quello che si definisce avatar appare sgravato da vincoli fisici e psicologici.
5. Reti e frammentazione del sé
Salve! Questo è uno dei nostri messaggi periodici per la Terra. Chi vi parla è Alex Kord, comandante della Ad Astra. Continua il nostro viaggio verso Alpha del Centauro. Siamo in 700mila, in questa astronave, e raggiungeremo tra 10 anni la nostra meta, dove ci assicurano gli studiosi c'è un pianeta di tipo terrestre. Non saranno rose e fiori, ma la Terra per noi era diventata inabitabile, ed eccovi la nostra risposta: "Andate al diavolo!"
Per guidare questa metropoli d'acciaio occorrono: conoscenze 23) 23) ultraspecializzate, razionalità, disciplina, doti di psicologia. Io, Alex Kord, democraticamente eletto, sono l'uomo giusto. Qui nello spazio non mancano pericoli, e dal nostro ultimo messaggio di sei mesi fa ne abbiamo passate delle belle, a bordo: assalto di mostri alieni, un'avaria, scontro con meteoriti, un'epidemia sconosciuta
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[Questi tre personaggi in realtà sono uno: il sig. A.G., irreprensibile commercialista di Campobasso, che in rete assume ruoli diversi ma profondamente vissuti. Dagli anni '90 del XX secolo il fenomeno della frammentazione del Sé dilaga nel cyberspazio.]
-- Vittorio Catani, "Nel cyberspazio: sarà solo un gioco?" [Rubr. Accadde domani], Gazzetta del Mezzogiorno, 6/8/1997
C'è un aspetto dell'uso della rete, che mette in allarme alcuni studiosi. Maldonado, solitamente scettico (sia pure con un certo equilibrio) verso le presunte meraviglie dei nuovi media, nel suo recente volume Critica della ragione informatica prende in esame, tra l'altro, il tema della identità in rete. Come è risaputo, esistono programmi di interazione nei quali i partecipanti possono rinunciare alla loro identità assumendone un'altra, a piacere. Scrive Maldonado:
Una studentessa diciottenne che si spaccia per un vecchio pugile a riposo, un avvocato di provincia per un direttore d'orchestra, un uomo sposato per uno scapolo incallito, un sacerdote islandese per una prostituta brasiliana.
Questi travestimenti informatici possono configurare situazioni di involontaria (o volontaria) comicità, e per centinaia di migliaia di hobbysts di ogni età, il gioco delle finte identità viene vissuto come un dilettevole intrattenimento o come un modo, un po' artificioso, di compensare una penuria di convivialità.
E' inevitabile un riferimento alla teoria dei ruoli. Che cosa è una persona? O meglio: in cosa consiste l'identità di una persona? Qual è il legame tra l'Io e l'Altro? Se è vero, secondo Luciano e secondo Shakespeare, che la nostra vita non è altro che un palcoscenico su cui siamo chiamati a interpretare, simultaneamente o sequenzialmente, molteplici parti spesso in conflitto fra loro, perché per un certo tempo una predomina sulle altre e diventa l'elemento caratterizzante della nostra identità?
Nella vita quotidiana gli studiosi individuano tre grandi categorie di ruoli: primari (madre, nonno, fratello, etc.); culturali (italiano, ebreo, pacifista, appassionato di sf, etc.), sociali (medico, impiegato, pornostar, sindacalista ) Ogni individuo esercita ruoli diversi in ciascuna delle tre categorie, non di rado in contrasto fra loro.
Nel suo recente libro La vita sullo schermo la studiosa Sherry Turkle, richiamandosi a una vasta esperienza di osservazione del comportamento, proprio e di altri, nell'uso dell'IRC (Internet Relay Chat), del MUD (Multi User Dungeon), delle BBS, del WELL (Whole Earth Electronic Link) e dell'e-mail, sottoscrive, sia pure in modo prudente, l'idea molto diffusa nella cultura cyber che l'evolversi delle tecnologie informatiche renderà possibile un mutamento profondo soprattutto rendendo i rapporti interpersonali sempre più liberi, proficui e intensi.
Quando si legge di rapporti via Internet tra "falsi Io", tra identità scambiate, persone apocrife, vengono alla mente alcune importanti metodiche di psichiatria clinica e psicoanalisi, e la stessa Turkle se ne occupa. E talvolta, in effetti, è possibile intravedere nella scelta di un determinato "falso Io" -- un Io ideale che, senza questo espediente, il soggetto mai avrebbe avuto il coraggio di rendere esplicito.
Ma a mio avviso [continua Maldonado] rimane aperto il problema se in Internet l'ubiquità fantasmale delle persone, si debba considerare un fatto positivo, specie quando come sta già accadendo i canali possono essere utilizzati come forum di discussioni mirante alla formazione di scelte politiche, riguardanti ad esempio: la pena di morte, l'Aids, l'aborto, fecondazione artificiale, i diritti delle minoranze, il terrorismo, le risorse ambientali, e così via.
[E conclude:] Io sono convinto che un genuino forum, specie se "politico" -- sia pure in senso lato -- è possibile solo quando i partecipanti sono implicati "di persona" nella discussione, ossia in un confronto faccia a faccia. Un forum tra mascherati, tra fantasmi, tra persone che non sono quello che dichiarano di essere, non è, né può essere, un corretto modo di intendere l'esercizio della partecipazione democratica.
Non sto neanche cercando di dire che nel gioco delle false identità di Internet la schizofrenia sia in agguato, ma non mi sentirei di scartare neanche tale possibilità. Il rischio è che il gioco diventi qualcosa di inquietante: una tenebrosa, per niente ludica, comunità di spettri. Dalla "folie à deux" individuata dalla psichiatria dell'Ottocento si passerebbe ora a una "folie" di molti, vastamente condivisa.
-- Tomás Maldonado, "Critica della ragione informatica", Feltrinelli 1997, pagg. 52-75
Credo che questa analisi di Maldonado qui da me estremamente condensata meriterebbe una più ampia trattazione. Non essendo questa la sede idonea, è per me doveroso almeno accennare a una delle tantissime probabilmente maggioritarie -- posizioni diametralmente opposte. Nel suo saggio Il corpo virtuale, Antonio Caronia, in un capitolo intitolato appropriatamente Derive di identità, si richiama al noto esperimento di identità collettiva autodefinitosi LUTHER BLISSET (come noto vi sono libri e altre iniziative firmate con questo pseudonimo multiplo), e scrive:
Luther Blisset è una delle esperienze di apertura dell'era del corpo disseminato nelle reti, perché è capace di assumere fino in fondo l'indistinzione tra reale e immaginario. [Caronia prosegue con una citazione da: 'Cosa vuole Luther Blissett':] "Chiunque può diventare L.B.: si tratta di un genuino esperimento esistenziale, un esercizio di filosofia pratica: ( ) vedere cosa succede quando si cessa di distinguere tra chi costruisce e ciò che viene costruito. L'ideologia corrente domina le cose e le persone nominandole e descrivendole: Tu sei un io. Ma io non voglio più essere un Io, voglio essere infiniti Ii! Senza la possibilità di classificazioni, non si potrà più imporci identità precotte e predigerite, né agire per metterle l'una contro l'altra. Muore Pavlov, con tutti i suoi fottuti campanelli."
-- Antonio Caronia, Op. cit.
6. La discesa dell' Avatar
Il primo a usare il termine avatar con riferimento ai simulacri umani delle RV è stato Mark Pesce, uno dei padri delle RV. Secondo la religione indù, l'avatar è l'essere Supremo conservatore del mondo, Visnu, che nei momenti di decadenza e di oscurantismo si incarna e discende sulla terra per redistribuire l'ordine. Ci sarebbero già state nove reincarnazioni, e quindi nove avatara di Visnu in precedenti ere. La decima che sarà l'ultima avverrà alla fine dell'epoca attuale.
Non è difficile costruire analogie. Oggi, in un'epoca di disordine, l'uomo si è autoproclamato dio di una nuova terra e discende, naturalmente nella realtà virtuale (Cfr. Marco Minicangeli, L'uomo diviso: appunti per una poetica dell'avatar, in: AA.VV., "L'immaginario mutante", Synergon 1997). Non è certo un tema inventato adesso, tuttavia negli ultimi tempi esso è stato rispolverato con varianti, proprio grazie all'uso narrativo delle RV. Tra le storie recenti ne richiamo solo una, abbastanza conosciuta: Iniziazione di un Bimbo Bello, di Pat Cadigan. Qui la scrittrice usa il tema del simulacro umano virtuale in senso non certamente mistico né eroico, tutt'altro; direi piuttosto grottesco/catastrofico; un'altra catastrofe del corpo. La storia è preceduta da un'epigrafe:
Prima vedi il video. Poi metti il video. Poi mangi il video. Poi sei il video. (Dal Vangelo secondo Visual Mark).
(En passant, Mark vale sia marchio sia Marco, con evidente riferimento all'Evangelista). Per incontrare Bobby, Bimbo Bello si reca in una grande discoteca, tra lampade laser e musica assordante. Bobby è un idolo dei giovani e vive sulla superficie di uno schermo di 80 metri di lato (i suoi atomi sono stati dissolti e ricomposti nel mondo di bit, virtuale, dello schermo). Lì dentro (o lì sopra) Bobby (l'immagine di Bobby) balla ritmi frenetici osannato dalle torme dei frequentatori in discoteca. Appena Bimbo Bello arriva, Bobby, che lo aspettava, s'interrompe, lo fissa dall'alto dei suoi 80 metri di schermo, e subito gli dice con voce convincente:
"Qui non si muore mai".
La musica martella sotto le sue parole, è il remix di una canzone di quelle con cui Bobby si scatena nelle feste dove si va avanti fino a vomitare le budella. "E' magnifico, qua dentro: i sogni possono essere veri quanto lo desideri. E se vuoi puoi venire fin qui, stare qui, con me!"
Lo sfondo dietro Bobby, sul maxischermo, sta cambiando, mostra un altro locale come questo ma più grande e più bello, con una folla ancora più figa, e Bobby si dimena con loro. Qua invece metà della gente reale ha smesso di ballare perché guarda Bobby sperando che lui abbia inserito l'immagine virtuale di uno di loro là nello schermo, insieme a lui. Sì, è questo il sogno, il grande sogno di tutti: essere remixati nella extended version da discoteca. Le labbra di Bobby si muovono, le parole sono ancora dirette a Bimbo Bello:
"Può succedere anche a te Senza mai invecchiare, senza mai stancarti, non c'è mai un ultimo avviso, e nulla accade qui dentro se non lo vuoi tu: e tu puoi fare in modo che accada. Tu puoi. Tu." Le grandi mani di Bobby lo indicano, tenendo il ritmo. Tu. Tu. Tu.
-- Pat Cadigan, "Iniziazione di un Bimbo Bello" [Pretty Boy Crossover, 1986] in Cuori elettrici, Einaudi 1996
7. Conclusione
L'interno dell'uomo, estroflesso, torna a inserirsi nella sua carne; la mutazione genetica che modifica meccanismi naturali della vita ritenuti immutabili, mescola i geni o gli organi dell'uomo con quelli del topo, del babbuino o del maiale, o addirittura a geni vegetali (come negli esperimenti di Antonio Lima de Faria) (Cfr. Giovanni Maria Pace, "Figli in provetta", Laterza 1987); il cybersex annuncia sesso non solo senza procreazione ma anche senza corpo, ogni zona del corpo per il sesso virtuale.
L'abolizione dei confini fra interno dell'uomo ed esterno, cioè tra naturale e artificiale, intacca un mito fondante, quello della intangibilità del corpo; la diaspora e moltiplicazione del corpo e della psiche nelle reti telematiche scuote la tradizionale concezione di identità. Vivere nel cyberspazio significherà andare alla deriva in un universo dove tutte le informazioni sono accessibili, ma non sequenzialmente bensì contemporaneamente, e gli eventi si susseguono a una velocità alla quale il nostro corpo fisico e la nostra mente non sono mai stati abituati. Finisce l'epoca in cui il corpo dell'essere umano era un unicum, un "tempio del suo rapporto col mondo e presidio della sua identità". Cosa diventerà l'uomo, non sappiamo. Forse avevano ragione i futuristi, che non per nulla oggi anche in ambiente cyber stanno vivendo una riscoperta; e queste parole di Marinetti sembrano scritte oggi:
Noi crediamo alla possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane, e dichiariamo senza sorridere che nella carne dell'uomo dormono delle ali.
-- Citato da Mark Dery in "Velocità di fuga", Feltrinelli, 1996
D'altronde sono di oggi queste parole di Bruce Sterling, forse sorprendenti in lui, che è uno degli attuali scrittori di punta:
Non mi sembra molto utile trascendere il corpo. Una cosa del genere si porta dietro una serie di problemi debilitanti. Credo che se per noi fosse possibile diventare cyborg per ragioni di estasi intellettuale, un giorno scopriremmo di essere svenuti per strada e che nel nostro braccio artificiale hanno messo su casa degli scarafaggi. -- Ibid
Ecco: dopo l'esordio con Gregor Samsa, questa mi sembra una buona chiusura.
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