di
Un lupo mannaro
americano a Parigi
Vi ricordate quel mitico film di John Landis nel quale un ragazzotto americano in vacanza in Inghilterra finiva per scorazzare per Londra vestito solo di un folto pelo e lunghi canini? Be', dimenticatevelo, questa è tutta un'altra storia.
Diciamocelo subito: il film, basato sulla storia e sui personaggi creati da John Landis in Un lupo mannaro americano a Londra, non ha niente del suo illustre predecessore.Bella la regia, ottimo un veloce montaggio accompagnato da una colonna sonora ritmata ed efficace, insulse sceneggiatura e storia, pur ben recitata da un cast di attori discreti su cui si erge la fascinosa e sensuale Julie Delpy, già protagonista del kiesloskiano Film bianco.
Eppure per una prima oretta il film va molto bene. Un gruppo di ragazzi americani salva una misteriosa ragazza che tenta di suicidarsi dalla torre Eiffel (interessante la sequenza di Tom Everett Scott - già visto in Music Graffiti di Tom Hanks che si lancia con una corda elastica per afferrare Julie Delpy) e la insegue per tutta Parigi cacciandosi in una serie di situazioni molto comiche e divertenti.
Quando poi c'è la rivelazione che - in realtà - la bella ragazza è solo un licantropo, lì Un lupo mannaro americano a Parigi crolla per ridursi a una pellicola di genere splatter demenziale con una matrice adolescenziale di bassa lega.
Le incongruenze si sprecano: i lupi mannari vengono uccisi da proiettili qualsiasi e non d'argento, personaggi scompaiono senza lasciare traccia di sé, alcuni vengono uccisi e altri sopravvivono non si sa come...insomma, si cerca e si trova un finale per giustificare l'eliminazione di questo gruppo di licantropi neonazisti guidati da Pierre Cosso che - ma l'avreste mai immaginato? - Vogliono solo ripulire il mondo dall'immondizia morale!!!
Insomma, a metà tra il qualunquismo e il film di serie B, tra il filoeuropeismo nazionalista (la feccia dell'umanità è identificata dai lupi mannari francesi con i cittadini americani) e il nonsense più completo, questo film annoia e spaventa per una durata di tempo eccessiva con motivazioni prive di fascino, fantasia e carisma.
Una pellicola di cui non rimane niente e la cui totale insipienza riesce a sommergere perfino l'inconsueta bellezza della Delpy e la simpatia di Tom Everett Scott al punto di farle dimenticare se non ignorare del tutto.
intervista con anthony waller
Dopo Gli occhi del testimone Il regista statunitense Anthony Waller è al suo secondo lungometraggio. Un lupo mannaro americano a Parigi è il seguito ideale del film di John Landis.
Delos: Cosa le è piaciuto di più di Un lupo mannaro americano a Londra tanto da spingerla a volerne girare un seguito?
Waller: La forte e giusta combinazione di horror e humour. Hollywood è sempre stata preoccupata di mescolare i generi. I film dovevano essere divertenti, d'amore, seri, drammatici, ma non potevano avere tutti questi aspetti insieme. Invece, io ho sempre pensato che le cose dovessero essere mescolate e messe tutte in un unica pellicola. Ho tentato di farlo nel mio primo film Gli occhi del testimone e ho continuato a essere contro questo modo di pensare in Un lupo mannaro americano a Parigi.
Delos: Ma perché un seguito? Non le sembrava un film completo quello di John Landis?
Waller: Sì, ma pensavo si potesse inventare un'altra storia, diversa e ambientata in un altro luogo, che potesse continuare lo spirito di quella pellicola di tanto tempo fa ormai.
Il pubblico - con questo titolo - sa già che cosa aspettarsi, ovvero un film horror pieno di humour. Io, però, ho voluto scrivere personalmente la mia storia distanziandomi un po' dal film di John Landis. Un paio d'anni fa, la Polygram mi ha chiesto di dirigere soltanto il film, ma ho preferito acquistare i diritti della pellicola e riscriverla in parte.
Delos: Lei ha rivisto il film di John Landis recentemente?
Waller: Sì e sono rimasto un po' deluso. Era peggio di come me lo ricordavo, perché era un po' datato.
Delos: Come ha realizzato il film?
Waller: A parte gli effetti speciali realizzati in California, è stato interamente girato in Europa.
La pellicola è costata 22 milioni di dollari.
intervista con pierre cosso
Come è vero che il tempo cambia le persone! Ve lo ricordate quell'idolo delle ragazzine di tutta Europa che più di quindici anni fa ruppe il cuore a Sophie Marceau ne Il tempo delle mele? Oggi lo ritroviamo in Un lupo mannaro americano a Parigi, seguito ideale e non riuscito del film di John Landis Un lupo mannaro americano a Londra. Pierre Cosso, però, stavolta è un licantropo neonazista che vuole ripulire il mondo dalla sporcizia dell'umanità.
Delos: Insomma Cosso, dal Tempo delle mele a quello dei licantropi è un bel salto...
Cosso: Sì, ma che c'entra...avevo vent'anni quando girai quel film con Sophie Marceau e oggi ne ho trentasei. Il tempo è passato ed io ho avuto ruoli più interessanti di quello di allora. Quando sei giovane devi accettare tutto...
Delos: Lei peraltro è un lupo mannaro cattivo...uno skinhead che poi allunga il pelo per diventare un cattivone...
Cosso: Sono proprio cattivo anche se in questo film - come dimostra Julie Delpy - non tutti i lupi mannari sono proprio dei mostri. Un lupo mannaro americano a Parigi è un alibi per girare una commedia fantastica che non vuole avere altri messaggi oltre questo.
Ho cercato di dare l'immagine di un cattivo intelligente e non di uno stupido imbecille come sono - poi - gli skinheads nella realtà.
Delos: Se dovesse tirare un bilancio della sua carriera, cosa direbbe?
Cosso: Penso di avere fatto dei bei film e anche delle stupidaggini. Io, però, ho sempre creduto in quello che ho fatto e davvero non sapevo - all'epoca - se quei film che giravo fossero fessi o meno. Oggi lo so, oggi posso decidere e posso - soprattutto gestire la mia cosiddetta carriera in maniera più matura e autonoma.
Delos: Lei ha visto il film di John Landis?
Cosso: No, non lo vidi all'epoca e ho deciso di non rivederlo fino a oggi per non creare dei paragoni nella mia testa. Sono deciso però ad affittarlo adesso. Mi divertirò molto a fare dei paragoni.
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