Quell'uomo era apparso all'improvviso. Un attimo prima non c'era e un attimo dopo era lì che si guardava intorno, stralunato come se venisse da un altro mondo. Kathy nel vederlo aveva avuto un sussulto; non che facesse paura, per carità, ma semplicemente perché non se l'aspettava. Guardandolo bene era un ometto anziano, con uno strano e goffo abbigliamento ed i capelli accuratamente pettinati all'indietro che lasciavano scoperta una fronte ampia solcata da rughe profonde che solo il tempo può disegnare. Aveva tutta l'aria di essersi perso. Kathy non l'aveva sentito entrare, se l'era trovato di fronte e questo era bastato a farla trasalire. Il batticuore le era passato in verità quasi subito. Quel tizio era così innocuo che non avrebbe fatto paura a nessuno, anzi sembrava che cercasse aiuto. Passato il primo momento d'imbarazzo gli chiese:

Scusi, signore, cerca qualcuno?

Lui la guardò come se si accorgesse in quel momento che nella stanza c'era anche lei. Strabuzzò un po’ gli occhi, deglutì, si schiarì la gola con un colpetto di tosse e disse semplicemente: – No, grazie!

La risposta la lasciò interdetta. Avrebbe voluto replicare, sparargli a raffica una decina di domande: “Chi fosse mai!”, “Cosa ci facesse nella sua casa!”, “Come fosse entrato!”, “Perché fosse lì!” e essenzialmente perché fosse così stupito, ma non riuscì a dir nulla. Con la mano destra prese la sinistra e rimase in trepidante attesa che l'uomo aggiungesse qualcosa, ma non accadde nulla!

Guardò l'orologio. Don non sarebbe tornato che dopo due ore. Guardò di nuovo quello strano tipo. Si era allontanato dalla poltrona vicino alla finestra ed ora era nel corridoio a guardare con interesse i quadri alle pareti. Aveva superato appena la scala che portava di sopra quando si fermò, pensieroso, davanti alla porta che dava alla cantina. Stava per aprirla quando Kathy, con tono deciso, lo richiamò: – Signore, scusi, non le sembra di essere un po’ invadente?

Lui si voltò di scatto aggrottando la fronte, riunendo così in un'unica linea scura le folte sopracciglia. Ebbe un attimo di esitazione, quasi che ponderasse l'appunto che gli era stato appena mosso, poi con calma chiese: – Lei abita qui?

– Certo che abito qui… – rispose pronta Kathy. – … è casa mia questa. Lei, signore, si trova in casa mia…

– È proprio sicura, signora? –  replicò l'altro pacatamente.

– Ma certo che ne sono sicura. Ci sono nata in questa casa. Ho sempre vissuto qui, come i miei genitori. Anche i miei nonni, prima.

– E anche i suoi bisnonni – aggiunse l'uomo con sicurezza.

– Beh, questo non lo so. Non ne sono tanto sicura. Ma lei come fa a saperlo? – si incuriosì Kathy

– Glielo posso assicurare, signora! Ne ho la prova –  affermò il vecchio sorridendo.

– Quale prova? Che cosa ha con sé che può dimostrarlo?

– Io… io…

– Cos'è, non mi sa più rispondere? Forse ha un po’ esagerato? Forse lei è un po’ confuso… – affermò Kathy prendendo coraggio.

– No no, volevo semplicemente dire che io… io sono la prova! Possibile tu non mi abbia mai visto? – incalzò l'uomo.

– No, non credo. Lei, veramente, ha un non so che di familiare, ma no… non ricordo di averla mai vista prima e poi, adesso, perché mi dà del tu? Lei è un estraneo. Perché è qui? Cosa vuole da me? Come è entrato? Guardi che se ha cattive intenzioni io so come difendermi e poi a momenti mio marito sarà qui e lui… lui è un poliziotto… – cominciò a farfugliare Kathy.

Provava di nuovo quella palpitazione provata poco prima. Sentiva le tempie gonfiarsi e aveva indubbiamente il cuore in gola. Sì, proprio questa era la sensazione, il cuore in gola.

– Stai calma– la rassicurò lui. – Non voglio farti del male. Non potrei. Io sono William J. Guthermore. Capito? Guthermore!! Beh, cosa c'è? Non ti dice niente il mio nome?

– Il cognome sì. È il mio! Ma il nome, il nome no! Ma, insomma, lei chi è? – quasi gridò Kathy.

– Io sono… Io so, ti sembrerà impossibile… Io sono Bill Guthermore! – concluse con orgoglio.

Kathy aprì la bocca come se volesse dire qualcosa ma non riuscì ad emettere che un’esclamazione soffocata, mentre un'espressione di puro stupore si disegnava sul suo viso, che era di un pallore spettrale. Rimase impietrita guardando quell'uomo che, a braccia aperte, le si stava avvicinando per abbracciarla. Poi, come se si ridestasse da un incubo, fece un balzo indietro e gridò come un ossesso “AIUTOOOOOOOOOOO!!”

– Stai tranquilla – la rassicurò l'uomo, poggiandole leggermente la mano sulle labbra. – Non gridare. Non ti voglio fare del male. Posso spiegarti!

Quel volto così familiare, la voce pacata, ed il contatto della mano sulla bocca la tranquillizzarono. Sentiva che non c'era da aver paura. Scostò le dita dell'uomo lentamente, senza dire nulla e guardandolo dritto negli occhi si avvicinò al lavandino della cucina e lo aprì. Riempì un bicchiere e sorseggiò per un attimo l'acqua fresca.

– Parla! – disse poi con voce strozzata.

– Dicevo che sono Bill Guthermore e, per l'anagrafe di Richmond, sono un trovatello nato il 6 Giugno del 1857, in un posto imprecisato del Maine. In realtà sono comparso, esattamente come è successo oggi, a Richmond il 24 settembre del 1888.

– In che senso …COMPARSO? – chiese lei, di nuovo allarmata.

– Capirai, te lo assicuro! Fatti raccontare tutto e capirai. Dunque, arrivato a Richmond, non conoscevo nessuno. Trovai lavoro presso un droghiere e mi feci voler bene tanto che il titolare del negozio credette alla storia del trovatello e mi aiutò affinché io riuscissi a ricostruire la mia identità, per la verità inesistente, visto che non risultavo nato in nessun posto. Io sapevo bene come mi chiamavo realmente e da dove venivo, ma non avrei potuto spiegare a nessuno che pochi istanti prima del mio arrivo mi trovavo nel 1712 a Boston, 176 anni prima!

– Ma come è possibile? Che storia racconti!! È pura follia – aggiunse lei.

– È così. Ti assicuro. È come dico – continuò l'uomo con tranquillità. – La mia esistenza è stata segnata da questo strano destino. La prima volta che è accaduto sono rimasto terrorizzato. Mi sono ritrovato, da un momento all'altro, in un posto che non conoscevo, tra gente che parlava una lingua diversa ed indossava strani abiti. Avevo appena sette anni e l'avvenimento mi lasciò traumatizzato fin quando accadde la seconda volta. Avevo circa 11 anni e, nel nuovo posto dove mi ritrovai, incontrai un uomo che dichiarò di aver conosciuto i miei genitori e di essere, come me, un PASSANTE DEL TEMPO. Sì, questa è la definizione che meglio si addice al nostro stato. Ogni tanto capita! Non si può prevedere quando, ma capita. Una specie di vortice. Tutto gira velocemente. C'è tanta luce. Poi, così com'è cominciato, tutto finisce e ti ritrovi ad aver fatto un balzo temporale in avanti. Non siamo tanti ad avere queste caratteristiche ma siamo molti di più di quanto si pensi. Lo so, lo so, ti sembra un'assurdità. Non puoi crederci!

Lo osservò con attenzione. Non sapeva se ridere o chiamare il Centro di Malattie Mentali. Figuriamoci! Un PASSANTE DEL TEMPO… Doveva proprio essere proprio matto. Che stupidaggine! Avrebbe voluto dirglielo che non credeva ad una sola parola di tutto quel che le aveva raccontato ma non ne ebbe il coraggio, anzi, quasi assecondandolo nell'esposizione, gli chiese: –

Quanto tempo sei rimasto a fianco della bisnonna?

– È stato il periodo più lungo, 27 anni. Poco fa ero proprio fuori di questa casa e stavo tagliando la legna per il camino, mentre Annie era dentro e stava cucinando. Sarà morta di crepacuore quando non mi ha trovato più! – rispose pronto lui. Poi aggiunse: – …non c'è nulla che mi fa capire che sta per avvenire il balzo, purtroppo. Nessun segnale. Può avvenire in qualsiasi momento!

Kathy non poté trattenere una risata. Lui la guardò un po’ contrariato. Lei si ricompose e quasi a scusarsi disse: – E già. Il balzo. Certo!! È un problema non sapere quando avverrà. Ma… mmm… sicuro che non c'è qualche altro problema?

Il suo atteggiamento canzonatorio era talmente palese che l'uomo, aggrottando la fronte, esordì: – Allora non mi credi. C'era da aspettarselo. E se ti dessi la prova di quel che dico? E se ti dimostrassi che è vero? Quando io e la tua bisnonna Annie ci siamo sposati, il 13 ottobre del 1890, ci hanno fatto delle foto. Forse mio figlio e poi i nipoti le hanno conservate. Se le hai, vedrai che non dico bugie, sono proprio io!

Kathy, senza rispondere, raggiunse lo scaffale nel salone e prese un vecchio album di foto, quelle del nonno. Lo aprì e proprio in prima pagina c'era l'immagine di una coppia con una scritta sottostante “Papà e mamma il giorno del loro matrimonio”. Certo! Era vero! Il bisnonno, anche se più giovane, era indubbiamente lui. Le sembrava assurdo ma era proprio così. Stava per dire qualcosa. Per scusarsi ma, improvvisamente, ci fu un bagliore e poi più nulla. L'uomo non c'era più.

Kathy trasalì di nuovo e chiamo a gran voce: – Bill… Bill.