Molte tue opere sono stupefacenti. Dotate di grandiosa forza comunicativa ancora oggi, come se le avessi scritte ieri, e ancor più sconvolgenti in relazione al contesto culturale in cui nascevano. Scacco doppio: un racconto così fortemente letterario, stilisticamente sofisticato, in un ambiente che non era abituato a tanto, come ha reagito l'ambiente letterario? Come ha giustificato la produzione di una simile perla da parte di una letteratura tanto maltrattata? Visita al padre: un racconto dal carattere fortemente intimista (me la passi questa definizione?) che tocca profondamente tutti. La SF è un limite o un'arma in più per questo racconto?
Scacco Doppio. Come ha reagito l'ambiente letterario? Non se n'è nemmeno accorto. Ma non vedo come avrebbe potuto. Il racconto fu pubblicato una prima volta su una specie di indefinibile antologia e una seconda volta nel mio libro Eclissi 2000. Infine su Terminus. In tutt'e tre i casi era chiaramente indicata in copertina l'etichetta Fantascienza, un genere che i critici letterari assolutamente non leggono. Visita al padre. No, la SF non è stata un'arma in più per questo racconto. Ma non è stata neanche un limite. Mi spiego: il racconto mi sembra un forte esempio di pensiero fantascientifico che nella sua esternazione non può però usare la SF come arma in più, lente d'ingrandimento o altro (vedi una delle prime domande). Per molti anni il racconto fu giudicato un racconto realista che inutilmente faceva uso di spunti fantascientifici (direi in misura minima) per camuffarsi come SF. Non si capiva che la SF era in quel bambino costretto a vivere su un balcone largo 70 cm, un bambino incapace di distinguere un salice da una quercia, una lucertola da una lumaca. Ecco, questo è il pensare secondo SF, quando tutta l'apparecchiatura della SF diventa inutilizzabile, o se impiegata, superflua.
In qualche modo è arrivato un certo riconoscimento della cultura ufficiale? Immagino che ciò possa anche non toccarti più di tanto, nella tua opera sei sempre andato avanti indipendentemente dai riconoscimenti (che però iniziarono a fioccare, soprattutto a livello internazionale), ma che effetto fa adesso, dopo tanti anni, vedersi tradotti in Italia dalla Mondadori, su Urania, grazie alla traduzione di un'antologia americana? Che razza di beffa è quella di arrivare in Italia dagli Stati Uniti?
Qualche riconoscimento è arrivato. Vedi Oreste del Buono, Luce D'Eramo e pochissimi altri. Ma si tratta di personaggi in qualche modo già compromessi con la SF, già guadagnati alle sue tematiche, e che pertanto erano già convinti. Normalmente, la cultura ufficiale ci snobba, ma a questo siamo ormai abituati. Ovviamente la cosa non mi ha mai toccato più di tanto. Anche perché le traduzioni all'estero fioccavano. Cosa posso volere di più? Mi dicevo. Essere tradotto in sedici lingue è un bel traguardo. Anzi, diciassette, se debbo tener conto della traduzione in italiano di Buonanotte Sofia, su Urania, una rivista con la quale non sono mai andato tanto d'accordo.
I motivi?
Chiusura nei nostri confronti. Ad onor del vero, quattro o cinque racconti Urania me li ha richiesti e li ha pubblicati. Voleva, nel 1988, quando curatore era Gianni Montanari, pubblicare anche il romanzo La croce di ghiaccio, ma io non accettai: consideravo la rivista mondadoriana troppo settoriale.
Le frequenti traduzioni russe delle tue opere, il tuo pensiero ti hanno creato problemi, fatti insoliti, nel periodo del pesante muro contro muro tra oriente e occidente? Quelle pubblicazioni le hai vissute con gusto particolare?
Voglio innanzi tutto indicare alcune cifre. Il mio primo racconto in Russia è stato Buonanotte Sofia, inserito in una grossa antologia internazionale la cui tiratura toccava le 300.000 copie. Un altro mio racconto, Gli ordini non si discutono, è stato pubblicato su una rivista scientifica stampata e distribuita in 3.100.000 copie. Con queste tirature da capogiro mi girava effettivamente la testa, tanto più che la TV moscovita mandava in onda adattamenti televisivi dei miei lavori. Puoi immaginare il mio disappunto (eufemismo di rabbia) quando mi venne rifiutato Trentasette Centigradi. Pensavano che volessi satireggiare il sistema sanitario sovietico. Comunque, il racconto dopo sei anni di anticamera fu accettato nel '70 e pubblicato con accompagnamento di elogi e sviolinate in verità fuori misura. Lo stesso non posso dire per Scacco doppio, respinto perché Joyce in Russia non aveva diritto di cittadinanza. Idem per Quando le radici: non è piaciuta la mia simpatia per il mondo zingaro e la critica non tanto velata del sistema comunista del futuro. Oggi in Russia non ho più contatti. Mi spiace, comunque, veder le mie cose più impegnate rimanere senza esito in quella parte del mondo che mi è sempre stata a cuore.
Negli altri paesi hai trovato lo stesso complesso di inferiorità di cui soffriamo noi italiani nella SF? Talvolta qualcuno si para dietro la vecchia storia della tara umanistica italiana che non ci permette di scrivere buona SF. Ma quanto è verosimile? All'estero un italiano è forse mal visto per questo? Eppure sovente gli italiani, quelli in gamba, hanno avuto più fortuna fuori che in patria.
Più o meno negli altri Paesi si può trovare nella SF la stessa situazione di cui soffriamo noi italiani. A dire il vero non è che la forma mentis scientifica sia qui da noi diffusa e vincente. E' più frequente la formazione umanistica. Ma sostenere che è la tara umanistica ad impedirci di scrivere buona SF non è accettabile. La SF deve seguire uno schema logico-scientifico, d'accordo. Ma questo non significa che debba necessariamente occuparsi di problemi scientifici, anzi.
Quando chiesero a John Cage come andassero le cose, lui rispose che vanno meglio, migliorano, solo che vanno così lentamente che nell'arco di una vita noi non ce ne accorgiamo. Adesso io lo chiedo a te: Lino, come vanno le cose?
Le cose? Le cose stanno cambiando, cambiano certamente. Solo che cambiano così in fretta che nell'arco di una vita dovremmo anche noi mutare Weltanschauung innumerevoli volte, diciamo 8/10 anni. Per fortuna c'è la SF che può abituarci a superare lo shock dei reiterati cambiamenti.
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