Ma nella scrittura di questo diario mi pare di poter ravvisare un interesse per la letteratura che i personaggi di Aldani rivelano più volte. Lo stesso interesse che rivelerà Arno, il protagonista intellettuale di Quando le radici. Questo interesse dei suoi personaggi per la scrittura è ben rilevabile già da ora, già da quando il protagonista del racconto rivela che: "Ora so come deve essere tenuto un diario. Bisogna bandire del tutto le riflessioni e la nostalgia. Sì, perché all'inizio cominci a scrivere per riempire i vuoti, le pause di un tempo che sembra restio a trascorrere. Poi, a poco a poco, ti accalori, scrivi, scrivi, ed esageri. E finisci col credere a tutte le sciocchezze che metti sulla carta." Cosicché in questo diario alla fine il protagonista finisce per appuntare soltanto i fatti, perché a forza di descrivere il colore spettrale di Phobos, finisce che Phobos ti mette sul serio paura. E continua il protagonista "ho deciso che su questo diario mi limiterò a riportare soltanto i fatti. Solo quelli che cadono sotto la mia diretta osservazione. Una macchina fotografica. Ecco! Non voglio metterci nulla di mio, nulla, assolutamente nulla. Voglio essere freddo, impersonale, come una calcolatrice elettronica".
E qui salta fuori il genio dello scrittore che da un lato lascia un segno della sua intenzione di far quasi realismo fantascientifico, ma, contemporaneamente trasformarsi in macchina fotografica significa ridursi a strumenti, alienarsi. Se è pericoloso per uno scrittore affidarsi solo all'istinto, è altrettanto pericoloso affidarsi solo all'intelletto: le due componenti devono essere equilibrate. C'è uno squilibrio alienante che Curtoni ravvisa nell'affidarsi esclusivamente all'istinto o all'intelletto, ma forse Aldani aveva anche voluto porre la sua attenzione sull'estremo identificarsi del protagonista con una specifica funzionalità, volendosi riallacciare in modo profondo a quello che dall'inizio di questo secolo, con i primi studi psicanalitici, è stato indicato come un fattore fortemente alienante: lo sviluppo disarmonico delle proprie funzionalità. Lo sviluppo esagerato della funzione primaria di utilità sociale, e il soffocamento delle altre peculiarità soggettive.
Le disarmonie dell'animo si riaffaccia spesso nei racconti di Aldani, con i sintomi più vari. A volte ci troviamo di fronte a scene allucinanti di uomini assolutamente estranei a se stessi. E' il caso del protagonista di Harem in valigia con quell'ossessivo uso della seconda persona singolare che nota Curtoni "Tu guardi l'orologio... Tu dai un'occhiata..." che certamente indica un certo distacco da se stesso, ma in più è una paurosa espressione di noia, di stanchezza, di totale mancanza d'interesse per il colloquio umano e per le cose della vita.
Il racconto è un'indagine sulla radice del male che sta dentro ogni uomo. E' la storia di un uomo che ha rapporti con una donna che non ama ed entra in un negozio attratto dai seni di una commessa. Qui scopre delle bambole di gomma a misura umana funzionalmente ottime per fini sessuali (ovviamente sono disponibili anche modelli per donne, come rivela alla fine la sua compagna). Il venditore di queste bambole insiste su un punto in particolare per vincere le diffidenze del protagonista: tutte le donne sono di gomma; "Anche negli attimi più belli dell'unione amorosa, l'altro non è mai il fine del nostro desiderio, ma un comodo mezzo per tenere più agevolmente a fuoco le immagini della nostra fantasia. Non è forse onanismo? Non è forse masturbazione più o meno velata?"
E in questo racconto una prima risposta incomincia a saltar fuori: "la radice del male" scrive Curtoni "parte dall'individuo e si trasforma in malattia sociale".
"Il microbo è naturale" dice Camus, il male ce lo portiamo tutti dentro e a vivere correttamente il massimo che possiamo sperare e di non infettare gli altri. Qui Aldani chiude il circolo, e la disattenzione dell'uomo/donna, incapace di rifuggire da questa adorazione narcisistica, crea il male sociale, a partire dall'individuo. "Se l'uomo" conclude a questo proposito Curtoni "fosse capace di non strumentalizzare la donna nel rapporto amoroso (e viceversa, ovviamente) le cose andrebbero in maniera diversa; bisognerebbe adorare un po' meno se stessi, rendersi conto della realtà umana di coloro che ci stanno intorno. L'incomunicabilità nasce proprio da questo egoismo sfrenato, da questa smania di piacere narcisistico; e le donne sintetiche sono la logica conclusione di una parabola discendente antica quanto il mondo".
Il punto più estremo, e la soluzione più estrema di questa alienazione individuale si toccano in Doppio psicosomatico. Una donna, Amanda, perde il marito e lo sostituisce con un essere artificiale, un robot. Questo è in tutto e per tutto identico al marito, sia in termini della personalità elettronica, che nell'esteriorità. Questa donna preferisce alla consapevolezza del sapere che il marito è morto, una sorta di stato d'oblio in cui il marito, sebbene nelle fattezze del robot, le è ancora accanto.
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