Un'équipe di scienziati del Dipartimento di Fisica dell'Università di Ginevra è riuscita a "teletrasportare" con successo un fotone da un laboratorio ad un altro, alla distanza di due chilometri. E sta proprio in questo, l'eccezionalità del risultato. Finora, ed è il caso della notizia che pubblicammo su queste pagine lo scorso giugno, gli esperimenti di questo tipo si erano infatti limitati al trasferimento delle particelle a pochi metri di distanza. Una distanza di due chilometri è invece indice di una tecnica che si sta avviando a essere ben collaudata e pronta per una qualche applicazione pratica. Si badi bene che comunque, per ora, sarà ben lungi dal teletrasporto di trekkiana memoria. Innanzitutto va precisato che la tecnica sperimentata non è un vero e proprio teletrasporto ovvero la disgregazione di un corpo da una parte e la ricostruzione dello stesso corpo dall'altra. Bensì di una sorta di "clonazione" di una particella avente le stesse identiche proprietà fisiche, come fase e ampiezza, dell'originale. In pratica, all'estremità di arrivo del tunnel di trasporto, viene "creata" una particella in tutto e per tutto identica a quella del punto di partenza, rispetto alle sue proprietà fisiche. Da questo punto di vista si tratta della "stessa" particella, senza essere a tutti gli effetti la medesima particella. In secondo luogo, l'eventuale replicazione a distanza di un corpo materiale complesso, richiederebbe allo stato delle conoscenze attuali capacità tecnologiche che sono per ora distanti anni luce rispetto allo stato attuale delle conoscenze. Tuttavia un applicazione pratica relativamente immediata, e comunque percorribile, esiste ed è quella che riguarda il fronte dell'informazione. "Spostare" fotoni a distanza in maniera pressoché istantanea e affidabile è una tecnica assolutamente appetibile per applicazioni informatiche, poiché consentirebbe la realizzazione di computer milioni di volte più veloci di quelli che usiamo adesso. Inoltre, è plausibile che una tecnica di questo tipo possa essere utilizzata in prima istanza anche in campo militare, poiché le grandi prestazioni di macchine basate su questa tecnologia, consentirebbero la gestione, in tempi di calcolo ragionevoli, di fattori primi di numeri a centinaia di cifre, che sono l'elemento base di tutti i codici numerici per la protezione dei dati.