Delos 30: Pensiero Stocastico Pensiero Stocastico
storie di convention
Secondo Robert Sheckley, per troppo tempo ormai Roberto Quaglia non è stato famoso. Secondo Ugo Malaguti, è un genio. Roberto Quaglia, ovvero il rappresentante della fantascienza del nostro Paese più famoso all'estero e più sconosciuto in Italia, continua a fare tante domande e a rifiutare tutte le risposte.
Alcuni di coloro finiti a leggersi queste righe sanno già benissimo cosa sia una Convention di fantascienza, per il fatto di avere già preso parte ad una o più di esse. Molti altri, invece, pur essendo eventualmente interessati al mondo della fantascienza, non hanno una chiara idea di cosa in effetti sia una Convention di fantascienza, non avendo mai preso parte ad alcuna di esse. A costoro, oltre al suggerimento di tentare una volta o l'altra anche quest'esperienza, rivolgo innanzitutto l'invito a leggersi un altro articolo da me redatto nella rubrica di Pensiero Stocastico, A cosa servono le Convention di fantascienza (http://www.fantascienza.com/delos/delos14/stocast.html), nel quale entro più diffusamente nel merito. Esiste inoltre una terza categoria di persone, i quali non hanno una chiara idea di cosa in effetti sia una Convention di fantascienza, pur avendo già preso parte ad una o anche parecchie di esse. A costoro, i quali inevitabilmente non sono in grado di riconoscersi quali facenti parte di tale terza categoria, caritatevolmente suggerirei la soluzione dell'eutanasia. Una via ideale alla soluzione di parecchi degli annosi problemi che affliggono il mondo dei veri appassionati di fantascienza, una via che tuttavia è praticamente poco percorribile, ragione per cui non ne parlerò più.Partecipai alla mia prima Convention di fantascienza nella tarda primavera del 1989, a San Marino. L'anagrafe, all'epoca, mi attribuiva ventisette anni, leggevo fantascienza già da dodici o tredici anni e la scrivevo da sei. Tuttavia, mai avevo saputo del praticarsi in Italia dei raduni degli amanti della fantascienza. Forse mi era già stato detto o ne avevo già letto anche in precedenza, ma, distratto come sono, non l'avevo notato. Sapevo che raduni del genere si tenevano regolarmente negli Stati Uniti, per averne letta la divertente aneddotica che Isaac Asimov era solito riportare tra una divagazione e l'altra negli interstizi delle sue raccolte di racconti. Leggevo allora con struggente invidia di quegli sbilenchi raduni negli Stati Uniti degli anni cinquanta dove poche decine di sfigati si incontravano qua e là ritualmente a cianciare di science fiction - sfigati che avevano i nomi di Poul Anderson, Frederik Pohl, Cyril Kornbluth, Robert Heinlein e molti altri fra i quali, ovviamente, anche il buon Isaac. In virtù della mia distrazione, però, continuavo ad ignorare che analoghi raduni si svolgessero anche nel mio paese.
Poi, un giorno del 1988 mi recai a Montepulciano a ritirare una specie di Premio Letterario, uno dei primi e nel contempo degli ultimi Premi Letterari ai quali io abbia mai volontariamente preso parte, spendendo per il viaggio assai più denaro di quello nel quale il Premio consisteva. Nell'occasione notai che in parallelo ai riti del Premio era in atto una strana e incomprensibile faccenda che si chiamava Italcon (è del tutto possibile che ciò non sia affatto vero e che i miei ricordi siano falsi; ad ogni modo è in quell'occasione che ricordo di aver preso coscienza dell'esistenza in Italia di qualcosa chiamata Italcon). Venni così a sapere che l'anno successivo ci sarebbe stato a San Marino un Italcon che sarebbe stato anche un Eurocon, cioè qualcosa tipo l'Italcon ma un po' di più.
Un anno passa in fretta, soprattutto quando si tratta di un anno che passò quasi dieci anni fa. Indeciso fino all'ultimo se avventurarmi fino a San Marino oppure no, decisi infine di osare e, armato di tutta la depressione che all'epoca era il mio passatempo preferito, affrontai in treno il lungo tragitto da Genova sino a laggiù senza il minimo entusiasmo e pronto ad ogni probabile delusione. Cosa mai poteva aspettarmi, di interessante, a San Marino, ad una piccola Convention di fantascienza dove non conoscevo nessuno? Le spese di viaggio ed il rammarico di esserci andato, rispondevo a me stesso. Forse anche la pioggia.
Giunsi a San Marino alle tre del pomeriggio del 18 Maggio 1989, a Convention già in corso da qualche ora. Con passo poco fiducioso mi diressi verso il luogo del raduno, curioso soltanto di vedere quale forma avrebbe assunto la mia delusione. Sul pianerottolo che dava accesso al Centro Congressi vidi subito un uomo anziano di evidente aspetto straniero. Toh!, mi dissi, è venuto effettivamente qualcuno da fuori. Osservai meglio lo straniero, nel viso del quale colsi un aspetto immediatamente interessante. La fisiognomica non è un'opinione, è la mia convinzione. Tranne qualche curiosa eccezione, un viso intelligente non cela una persona stupida, né viceversa. Inoltre, tale individuo aveva una faccia che non mi era del tutto nuova. Di colpo seppi chi era quel tale. Forse lessi il suo cartellino di riconoscimento o forse ne riconobbi il viso (la memoria pure vivida che ho di quell'istante pure non giunge a ricordare tutti i dettagli), sta di fatto che d'un tratto seppi che a pochi metri da me c'era Frederik Pohl in carne ed ossa e cervello (essendo io poco antropofago la sua carne ed ossa in sé m'interessava ben poco). E allora fui improvvisamente ben contento di trovarmi in quel luogo in quel momento. Non so se voi che leggete avete mai letto un libro di Frederik Pohl. Se non lo avete fatto consideratevi in castigo.
Passati i primi istanti di entusiasmo, mi ritrovai però a pensare: Che peccato! Ho Frederik Pohl qui davanti a me e non posso neanche andargli a parlare! Dopotutto, cosa mai avrei potuto dirgli che gli interessasse? All'epoca non avevo neanche letto quasi nulla di suo. Giusto il celebre I Mercanti dello Spazio, e forse qualche raccontino. Sapevo dell'importanza di Frederik Pohl più che altro per il fatto di essermi letto le seicento pagine dell'autobiografia di Isaac Asimov, nei quali Pohl è uno dei personaggi più ricorrenti. Conoscevo vita morte e miracoli di quell'anziano newyorchese che avevo davanti, ma avevo letto un suo libro soltanto. Non aveva senso che lo avvicinassi per dirgli qualcosa, dato che non avevo proprio nulla da dirgli. In effetti, pareva che nessuno lì avesse qualcosa da dire a Frederik Pohl. Se ne stava sorridente sul balcone soleggiato a chiacchierare per lo più con la moglie, avulso dall'agglomerato di italiani che formava il resto della compagnia. Un bel peccato perdere quell'occasione di conoscerlo, probabilmente l'unica che mai avrei avuto.
Così rinnegai la mia precedente certezza di non potergli neanche parlare e nascondendo la mia tremenda emozione mi avviai con passo deciso verso di lui dicendo a me stesso senza del tutto riuscirmi a convincere che dopotutto era solo un essere umano.
Mi è concessa l'esperienza di fumare una sigaretta del grande Frederik Pohl? lo apostrofai in inglese, come se stessi abbordando la solita bella ragazza. Non era granché come approccio, ma la prima volta si è sempre un po' impacciati, non solo con le ragazze. Con un gran sorriso Pohl mi offrì una sigaretta, e cominciammo a parlare, non ricordo di cosa.
Si trattò di una splendida conversazione, almeno per me. Non ero arrivato alla mia prima Convention di fantascienza da neppure cinque minuti e già stavo amabilmente discorrendo con Frederik Pohl e sua moglie Elizabeth Ann Hull. Andammo avanti per una mezzoretta buona, pressoché indisturbati. Gli scroccai anche qualche altra sigaretta. C'erano un mucchio di italiani, ad una decina di metri da noi, tutta gente molto più esperta in raduni di fantascienza, ma nessuno di essi era apparentemente interessato a Pohl, né alle sue sigarette, dato che si tenevano a distanza senza mai interagire. O piuttosto, quasi mai. Ogni tanto infatti qualcuno ci raggiungeva e, con tono trepidante e deferente, si presentava a Pohl premettendo i propri titoli (docente universitario, giornalista, ecc.) per quindi rivolgergli una o più domande, alle quali Pohl gentilmente rispondeva, dopo di che l'interrogante si allontanava pasciuto e soddisfatto. La scenetta si ripeté varie volte, con minime variazioni. Ciò che ben presto colpì il mio spirito d'osservazione fu che tutti costoro avevano qualche domanda da porgli, ma nulla da dirgli. Tale faccenda risultava per me abbastanza sorprendente, ma Pohl non ne sembrava affatto stupito. Nel tempo, ciò avrebbe cessato di stupire anche me.
Dopo la mezzoretta di conversazione a tre, con Pohl e la moglie, mi ritrovai per qualche minuto da solo con quest'ultima, Elizabeth Ann Hull.
Perché ti vuoi ammazzare? mi chiese lei in tono molto severo. Avevo appena scroccato l'ennesima sigaretta a suo marito ed era proprio a ciò che lei si riferiva. Frederik ormai è un vecchio catorcio, continuò la moglie, ma tu sei giovane. E' stupido rovinarsi la salute fumando! Rimasi colpito dal fatto che lei si preoccupasse della mia salute, apparentemente più che di quella di suo marito, tanto è vero che me lo ricordo ancora. Come darle torto? Anche a me interessava di più la mia salute rispetto a quella di suo marito! Al momento, fumare è il minore dei miei mali, le risposi, pensando alla sindrome depressiva con cui mi gingillavo solitamente, quando avrò risolto i mali maggiori, penserò a risolvere anche questo. La mia giustificazione non valse a guadagnarmi la sua approvazione.
Nel frattempo, stavano giungendo alla Convention altri figuri d'aspetto straniero. Un signore anziano molto britannico recava una targhetta con scritto John Brunner. Di lui, avevo all'epoca letto soltanto il romanzo La Scacchiera, un libro che non mi aveva particolarmente entusiasmato. Come avrei scoperto in seguito, John Brunner ha nella sua vita scritto numerosi romanzi davvero splendidi, ma allora non lo sapevo, e così il fatto di vederlo lì non mi suggestionava più di tanto. Comunque mi misi a parlare un po' con lui, stentando a capire il suo inglese troppo ben pronunciato.
Più tardi, ebbi di nuovo occasione di intrattenermi con Pohl, e un fotografo ci fece una serie di fotografie assieme. Anche Elizabeth Ann Hull fece delle foto di me e Pohl insieme. Purtroppo, non ebbi mai occasione di vedere né ottenere alcuna di tale fotografie. Curiosamente, quindi, nell'album dei ricordi di Pohl ci sono presumibilmente delle foto di me assieme a lui mentre nel mio album dei ricordi non ve ne sono di lui assieme a me. (in realtà una ce l'ho, con Pohl, Harry Harrison e me, ma fu scattata solo quattro anni dopo ed è di mediocre qualità; comunque eccola qui).
Verso sera, fece la sua apparsa una vecchia signora, con un ammaliante sguardo strabico leggermente spiritato ed un abbigliamento sportivo decisamente inusuale per una donna di una certa età. La osservavo con curiosità quando John Brunner le si fece incontro e con spiccata enfasi la salutò abbracciandola, il che aumentò ancora la mia curiosità. Dopo di che, Brunner la introdusse all'attenzione di Sam Lundwall, un allegro scrittore svedese a me allora del tutto ignoto la cui impetuosa simpatia avrei però ben conosciuta negli anni seguenti: Sam, posso presentarti Judith Merril? Judith Merril?! La mitica Judith Merril! Judith Merril era una scrittrice di SF americana della quale ancora oggi mai ho letto nulla (ebbene sì, lo ammetto: sono un grandioso ignorante!). Eppure sapevo moltissime cose della sua vita, poiché anche lei era uno dei personaggi ricorrenti nell'autobiografia asimoviana che io conoscevo a memoria. Sapevo dei suoi matrimoni con vari famosi scrittori di SF, (fra i quali, se non ricordo male, lo stesso Pohl) e di molti altri particolari della sua vita privata nel periodo della golden age americana. Nel libro di Asimov avevo visto una sua fotografia che ricordavo e ricordo benissimo, e vedermela di colpo in carne ed ossa, a poche ore dall'inizio della mia prima Convention di fantascienza, dopo Pohl e Brunner, era un'esperienza che al di là di ogni logica mi riempiva di emozione. In effetti, perché mai la cosa doveva farmi effetto? Ho sempre trovato ridicoli i fans che si eccitano al cospetto di coloro che essi considerano dei VIP. D'altra parte, io ero cresciuto a pane e Asimov, e quando mi ero divorato l'interminabile autobiografia di Asimov, tanto ne ero rimasto coinvolto che mi era quasi sembrato di avere vissuto quegli anni anch'io, e per settimane, durante e dopo tale lettura, avevo inconsultamente iniziato a narrare incessantemente a me stesso ogni istante da me vissuto in termini di futura autobiografia. Mi recavo ad esempio alla sera in un locale e tacchinavo una ragazza mentre contemporaneamente non riuscivo a non udire nella mia testa la mia stessa voce che raccontava: ...quel giorno uscii di casa e andai in Panteca, il locale dove per anni ero solito passare le mie serate; c'era una bella ragazza che attirò la mia attenzione e io... Singolare, non trovate? Il fatto è che anche quando prendevo l'autobus mi sentivo mentalmente dire a me stesso: ...e allora salii sull'autobus, il 36 barrato... oppure quando mi sedevo su un cesso a farmi i fatti miei ...e fu proprio durante una seduta al cesso che mi venne in mente cosa avrei dovuto... C'è gente che per sballare a tal punto ha bisogno dell'LSD. A me era bastata l'autobiografia di Asimov.
E ora, d'un tratto, era come se un tale delirio fosse divenuto in un certo qual modo realtà. Interagivo con i personaggi della telenovela che in vita mia più mi aveva coinvolto. Come potevo rimanere emozionalmente indifferente? E perché mai avrei dovuto?
Poco dopo, recatomi un attimo alla pensioncina dove alloggiavo, ritrovai sul pianerottolo Judith Merril che vagava spaesata. Le chiesi se le occorresse qualcosa ed iniziammo a parlare. Era invitata a cena nel ristorante di uno dei migliori alberghi locali ma non sapeva arrivarci, così io mi offrii di accompagnarla. Fu una splendida passeggiata. San Marino è tutta in salita, tranne quando è in discesa, solo che quando è in discesa uno non ci fa caso. Judith Merril era anziana e la salita era lunga, quindi procedevamo con calma trovando lo spazio per molte parole ben scelte. Ricordo quei momenti con grande piacere. In brevissimo tempo, finimmo a parlare dei massimi sistemi, un'area d'eloquio nella quale ogni istante di vita è spesa nel migliore dei modi. Quando giungemmo a destinazione, ormai da tempo non eravamo più estranei. Judith Merril m'invitò a restare. Gli altri erano già tutti a tavola e fra di loro si conoscevano tutti. L'unico posto libero era a capotavola, e Judith Merril mi ci fece accomodare. Lei si sedette alla mia sinistra. Alla mia destra, di fronte a Judith, c'era un'altra donna, che mi fu presentata come Julian May. Di fronte a me, all'altro capotavola sedeva Karel Thole, il celeberrimo illustratore di Urania. Ai lati c'erano John Brunner, Jon Hobana (scrittore rumeno, che avrei personalmente conosciuto solo alcuni anni dopo, in Romania), Gianfranco Viviani dell'Editrice Nord e qualche moglie.
Fu un'ottima cena, durante la quale parlai incessantemente con le due signore sedute vicino a me. Mi ricordo che le feci ridere per buona parte del pranzo. Rammento soprattutto la chiassosa risata a trentadue denti di Julian May, una persona che m'ispirava una forte simpatia dato che puntualmente sghignazzava a ogni mia battuta.
Neppure il cameriere riuscì a rovinarmi la serata, giungendo da me al termine della cena per dirmi non senza imbarazzo che io ero l'unico che si doveva pagare il conto, dato che per gli altri era già tutto pagato. Benché io sia genovese, pagai volentieri. Ero un intruso e lo sapevo benissimo. Mi ero intrufolato nel mondo degli scrittori di fantascienza da una manciata di ore e già sedevo a capotavola assieme agli Eletti della SF. Decisamente, ero contento.
Nel dopocena mi accomodai in un salotto del bar con John Brunner e Judith Merril a chiacchierare bevendo grappini. Tanto per cambiare io feci un po' il buffone e finimmo per vaneggiare circa cosa avrebbe potuto combinare un giocoliere in una navicella in orbita. Fu Judith Merril ad introdurre il concetto. Brunner osservò che in assenza di gravità un giocoliere non può fare volteggiare le palle. Io replicai che su una navicella in orbita si può egualmente fare il giocoliere, utilizzando i rimbalzi delle palline contro le pareti. Brunner mi lanciò una fugace occhiata d'ammirazione. Ed io mi sentii in piena autobiografia di Asimov, a cazzeggiare di futilità fantascientifiche in mezzo alla stessa tribù del buon Isaac. Poi Brunner disse che a costringerlo a scrivere per tutta la vita è stato una sorta di diavoletto che regolarmente lo afferra per il colletto, lo solleva di peso e lo piazza davanti alla macchina da scrivere - senza che lui abbia mai potuto opporsi. Judith Merril disse che anche lei aveva avuto quel suo diavoletto, ma che da tempo esso l'aveva ormai abbandonata - ed ella infatti non scriveva più. Io pensai che quei diavoletti a me non erano ancora venuti ad aiutarmi. Di solito mi mettevo a scrivere quando non mi veniva in mente niente di meglio da fare, e mi dovevo decidere da solo, vincendo l'inerzia, senza poter contare su alcun diavoletto schiavista. Negli anni successivi, tuttavia, il diavoletto schiavista avrebbe per certi periodi preso anche me. Scrivere in quei periodi è facilissimo, anche perché non riesci a non farlo.
Andai a dormire a mezzanotte e mezza, estenuato da una giornata iniziata alle cinque del mattino nella cupa stanza da letto del mio malumore a Genova, e proseguita in un crescendo esistenziale decisamente surreale per intensità ed improbabilità. Pensai che una giornata del genere valesse più di sei mesi di indifferenziato grigiore urbano. E mi rimanevano due giorni e mezzo di Convention! Mi addormentai con piena soddisfazione.
Venerdì 19 si rivelò un'altra giornata memorabile. La Convention si era riempita di individui provenienti da tutta Europa, specie dall'est. Conobbi ungheresi, jugoslavi e polacchi. Simpatizzai con Uwe Luserke, un agente letterario tedesco. A pranzo andai a mangiare una pizza con Adam Hollanek, uno scrittore polacco dallo sguardo fiero, Heiner Rank, un simpaticissimo scrittore della Germania dell'Est e Annemarie Van Ewyck, una intelligente donna olandese spintasi fino a San Marino per pubblicizzare Confiction, la Convention mondiale di SF che si sarebbe tenuta l'anno successivo in Olanda a Den Haag, e alla quale in effetti avrei poi partecipato. Annemarie era una donna simpatica e molto intelligente. Fu lei la prima persona a narrarmi per esteso dell'inevitabile destino che ti tocca dal momento in cui entri nella grande famiglia transnazionale del fandom. Passano gli anni e le amicizie nel fandom si aggiungono, una sull'altra, senza che alcuna mai sfumi nonostante l'assenza di frequenti contatti. La famiglia si riunisce di quando in quando, qua e là. Talvolta ci si va, altre volte si manca. Taluni spariscono per un decennio, ma prima o poi riappaiono, e si ritrovano subito fra amici. I mutui vincoli d'empatia non si attenuano né si scoloriscono nel tempo. Un destino strano e intrigante, condito dello stesso umore che avevo già intravisto nella autobiografia asimoviana. Era il mio secondo giorno là dentro e mi pareva di starci da sempre, sebbene sapessi che non fosse così. Mi faceva effetto pensare che gli altri si conoscevano già tutti da anni. Essere l'ultimo arrivato disturba sempre un po'. In seguito, avrei rivisto Annemarie solo due volte: a Den Haag nel 1990 e a Glasgow nel 1995. Ma so che la prossima volta riprenderemo i discorsi sospesi come se il tempo non li avesse mai interrotti.
A cena invece mi ritrovai da solo con Rank e sua moglie. Heiner Rank è un nome che forse dirà poco agli appassionati di fantascienza, tuttavia, nella Germania dell'Est, dei suoi libri di SF furono a suo tempo vendute quattro milioni e mezzo di copie. La discussione che avemmo quella sera si stampò indelebilmente nella mia memoria. Rank mi raccontò per esteso quale fosse la situazione nella Germania dell'Est. Eravamo a maggio '89. Il muro di Berlino era ancora in piedi e non sarebbe stato abbattuto che sei mesi dopo. E nessuno, all'epoca, avrebbe potuto prevedere quanto poi sarebbe effettivamente successo. Tuttavia Rank mi mise di fronte ad una selva di dati che tratteggiavano al di là di ogni dubbio l'esistenza nella DDR di una situazione esplosiva o, più esattamente, già esplodente. Una cosa è certa, egli mi disse, non può continuare così senza effetti catastrofici nel prossimo futuro. La situazione sta esplodendo e non può più tornare sotto alcun controllo del regime. Quindi Rank mi invitò ad andarlo a successivamente a trovare a Berlino Est, e ancor oggi mi rammarico di non avere colto tale invito. Sei mesi dopo Berlino Est cessò di esistere diventando la parte est di Berlino Ovest. Non ho più saputo nulla di Heiner Rank, e anche su Internet non c'è verso di trovare traccia di lui.
La mattina di sabato 20 Maggio finalmente tornai a parlare italiano. Conobbi qualche connazionale e m'impelagai in un disquisizione sulla neotenia della curiosità umana che sorprese me per primo. Una protomanifestazione del mio Pensiero Stocastico. Nel pomeriggio passai due ore al bar a bere birra con Brunner. Egli mi raccontò del difficile momento che stava vivendo a causa della recente morte della sua amata consorte. Al momento del decesso di lei egli era in procinto di ultimare il suo ultimo romanzo, che però adesso era condannato a non terminare mai. Non poteva più rimettersi a lavorare su un'opera che egli aveva imbastito quando ella era stata in vita. Quel libro era perduto per sempre. Ora stava lavorando ad un nuovo romanzo. Gli chiesi di cosa trattasse, ed egli mi rispose che non parlava mai a nessuno dei lavori che aveva in corso d'opera, poiché se lo avesse fatto non sarebbe più stato in grado di continuarli. Replicai che accadeva la stessa cosa a me. E poco dopo gli raccontai del libro che stavo in quei giorni scrivendo. Brunner mi guardò con malizia: Avevi detto che non parli dei libri che stai scrivendo... Già. Mi ero smentito nel giro di pochi minuti. Il fatto è che con lui, complice tutta la birra ingurgitata assieme, avevo fatto una delle prime ed ultime eccezioni. Mostrai poi a Brunner alcuni fumetti a strip che qualche anno addietro avevo confezionato, ed egli mi disse che forse sapeva a chi avrebbero potuto interessare, in Inghilterra. Purtroppo però io sono un po' distratto e quindi mi dimenticai sempre, allora come negli anni che seguirono e tutte le volte che avrei rivisto Brunner, di ritornare sull'argomento, e così ancora oggi quei fumetti giacciono dimenticati in uno dei miei stracolmi cassetti. Ho scritto questo passo anche nella speranza di ricordare in futuro a me stesso di tornare a cercare una collocazione commerciale per quel mio prodotto di ormai più di dieci anni fa.
Nel frattempo, la Convention era ormai intasata di scrittori famosi. Erano arrivati anche Robert Silverberg, Norman Spinrad, Brian Aldiss e Harry Harrison.
Silverberg indossava un paio di blue jeans sgualciti e ricordo su di lui un elemento a fiorellini che gli dava un look alquanto hippy, ma forse questa è solo un'alterazione della mia memoria. Girovagava con sguardo perennemente cupo intagliato su un viso trasudante consapevolezza. Lo approcciai, e mi presentai a lui come ...the most unknown science fiction writer of the whole universe (il più sconosciuto scrittore di SF di tutto l'universo). La maschera di Silverberg si squarciò e lui proruppe in un'aperta risata. Dopo di che mi disse: Beh, lo sono stato io per un sacco di tempo. Mi aveva creduto.
D'altra parte, quello che avevo detto era vero, e anche il mio aspetto di allora non contraddiceva le mie parole (come potete verificare in queste foto). Discutemmo per un po' amabilmente, finché non commisi un'azione che evidentemente già migliaia di fans avevano commesso nei suoi confronti e che lui non era disposto a sopportare più (e non vi dirò quale). In un attimo l'amabilità scomparve del tutto dal suo volto che si rinserrò nella sua consueta cupa maschera di dolorosa alterigia, senza dirmi nulla mi voltò repentinamente le spalle e se ne andò. Ci rimasi male, ma d'altra parte imparai qualcosa (e non vi dirò cosa).
Alla sera cenai con Annemarie van Ewyck e Pascal Ducommun, allora direttore della Maison d'Ailleurs, il museo svizzero della fantascienza. La conversazione ondeggiava fra l'inglese, il tedesco ed il francese, le lingue che in varia misura parlavamo tutti e tre, con il risultato che dopo un po' si perdeva la coscienza di quale lingua si stesse in un certo momento parlando. Il fatto è che il francese, al contrario delle altre due lingue, io lo so malissimo e così, di quando in quando, mi rendevo conto che faticavo a capire cosa gli altri due stessero dicendo, solo per questo motivo accorgendomi allora che in quel momento essi stavano parlando in francese. Più buffo ancora era il fatto che di quando in quando, mentre dicevo qualcosa, mi rendevo d'un tratto conto che stavo facendo una fatica dannata a dirlo, e allora - e solo allora - mi accorgevo che stavo parlando francese e così commutavo sull'inglese o il tedesco e mi liberavo dell'inutile intralcio.
Domenica 21 maggio c'era aria di smobilitazione. Poco da ricordare. In mattinata passai un'oretta a chiacchierare con Julian May, ma non mi ricordo cosa dicemmo. Ritengo comunque che ci dicemmo qualcosa, dato che lo facemmo per un'intera ora. Per il resto, feci finalmente un giro per il paese, che sino a quel momento non avevo ancora visitato. Ho ancora negli occhi un'immagine di Silverberg, che ad un tratto vidi seduto ad un tavolino al di fuori di un bar, solo soletto e rattrappito in se stesso con espressione funerea. Nel pomeriggio, poi, avrei abbandonato San Marino, per tornare a rattrappirmi a Genova. Avevo passato alcuni giorni entusiasmanti. Avevo trascorso ore ed ore con individui notevoli. Tutti stranieri. Non avevo conosciuto quasi alcun italiano. Appena giunto a Genova incontrai il mio amico Gigi Picetti e gli dissi immediatamente:
-Non indovinerai mai con chi ho parlato ieri.
E Gigi rispose:
-E tu non indovinerai mai con chi ho parlato io mezzora fa.
Ci dicemmo insieme con chi avevamo parlato. Voi ora sapete con chi avevo parlato io. Gigi, invece, era appena stato dieci minuti al telefono con Mario Cuomo (all'epoca sindaco di New York). E d'un tratto saltò fuori un terzo amico, Enrico, che con entusiasmo apparente superiore al nostro ci comunicò:
-Ho appena stabilito il mio nuovo record al Tetris!
Ma questa, è tutta un'altra storia. Che non vi racconterò.
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