Aldani, l'individualismo e la funzione primaria
Abbiamo spesso parlato delle tendenze individualistiche odierne, e della virata di certa SF in questo senso. Sotto aspetti radicalmente differenti, sostanzialmente da un punto di vista socialista, Aldani la sua condanna all'individualismo sfrenato e la sua anticipazione di questa tendenza l'aveva fatta già a partire da trenta anni fa. Il protagonista di Trentasette Centigradi muore perché da solo la rivoluzione non la può fare. Ma oltre questa scontata presa di posizione Aldani, ravvisa Domenico Gallo, affronta una vasta problematica della dialettica dell'individuo. L'individuo, per affermarsi come tale nel mondo perduto che dipinge Aldani, deve contrapporsi e brillare in risalto nei confronti della società e della classe.
Il mio potrebbe essere un discorso molto pericoloso...
In Aldani mi pare di poter ravvisare che c'è da una parte l'idea che l'individuo da solo non possa interagire con la realtà, non la possa modificare (in piena aderenza con la sua fede socialista), ma più in là vi è anche la consapevolezza che aderire ad una massa dotata di intelligenza superiore, aderire cioè ad una massa in un punto che sta sotto il suo baricentro direttivo comporta un annichilimento dell'individuo che non è un elevarsi a struttura più alta. L'individuo non viene rinfrancato del suo perdersi nella collettività da un macrorganismo che lo gratifica, egli viene semplicemente assorbito in un contesto più grande che lo spegne, lo devitalizza.
Questo è quanto succede in Tecnocrazia Integrale, Buonanotte Sofia, Trentasette Centigradi e molti altri racconti
L'uomo è costantemente immerso in una complessa struttura sociale, organizzata, basata sullo sfruttamento delle capacità dei singoli. Ogni uomo all'interno della struttura può (deve) adempiere ad una sola funzione (fosse anche quella di non rompere le scatole, svolgendo un lavoro inutile che lo tenga solo impegnato).
In un mondo prepotentemente lanciato verso il progresso è essenziale che ognuno svolga un'attività utile e che su questa concentri tutte le sue energie, e che quindi, complementarmente, veda sporco di una sorta di senso di colpa tutto ciò che lo distolga dalla sua attività primaria, portandolo a costruirsi delle scappatoie per permettersi tali misere deviazioni.
Anche Shiller, che sull'opportunità della sublimazione della funzione primaria è stato ampiamente critico, in un passo delle sue Lettere sull'educazione estetica dice che "solo concentrando tutta l'energia del nostro spirito in una direzione e raccogliendo tutto il nostro essere in un'unica forza, diamo ad essa una sorta di ali che permettono di superare i limiti che la natura sembra averle assegnato" (VI Lettera).
"Nel nostro tempo" scrive a questo proposito Jung in Tipi Psicologici "vi è un abisso tra ciò che un uomo è e ciò che rappresenta, tra la sua individualità e la sua funzione di essere collettivo. La sua funzione è sviluppatissima, ma non lo è la sua individualità."
Ci sono due esigenze che si contrappongono e che, almeno allo stato attuale dell'esistenza sociale, difficilmente si potranno armonizzare: la necessità dell'individualità di progredire armoniosamente attraverso un equilibrato sviluppo delle proprie funzionalità, e la spinta della specie umana verso una propria crescita, spinta che si attua armoniosamente nel macrorganismo sociale in cui viviamo attraverso le forti spinte individuali sintonizzate su una sola attività di forte intensità. (Armonia sociale attraverso una forte disarmonia individuale). "Un'attività unilaterale delle forze" che, dice Shiller, "porta immancabilmente l'individuo all'errore, ma la specie alla verità".
Lo sviluppo della funzione primaria è alla base della costruzione sociale. Ma, continua a dire Jung, "è molto facile che tra le funzioni emarginate si nascondano dei valori personali di notevole portata, i quali, se hanno una limitata importanza collettiva, sono di importanza estrema per l'individuo. Questi valori sono capaci di donare al singolo una pienezza di vita che non potrebbe certo attendersi dalla sua funzione sociale". La funzione sociale, d'altronde, attribuisce all'uomo un ruolo sociale, gli conferisce un'identità permettendogli di esistere nella collettività. Tuttavia questa da sola non basta per donare quella soddisfazione e gioia di vivere che può essere donata solo dallo sviluppo dei valori propri dell'individuo.
Allora la ferita rimane aperta, e degenera, sovente drammaticamente, nel male di questo secolo: un'asfissiante alienazione di cui pare impossibile liberarsi. E' una ferita che sente profondamente Schiller: "Anche se il mondo nella sua totalità può trarre grandi vantaggi dallo sviluppo separato dalle capacità umane, senza dubbio gli individui che sottostanno ad esso soffrono molto per questa universale finalità".
E quelli che soffrono sono gli individui di Aldani. I colori smorti di Buonanotte Sofia, la loro funzionalità, la loro ristrettezza, sono la metafora di un'umanità che ha trovato poche essenziali capacità umane che le bastano per progredire e da ogni uomo pretende solo queste e non accetta altro, distrugge ogni altra capacità. Distrugge (frammenta) quell'uomo che ci portiamo dentro, per raccattare quelle capacità che potranno tornare utili.
L'eroe di aldani
A questo punto l'eroe di Aldani è lo stesso eroe di Camus, è un eroe stanco e triste. E' un eroe che rifiuta i bisogni imposti e rifiuta il lavoro quando questo serve solo alla società dei consumi che lo uccide poco alla volta. (Si pensi sempre al protagonista di Trentasette Centigradi, lavora solo per pagare la Convenzione Medica, e per pagarsi gli inutili gingilli che gli vengono proposti dalla continua pubblicità; non è forse un lavoro da rifiutare?) L'eroe di Aldani assume così un comportamento divergente dalla società che lo pone come antisociale. Rifiuta di appartenere ad una società in cui il lavoro e il tempo libero, cioè tutto lo spazio dell'uomo, vengono strumentalizzati con finalità alienanti che puntano ad avere dei cittadini consoni alla società in questione.
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