La rabbia del rap, la reazione della fantasia nei confronti di una realtà deprimente costituiscono il nodo di 8 mile un film interessantissimo che segna il ritorno alla regia di Curtis Hanson dopo gli apprezzatissimi L.A. Confidential e Wonder Boys. Tutt'altro che una biografia del rapper Eminem, 8 Mile è un viaggio nella speranza di fantastico che c'è in tutti noi, nella forza di un ragazzo di tentare a tutti i costi di cambiare la sua vita difficile. Dopo avere provato per sei settimane, Hanson ha guidato gli attori nel ghetto di Detroit dove ha costruito la vicenda di un ragazzo bianco ossessionato dalle sfide (quasi dei certami poetici improvvisati) con altri ragazzi neri. Nella città dell'etichetta Motown che ha prodotto il meglio della musica nera degli ultimi cinquanta anni, nella terra della disoccupazione per colpa della crisi dell'industria dell'auto, il personaggio di Eminem cerca di sfuggire ad una realtà quotidiana di disperazione ed emarginazione, lavorando in fabbrica. Venticinque anni dopo la febbre del Sabato Sera, il musical perfetto per l'era di Bush: dove, però, la poesia e l'arte che rendono liberi (qualsiasi arte e qualsiasi poesia) sono sempre dietro l'angolo a salvarci la vita.